Avremo una Venezia lombarda?

Riaprire i Navigli a Milano

A 60 anni dal loro interramento, si pensa alla riapertura di questa rete di canali che un tempo solcava la città -  In un recente referendum su questa eventualità  il 94,32% dei votanti si è espresso  favore – Animatore di questo progetto è l’architetto e consigliere comunale Roberto Biscardini: lo abbiamo intervistato

 

 

di Giuseppe Prunai

 

 

Come si presentava una strada del centro di Milano, Via Castelfidardo 

Oh  mama, mama – cantava Alberto Rabagliati sulle note di Giovanni D’Anzi, parole di Alberto Bracchi – mi son luntan ma g’hoo la nustalgia del mè Milan”.

Nostalgia, non tanto della Milano di oggi massacrata da un finto spirito modernista dietro al quale  si nascondono speculazioni ed affari, non sempre puliti, della Milano odierna degli inutili grattacieli, del minimalismo e del razionalismo quanto della Milano del liberty, della Milano dei Navigli, di tutti i Navigli. Quelli ancora esistenti e quelli chiusi che in molti vorrebbero riaprire.

I Navigli hanno una storia antichissima. Si cominciò a scavare il primo canale artificiale per collegare il Ticino alla città nel 1179. I lavori si conclusero nel 1257. Il canale si chiamò il Ticinello, più tardi Naviglio Grande. Fu poi trasformata la Martesana, scavati altri canali. A metà del 1400, il territorio milanese era percorso da circa 90 km di canali artificiali. Agli inizi del 1500, Leonardo studiò il sistema delle chiuse, le cosiddette conche fluviali per risolvere il problema dei dislivelli. Anno dopo anno, la rete dei navigli si sviluppò fino a realizzare un collegamento con il Mare Adriatico tramite il Naviglio Pavese e il Po, con il Lago Maggiore tramite il Naviglio Grande e il Ticino, il Lago di Como tramite il Naviglio della Martesana e l’Adda.

Un sistema idroviario invidiabile che tuttavia negli anni trenta fu chiuso perché giudicato obsoleto dai milanesi di allora che si rivolgevano sempre di più al trasporto su gomma, più veloce  ma anche più costoso ed inquinante.

Ma i tempi cambiano. Il trasporto su gomma è sempre più sul banco degli imputati mentre la navigazione sulle acqua interne è sempre più attuale in Europa tanto per il trasporto delle persone a scopo turistico, quanto delle merci che non necessitano trasferimenti veloci. E allora, perché non riaprire i navigli di Milano, restituendo così al capoluogo lombardo la sua caratteristica di città d’acqua? In un recente referendum su questa eventualità  il 94,32% dei votanti si è espresso  favore.

L’idea viene portata avanti dall’associazione “Riaprire i Navigli”. Presidente è il consigliere comunale, architetto Roberto Biscardini (foto qui sopra). Lo abbiamo intervistato.

 

Il Galileo. Come nasce quest’idea, questo progetto di riaprire i Navigli di Milano?

Biscardini.  Il dibattito intorno alla questione della riapertura dei Navigli è un dibattito antico. Bisognai dare atto  all’architetto Empio Malara che per anni con la sua Associazione Amici dei Navigli ha tenuto sempre viva questa ipotesi, anche se era più sul terreno di una questione culturale, di approfondire il valore che i navigli avevano avuto nel passato a Milano.  La mia ipotesi di lavoro che è molto più progettuale, più concreta, quasi ingegneristica. Nasce dalla mia esperienza in università perché negli anni 2008, 2009 e 2010 dedicai il corso sulla qualità urbana a Milano,  allo studio sulla fattibilità della riapertura dei navigli. Quindi, con gli studenti abbiamo cominciato a fare i rilievi, a fare delle indagini molto approfondite, anche dal punto di vista dell’andamento altimetrico, per capire cosa significava la riapertura dei navigli dalla Cassina de’ Pom alla Darsena e abbiamo visto che il progetto è fattibile e che avrebbe per Milano un valore di grande significato. Anzi, di più significati per la città e, dal punto di vista paesistico, per la regione, e sarebbe anche un grande elemento di attrazione per Milano, praticamente su scala mondiale. L’opera di ingegneria è abbastanza semplice perché si tratta di aprire un canale, che è mediamente largo 8 metri e profondo due metri e mezzo. Ciò a cui dobbiamo stare attenti sono gli attraversamenti.  Il naviglio viene attraversato da strade per le quali si dovrà garantire la continuità. Si tratta di realizzare almeno 25 attraversamenti stradali che verrebbero fatti a raso, senza stravolgere la città con dei ponti.

