Papa Benedetto XVI abdica

Il 28 febbraio prossimo, alle ore 20, rimetterà il mandato

Ipotesi sulle motivazioni del gesto

 

 

 

di Giuseppe Prunai

 Papa Benedetto XVI

 

 

“Il Papa è andato via: buon viaggio e così sia…” cantavano nel 1849 i sostenitori della Repubblica Romana di Armellini, Mazzini e Saffi con Garibaldi comandante in capo dell’esercito dei volontari accorsi a Roma. Il papa era Pio IX, il papa-re, il papa bestemmiato e pianto al pari di Carlo Alberto, che fuggì a Gaeta lasciando Roma esposta al macello delle truppe di Napoleone III.  Qualcuno, in questi giorni, ha rispolverato questo vecchio ritornello per salutare con dileggio l’uscita di scena di Benedetto XVI. Ma papa Mastai Ferretti era scappato, andando a rintanarsi nella Fortezza di Gaeta, protetto dalle truppe de Re delle Due Sicilie, mentre papa Ratzinger esce in punta di piedi, per quanto può farlo un pontefice che rinunzia al ministero petrino, che si dimette o, trattandosi di un monarca, abdica.

Benedetto XVI ha annunciato la sua decisione ai cardinali riuniti in Concistoro in Vaticano lunedì 11 febbraio. Laconiche le sue parole. Il papa ha parlato in latino, lingua ufficiale della Chiesa di Roma.

 “Fratres carissimi

Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vitae communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.

Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam. Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 29, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse”.

 

Questa la traduzione:

 

“Carissimi Fratelli,

vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per

comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.

Carissimi Fratelli, vi ringrazio”.

 

Lanciata per prima dell’Agenzia ANSA, la notizia ha fatto in pochi minuti il giro del mondo. Stupore, sconcerto, ricerca delle motivazioni, dei precedenti storici che risalgono alla notte dei tempi. Si conoscono altri sei casi di rinuncia in epoche lontane. Il più noto è quello di Celestino V, bollato da Dante come colui “che fece per viltade il gran rifiuto”. Celestino, eletto nel luglio del 1294, si dimise nel dicembre dello stesso anno. Gli successe Bonifacio VIII che rinchiuse Celestino nel Castello di Fumone, per il timore di ingerenze nel nuovo pontificato.  Per trovare l’ultimo caso di dimissioni, bisogna risalire al 1415, agli anni turbolenti del cosiddetto Scisma d’Occidente e al Concilio di Costanza che mise ordine ad un’ingarbugliata situazione che aveva portato alla presenza di un papa e di due antipapi. Le dimissioni di Gregorio XII, la dismissione, da parte del Concilio, di Giovanni XXII, e la rinunzia di Benedetto XIII, rappresentante dell’obbedienza avignonese, portò all’elezione di Martino V.

 

In epoca moderna e contemporanea non si era mai verificato un simile fatto, anche se alcuni papi, come Pio XII e Paolo VI, avevano rilanciato questa eventualità.

 Commiato. Il Presidente della Repubblica, Napolitano, saluta Benedetto XVI che sta per lasciare il pontificato. Fra circa tre mesi, anche Napolitano sarà un "emerito". Il suo settennato scadrà il 15 maggio di quest'anno. (foto Ufficio Stampa Quirinale)

Le fonti ufficiali affermano che quella di Joseph Ratzinger è una decisione assunta in piena autonomia. Non ci sono elementi per confermarle o smentirle, ma il dubbio è spontaneo visti alcuni avvenimenti poco chiare occorsi, nel tempo, al di là del portone di bronzo. Di certo c’è soltanto che è maturata nella solitudine che accompagna ed affligge la vita di un qualsiasi sacerdote cattolico.  Bernanos scrive della solitudine del prete. Ma questo sentimento che affligge il “curato di campagna” va elevato all’ennesima potenza per poter descrivere la solitudine di un papa che è e rimane un uomo, tormentato da dubbi, da incertezze, da gravi responsabilità. E questo, lo rende simpatico al laico che non esita ad esprimergli solidarietà.

 

Quanto alle motivazioni, Joseph Ratzinger ha detto che  “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”.

 

Ha detto ancora  il Papa: “….vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”, vale a dire che “…le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”.

