Dalle alluvioni nella storia

ai cambiamenti climatici:

qual è il fattore di rischio che il 4 novembre 1966 si ripeta all’infinito?

 

di Magali Prunai

Siamo nel 789 d.C., il cosiddetto Alto Medioevo, e lo storico Paolo Diacono ci descrive la Rotta della Cucca, una disastrosa alluvione avvenuta in seguito allo straripamento dell’Adige nell’ottobre del 589 d.C., come un “diluvio d’acqua che si ritiene non ci fosse stato dal tempo di Noè”. Le fonti di Diacono sono degli scritti lasciati da Gregorio Magno, eletto papa nel 590 e testimone oculare dell’alluvione veneto, redatti con la precisa volontà di lasciare una testimonianza dell’evento tanto catastrofico quanto surreale per l’uomo di quel tempo.

La storiografia moderna fa risalire a quell’evento lo sconvolgimento idrografico che modificò il panorama fluviale del basso Veneto a cavallo fra VI e VIII secolo d.C.. E Paolo Diacono riporta la cronaca dell’epoca non solo per amore della conoscenza e per tramandare fatti del passato che rischiano di rimanere sconosciuti all’uomo moderno o del futuro, ma probabilmente con il preciso scopo di ricordare ai suoi contemporanei che il rischio ambientale, innescato dalla Rotta della Cucca, persiste nel tempo e continuerà ad esistere se non si prendono dei provvedimenti.

Un Lungarno che non c'è più

Firenze, 4 novembre 1333. Da giorni sulla città e sulla Toscana tutta piove senza sosta. Il livello dell’Arno cresce fino a esondare nel Casentino, nella piana di Arezzo e nel Valdarno Superiore. La domenica del 4 novembre Firenze si sveglia allagata. Nel 1966, quando la Toscana nuovamente fu colpita da piogge incessanti che causarono allagamenti e disastri fino al tragico alluvione della città di Firenze, sempre il 4 novembre, qualche cronista, forse appassionato di Storia, notò come un avvenimento di tale portata non si verificasse da sei secoli.

E infatti se parliamo di alluvioni, oggigiorno, si spera, la memoria corre proprio a “quello” di Firenze, declinato al maschile come da abitudine toscana.

Il Piazzale degli Uffizi trasformato in una piscina

Su Firenze e gran parte della regione pioveva da settimane, dalla seconda metà di ottobre, quasi senza sosta. L’Arno era sempre più alto e il 3 novembre le fogne iniziarono a buttar fuori acqua. Le prime chiamate ai vigili del fuoco per allagamenti in cantine e piani terra sono delle 23. Durante la notte, ormai era già il 4 novembre, il livello dell’acqua continuò a salire fino a superare i 3mila metri cubi al secondo nella zona di Ponte Vecchio.

Il disastro che ne seguì è ormai memoria storica, o almeno dovrebbe esserlo. I soccorsi furono tardivi, le vittime, ufficialmente 37, troppe, il patrimonio artistico e letterario della città, il grosso del patrimonio culturale italiano, rischiò di andare perso per sempre. Fortunatamente molti fiorentini, raggiunti nei giorni successivi da giovani e meno giovani da tutta Italia ed Europa (chiamati poi gli Angeli del fango), si misero subito all'opera per salvare dall'acqua e dal fango manoscritti, libri, opere d'arte. Insomma, l’unione (dei popoli) fa la forza e salva la cultura.

Ma quanto eventi di questa portata sono prevedibili e, di conseguenza, evitabili?

Una barbona trova qualcosa di utile tra i rifiuti. Siamo in quello che resta del Lungarno Guicciardini

Una risposta ha provato a darla un geologo, David J. Varnes (1919 – 2002) che per un rapporto UNESCO del 1984 scrisse quella che possiamo chiamare la formula del rischio.

Secondo Varnes, infatti, R_t=E∙R_s=E∙(H∙V) ovvero il rischio totale, l’aspettativa di danni a persone e cose e il danno economico di una catastrofe è dato dal prodotto fra gli elementi di rischio e il rischio specifico. Gli elementi di rischio sono la popolazione o le cose potenzialmente in pericolo rispetto a un dato fenomeno, mentre il rischio specifico riguarda il grado atteso di perdite relativo a un determinato fenomeno e può essere indicato anche come il prodotto di H e V, ovvero pericolosità naturale (la probabilità che un dato evento possa verificarsi in una data area) e la vulnerabilità (il grado di danno atteso da un determinato evento in una scala da 0 a 1 dove 0 rappresenta nessun danno e 1 distruzione totale).

Questo vuol dire che la probabilità di un’inondazione in una città attraversata da un fiume è nettamente superiore a quella che si verifichi nel deserto del Sahara. Le potenziali vittime in una città come Firenze saranno sicuramente di più rispetto a quelle nel deserto, nella remota possibilità che si verifichi un evento di quella portata. Inoltre, la capacità di un territorio di prevenire e mettersi in sicurezza da eventuali disastri cambia, e di molto, il rischio finale.

L'Adige a Verona

Adesso che sappiamo valutare il fattore di rischio, cioè la possibilità o meno che un certo fenomeno possa verificarsi, possiamo anche chiederci se nel futuro imminente, a seguito degli ormai tangibili cambiamenti climatici, dobbiamo aspettarci in modo molto più frequente eventi come l’alluvione di Firenze del ‘66.

Chi si occupa di cambiamenti climatici lavora molto creando dei “modelli”, degli scenari possibili di eventi futuri utilizzando determinati dati. Gli scienziati prevedono, ad esempio, nel corso del secolo un aumento nella zona del Mediterraneo di fenomeni climatici estremi, come i demografi prevedono che la popolazione in Italia rimanga abbastanza stabile. Non vi sono previsioni, invece, su una diminuzione ad esempio degli edifici. Così sappiamo che in un probabile futuro avverrà un numero maggiore di eventi estremi e che il numero di persone e oggetti esposti sarà pressoché invariato. Questo vuol dire che è estremamente probabile un incremento dei danni, sia a persone che cose che economici.

Il corso dell'Adige

Si può evitare tutto ciò? Evitare completamente ormai è pressoché impossibile, ma tamponare i danni e cercare dei rimedi è fattibile migliorando e applicando delle buone prassi politiche e non solo.

 

 

*Le foto dell’alluvione di Firenze sono per concessione di Giuseppe Prunai che ne detiene il copyright.

**La foto dell’Adige a Verona è per concessione di Magali Prunai che ne detiene il copyright.

Per una fotocronaca completa ed un racconto dell’alluvione consultare

http://www.il-galileo.eu/n51/Alluvione.html

Il Galileo