 

 

Insomma una Venezia lombarda.

Diventerebbe la Milano che è sempre stata, con le sue caratteristiche. Non dimentichiamo che Milano è una città d’acqua, che è sempre stata considerata tale in tutta la sua storia  millenaria. Che ci sono numerosi autori, soprattutto nell’800, soprattutto Stendhal, che ricordano che Milano è una città attraversata da torrenti, da fiumi e da canali. Il canale che ha una storia lunghissima che risale al Rinascimento (ci ha messo le mani anche Leonardo) aveva una caratteristica fondamentale, quella di garantire il trasporto delle merci dal Lago Maggiore verso il Naviglio Grande, che arrivava in Darsena, e poi dalla Darsena portava, per esempio, i famosi marmi di Candoglia per costruire il Duomo di Milano a quella che adesso è Via del Laghetto (quella strada si chiama così perché lì si fermavano i barconi per scaricare i marmi). Dall’altra parte della città, attraverso la Martesana, egualmente, venendo giù dal Lago di Como e di Lecco c’era navigabilità attraverso Gorgonzola, Cernusco fino all’attuale Parco della Martesana, via Melchiorre Gioia, via Pontaccio e tutto il percorso dei navigli.

 

Un passo indietro. I Navigli a Milano furono chiusi grosso modo a metà degli anni trenta.

Iniziò la chiusura col fascismo, negli anni venti e si concluse nel 1960 con l’interramento dell’ultimo tratto in via Melchiorre Gioia (nella foto a fianco: i lavori in terramento della Martesana in via Melchiorre Gioia).

 

Perché furono chiusi?

E’ molto strano. Alcuni sostengono che ci sia stata anche una motivazione politica, cioè che in qualche modo il Fascismo voleva dare il segno del suo intervento al contributo della modernizzazione chiudendo un’opera che veniva considerata antica. Da allora in poi ha prevalso la logica che bisognava utilizzare la  cerchia dei Navigli per farci andare le macchine. Negli anni sessanta, il boom dell’auto confermò questa tendenza e quindi i Navigli furono chiusi, debbo dire purtroppo nella relativa indifferenza dei milanesi. Furono pochi, gli intellettuali e le persone che contrastarono questa tendenza. C’è anche da dire che negli anni venti i Navigli venivano usati anche come fognature a cielo aperto e quindi si diceva che erano sporchi, erano fonte di inquinamento. Poi, non lo sono più stati negli anni avvenire, così come non lo sono oggi. Perché quando è stato realizzato un più efficiente sistema di fognature l’acqua del Naviglio è diventata pulita. Oggi le acque dei Navigli sono pulite perché sono acqua agricole, non sono inquinate.

 

Ma oltre lo scopo paesaggistico, urbanistico e turistico della riapertura dei canali cittadini probabilmente c’è quello di poter dirottare il trasporto merci dalla gomma a via d’acqua?

Direi di no.  Stiamo parlando della riapertura dei Navigli, di quelli chiusi. Si tratta di otto chilometri e mezzo dalla Cassina de’ Pom alla Darsena: Cassina de’ Pom, Via Melchiorre Gioia, Via San Marco, il “tumbum” di San Marco, via Pontaccio, via Fatebenefratelli, via Vincenzo Sforza, via Santa Sofia, Conca del Naviglio, Darsena. Questo è il percorso. Perché ho fatto questo elenco meticoloso? Perché la nostra idea è che si debbano riaprire tutti, non a tratti. Perché riaprendoli a tratti perdiamo la navigabilità e per renderli navigabili dobbiamo riaprirli seguendo il senso dell’acqua. Oggi, se uno va alla Cassina de’ Pom, dove c’è il Naviglio Martesana, vede che questo naviglio si imbuca sotto via Melchiorre Gioia. Quindi, i lavori da fare debbono partire da là in modo che l’acqua, andando avanti, raggiungerà la Darsena seguendo quella direzione. Perché non dobbiamo dimenticare che l’acqua dei Navigli è quella che viene dall’Adda tramite la Martesana.