Al di là delle motivazioni ufficiali, visto che il Papa non è malato, a parte alcuni acciacchi dovuti all’età, è facile intuire la delusione e lo sconcerto nel non riuscire a tenere fronte al potere granitico della Curia, ad un certo sottobosco vaticano  sul quale da tempo si allungano ombre inquietanti: da presunte collusioni con elementi che si potrebbero anche definire malavitosi,  ad alcune  acrobatiche e truffaldine operazioni dello IOR, il cui direttore è stato recentemente cacciato. Una situazione nella quale si potrebbe inquadrare lì episodio del Corvo, della sottrazione dall’appartamento pontificio di alcuni documenti riservati, della cui natura non è dato sapere. E poi c’è lo scandalo dei preti pedofili: Benedetto XVI aveva dato delle direttive precise, non sempre seguite alla lettera.

Per tornare al latino, viene da chiedersi: cui prodest, a chi giova? Forse, dall’esito del Conclave si potrà ricavare una nuova ipotesi o soltanto un nuovo sospetto.

Sulle cause reali della sua uscita di scena, il Papa finora ha taciuto. Chissà se prima delle ore 20 del 28 febbraio, termine indicato per la fine del suo pontificato, dirà una parola chiarificatrice.  E potrebbe essere una parola che pesa come una pietra, dirompente come la caduta di un meteorite. E speriamo che ciò avvenga affinché non si canti, come il carbonari del 1849, “buon viaggio e così sia”.

 

 Il Galileo

 

L’abdicazione del Papa

Cosa dice il Diritto Canonico

 

 

 

di Magali Prunai

 

 Celestino V

Il Papa ha abdicato. Lunedì mattina, durante un concistoro, Papa Benedetto XVI legge un suo lungo discorso in latino in cui annuncia la sua rinuncia all’incarico affidatoli da Dio.

Il 28 febbraio, alle ore 20, il Papa si dimetterà, anzi abdicherà perché il Papa è un monarca, è un sovrano assoluto per volontà di Dio. Proprio come quelli del passato.

La notizia ha fatto il giro del mondo in poco tempo e tutti, fra lo sconcerto e shock, si sono fatti la stessa domanda: come è possibile?

La risposta è arrivata presto, durante la conferenza stampa il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, ha citato il “Codex iuris canonici” per giustificare tale azione. Il Papa può rinunciare al suo ufficio a norma del canone 332, paragrafo 2: “nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”.

Il Papa una mattina si sveglia, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali prende carta e penna, un dizionario di latino (il Papa usa il vocabolario o parla latino come molti di noi parlano l’inglese?), si siede alla sua scrivania e scrive un bel discorsetto in cui annuncia l’impossibilità di andare avanti con il suo magistero, lo legge in pubblico e il gioco è fatto. Nessuno deve accettare le sue dimissioni, perché all’atto pratico non si tratta di dimissioni ma di abdicazione senza designazione diretta dell’erede, e lui non è più Papa. Ma dal 28 febbraio cosa sarà Benedetto XVI? Un ex Papa? Un Papa emerito?

La risposta ancora non c’è e non si può neanche cercare la soluzione nei precedenti storici perché troppo lontani nel tempo e troppo differenti dall’attuale situazione.

Oltre al celebre caso di Celestino V, citato da Dante come “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, che rinunciò al suo incarico dopo tre mesi nel 1294, la storia della Chiesa conta ben altri sei dimissionari: Clemente I, eletto nel 92 e che rinunciò alla sua missione nel 97; Ponziano, dal 230 al 235; Silverio, Papa per un solo anno finché non venne deposto; Benedetto IX, Papa tre volte (per due volte vendette l’incarico e poi lo richiese indietro e la terza abdicò definitivamente); Gregorio VI, figlioccio di Benedetto IX e suo successore, abdicò dopo un anno; e infine Gregorio XII, che rinunciò al ministero nel 1415 dopo 9 anni di regno.

Dopo sei secoli la storia si ripete con la differenza, però, che l’assetto geo-politico mondiale è molto cambiato e le conseguenze e le motivazioni di un tale gesto sono profondamente diverse. Se nel quattrocento dietro all’incarico di Papa- re vi erano i classici intrighi e le lotte di potere tipici dei poteri forti della storia, cosa possa spingere il capo della cristianità ad affermare di non avere più la forza per portare avanti il proprio ruolo non è dato saperlo, per ora.

Fin da bambini al catechismo ci insegnano che il Papa è per sempre, una volta eletto rimane tale fino alla fine, finché Qualcuno non decide di chiamarlo a sé. Ora dovranno aggiornare i libri di testo e dire che il Papa è tale fino alla fine, fino alla morte o finché non decide di abdicare.

Il Galileo