La navigabilità. Non credo che oggi sia possibile pensare ad un trasporto merci, anche se non è impossibile, soprattutto nel Naviglio Grande e in parte sul Naviglio Pavese. Le merci che possono arrivare da Como, dal Lago di Lecco attraverso la Martesana non sono così importanti. Diciamo che in quel tratto si può svolgere soprattutto il trasporto di persone, anche a scopo turistico. Nessuno vieterebbe di avere, come a Parigi, dei “bateaux moches”  ma anche un vero e proprio servizio di trasporto persone utilizzando l’acqua, piuttosto che la metropolitana o l’autobus.  Poi, ci sono le attività sportive che si possono fare sull’acqua. Già oggi c’è la Canottieri Olona, tradizionale associazione sportiva, e tante altre associazioni di canoisti che vorrebbero usare il Naviglio della Martesana e lo possono navigare solo a tratti perché non è stato ancora classificato come navigabile. Poi c’è la valorizzazione dei paesaggi attraversati e anche di alcune parti monumentali della città. Non dimentichiamo, poi, gli aspetti economici. Ad esempio, la produzione di energia elettrica. Ci sono già degli operatori interessati a produrre energia elettrica, tramite delle piccole turbine da collocare sul fondo o sui fianchi del naviglio. Quindi, ci sono degli aspetti economici ai quali potremmo aggiungere attività di carattere turistico, di ristorazione etc. che certamente cambierebbero il paesaggio della città.

 

Ma il tema della navigazione fluviale non può essere abbandonato. In Europa è una realtà importante. Ad esempio è possibile andare dal Mar Nero al Mare del Nord tramite il Danubio, canale navigabile, Reno e Meno, in Francia si può arrivare per acque interne da Calais e Le Havre fino a Marsiglia, al Mediterraneo. La Svizzera sarebbe interessata ad un sistema di navigazione da Locarno all’Adriatico. Perché non farci un pensierino?

Diciamo così. La realizzazione del Naviglio è certamente la realizzazione di una grande infrastruttura idroviaria passante per Milano. Così come dopo 60 anni si è realizzato il passante     ferroviario, ricostruendo un passante ferroviario che già c’era in Milano, così adesso possiamo rifare un passante idroviario: là è un trasporto su rotaia, qui è un trasporto per acqua. Dicevo prima che credo poco al trasporto di merci  nel tratto di naviglio che ho citato, quella della Martesana, perché è un naviglio relativamente stretto, passa dentro la città e non potrà essere percorso da grandi imbarcazioni, mentre il collegamento Locarno-Venezia (il che vuol dire Lago Maggiore, Ticino, Naviglio Grande (foto a sinistra), Darsena, Naviglio Pavese e poi Ticino e Po fino all’Adriatico) può tornare ad essere un grande itinerario anche per le merci. Tenendo conto che abbiano perso nel frattempo tutto quel dibattito che era il porto-canale il canale navigabile quello al quale ho lavorato in Regione per costruire, almeno nel tratto che andava da Cremona a Mantova e  da Mantova all’Adriatico.

Ma noi oggi parliamo di riaprire i navigli dalla Martesana alla Darsena, che sono meno utilizzabili per il trasporto merci, mentre lo sono gli altri.

 

L’acqua da dove viene?

R.: L’acqua viene dal Naviglio Martesana. L’acqua c’è già. Il paradosso è questo che la buttiamo, insieme al Seveso, nel Redefossi che va verso San Donato e San Giuliano e poi finisce dell’Adda inferiore.

 

Quale sarà l’impatto con la popolazione di Milano? Cosa dirà quel signore che abita in piazza San Marco e che tutti i giorni vi parcheggia l’auto, una volta che non potrà più farlo perché al posto della piazza ci sarà il “tumbun”, il Naviglio?

R.:  Intanto, quando noi diciamo riapertura dei navigli bisogna dire non solo lo scavo, che sarebbe poca roba, ma vuol dire la riorganizzazione di tutte le zone al contorno. Io sono convinto che questa potrebbe essere l’occasione per realizzare alcuni parcheggi interrati, intorno alla  cerchia dei navigli, per garantire sia ai residenti sia a chi si reca nel centro storico di poter parcheggiare la macchina. Io credo che quel signore che abita in Piazza San Marco sarà favorito da un fatto molto elementare che è la valorizzazione del suo bene immobiliare. Non dimentichiamo questo aspetto, la qualità di una città sull’acqua si trasferisce in termini economici, in termini di valorizzazione del patrimonio immobiliare soprattutto di quello vicino al Naviglio, ma anche di tutta la città. Basta vedere cosa è successo a Parigi per gli immobili vicino al Canal St. Martin. Altra situazione, sempre riferita a San Marco. Il parcheggio sulla piazza, non tutti lo sanno, corrisponde al bacino originale del Naviglio. Quando è stato chiuso, è stato riempito di sabbia. Si tratta solo di rimuovere quel materiale e, alcuni studenti (e io sono d’accordo con loro) hanno ipotizzato di fare un parcheggio sotto il naviglio. Così come qualche anno fa, l’allora sindaco Albertini pensava di fare un parcheggio sotto la Darsena (qui sopra, in una foto d'epoca). La cosa avrebbe potuto riqualificare la Darsena e tutta la zona massacrata dalle auto in sosta. Bisogna pensare ad un Naviglio che non abbia le macchine parcheggiate intorno.

 

Beh, il parcheggio sotto la Darsena avrebbe avuto due grossi limiti: la via d’accesso e la via d’uscita che si sarebbero innestate in due strade piuttosto strette.

Si, era uno dei problemi. Tornando all’impatto sull’impatto con gli abitanti, c’è da dire che circa 450mila persone hanno votato, lo scorso anno, un referendum in cui dicono che sono d’accordo sulla riapertura dei Navigli. Possiamo dire che il consenso popolare è già molto alto. (Nella foto a destra: il Palazzo Archinto a Robecco sul Naviglio).

 

Parallelo a questo, c’è un altro progetto: la realizzazione dei navigli esterni per collegare il canale Villoresi con l’Expo. Sono due ipotesi diverse?

Sì. Anzi, debbo dire che alcuni di noi sono contrari perché si tratta di un canale, non certamente navigabile, che ha la  funzione di portare l’acqua all’Expo e dall’Expo poi l’acqua viene ributtata nel Naviglio Grande. Non ha nessun paragone con la logica del canale navigabile. La contrarietà a questo progetto dipende dal fatto  che sottrae risorse. Pare che quell’opera costi esattamente 80 milioni di euro quanto noi abbiamo stimato per realizzare i navigli interni. Quindi c’è uno scontro sulle risorse perché si rischia di spendere soldi per un’opera che non è utile. Piero Bassetti un giorno disse ma perché fare quel naviglio lì che è un naviglio finto invece che ristrutturare i navigli veri.

 

A Milano scorrono molti torrenti e fiumi (fiumi a carattere torrentizio), come il Seveso, l’Olona etc. che nel tratto cittadino sono stati intubati: scorrono in galleria, sotto terra e ogni tanto dànno dei problemi, soprattutto il Seveso che quando è in piena fa crollare la strada che lo ricopre. Per questi corsi d’acqua verrà adottato un qualche provvedimento?

Io sono per la valorizzazione dell’acqua in senso generale perché ritengo sia molto importante restituire a Milano questa caratteristica di città d’acqua. Fra i temi che non sottovalutiamo c’è quella del torrente della Vettabbia che è un bel corso d’acqua e potrebbe essere utilizzato verso il sud di Milano. Per quanto riguarda, invece, i problemi idraulici, i danni che l’intubamento di fiumi e torrenti possono provocare (il problema maggiore è il Seveso, soggetto a facili esondazioni quando ci sono picchi di piogge) è un tema che ci sta molto a cuore perché la nostra idea è proprio di risolvere contestualmente alla realizzazione dei navigli i problemi idraulici, per esempio, del Seveso. Ma lo dicevo già prima: quel Naviglio della Martesana che oggi si infila sotto via Melchiorre Gioia va a confluire con l’acqua del Seveso per andare verso i Bastioni e girare sul Redefossi, anch’esso intubato. Se noi separassimo l’acqua del Seveso da quella della Martesana, rifacendo i navigli, daremmo un contributo eccezionale alla regolamentazione delle acque e risolveremo in buona parte i problemi delle esondazioni del Seveso.

Nelle ultime due foto, altrettanti aspetti del Naviglio Pavese, in città e in campagna

IL GALILEO