La soluzione finale

Di Angelina Jolie

Per evitare di ammalarsi di tumore al seno si è sottoposta a un duplice intervento di mastectomia –  A causa di un’anomalia genetica aveva l’87% di probabilità di sviluppare un tumore - Il parere degli oncologi e di Aaron Ciechanover, Premio Nobel per la chimica, per la sua scoperta del complesso di degradazione proteica proteosoma-ubiquitina

 

 

Intervista di Luisa Monini

 

 

 

 

La notizia è di quelle che fanno discutere all’infinito. L’attrice Angelina Jolie, 38 anni, attrice vincitrice di tre Golden Globe, di due Screen Actors di un  Oscar, si è sottoposta ad un duplice intervento di mastectomia perché portatrice di un’alterazione genetica che la esponeva ad un alto rischio di contrarre un tumore al seno.

- Avevo l’ 87% di probabilità di sviluppare il cancro, adesso questa eventualità si è ridotta a meno del cinque per cento, ha detto la bella attrice ricordando che sua madre era deceduta per la stessa causa.

L’anomalia genetica della Jolie riguarda due geni, il BRCA1 e BRCA2 (breast cancer susceptibility gene). Questi geni proteggono da tumori di vario tipo, ma soprattutto da quelli mammari e ovarici. Quando i due geni non funzionano, la possibilità di ammalarsi è elevatissima.

Poiché non c’è ancora la possibilità di modificare i geni umani, per combattere il tumore non c’è che affidarsi alla prevenzione. Il che significa controlli periodici e il ricorrere ala chirurgica come extrema ratio.

Sulla decisione della Jolie, i medici si sono, come era prevedibile, divisi. Dice Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia, che se la possibilità di sviluppare un tumore genera una continua ansia e rende la vita impossibile, meglio ricorrere ad una soluzione drastica. Altrimenti è meglio sottoporsi a controlli ogni sei mesi. Le possibilità di guarigione, ormai sono dell’ordine del 98%.

Dello stesso tenore le dichiarazione dei massimi esperti italiani di questa patologia che si interrogano sull’impatto che la notizia potrà avere sul pubblico femminile. In pratica, temono che un gran numero di donne ricorrano allo stesso, drastico intervento. Ma è come tagliarsi la testa per prevenire l’emicrania.

Aaron Ciechanover, Premio Nobel per la chimica nel 2004 2004 per la sua scoperta del complesso di degradazione proteica proteosoma-ubiquitina,  propone l’ utilizzo di farmaci intelligenti che agiscono in modo estremamente preciso su un bersaglio e che vengono costruiti in base alla conoscenza della mutazione genica che ha determinato la malattia.

L’intervista ad Aaron Ciechanover è di Luisa Monini

 

 

Nella Inselhalle di Lindau, al sessantesimo meeting dei Nobel Laureates, Aaron Ciechanover (foto sotto) presenta la sua lettura “ Perché le nostre proteine devono morire per consentirci di vivere“ e si capisce subito che il  premio Nobel per la Chimica 2004, oltre ad essere un grande scienziato è anche un comunicatore nato. Affascina   il suo modo di presentare ricerca e risultati ma soprattutto colpisce ciò che dice circa il dovere prioritario degli scienziati  di trasferire i risultati dai laboratori di ricerca, al letto del paziente. Lui ci è riuscito e  lo ha fatto partendo da una ricerca sulla degradazione delle proteine che, confessa, “ non sapevo proprio dove sarebbe andata a finire “. E’ finita bene perché, grazie alla scoperta del complesso ubiquitina-proteosoma  e dei farmaci studiati successivamente, oggi è possibile curare malattie tumorali del sangue come il mieloma multiplo e  differenti  forme di leucemia.

Per saperne di più ne parliamo con lo scienziato in  una pausa, durante il convegno.

Quando e come ha iniziato a fare ricerca sulla degradazione delle proteine ?

“Ho iniziato alla fine degli anni settanta, quando la maggior parte dei ricercatori  lavorava alla  sintesi delle proteine e lo  smaltimento proteico non interessava nessuno”.

Invece Lei…?

“E’ stato per me l’ inizio di una grande avventura che ha portato alla scoperta dell’ ubiquitina,  una piccola proteina  che marca con un bacio (il bacio della morte) la proteina da smaltire, segnalandola  così al proteosoma, una sorta di tritatutto cellulare, che attacca la proteina e la riduce in frammenti  da eliminare  o reciclare”.

Quali sono le proteine che l’ ubiquitina bacia volentieri?

“Quelle alterate  e quindi dannose, quelle che non sono più necessarie alle funzioni  cellulari o quelle che  si trovano in  tessuti ed organi dove non dovrebbero essere”.

Cosa accade se il processo demolitivo si inceppa?

“I difetti nel processo  della demolizione proteica  possono dare origine ai  tumori, alle malattie neurodegenerative, a disordini ereditari come la fibrosi cistica, a malattie  infiammatorie ed  immunitarie”.

Quali novità possiamo aspettarci  da un punto  di vista terapeutico? Ci sono nuovi farmaci in studio?

“Il sistema ubiquitina-proteosoma è un’ importante piattaforma per sviluppare  la target therapy, cioè l’ utilizzo di farmaci intelligenti che agiscono in modo estremamente preciso su un bersaglio e che vengono costruiti in base alla conoscenza della mutazione genica che ha determinato la malattia. Per adesso abbiamo un solo farmaco, Velcade -ps341 (un inibitore del proteosoma)  ma altri  ne verranno; tutti in grado di agire direttamente contro la degenerazione di proteine fondamentali, alla base delle malattie degenerative. Gli studi procedono in fretta anche  grazie alla collaborazione ed interazione tra ricerca accademica e industria”.

 

 

A SINISTRA,SERGIO PECORELLI PRESIDENTE DELL’ AIFA, AL CENTRO  AARON CIECHANOVER NOBEL PER LA CHIMICA, A SINISTRA LUISA MONINI BRUNELLI

 

Inevitabile a questo punto parlare dei vantaggi  che all’uomo  potranno derivare  dalla conoscenza del proprio patrimonio genetico.

Il prof. Ciechanover  precisa: ”Quando noi pensiamo a tumore al seno, o a quello della  prostata, lo pensiamo come ad una singola malattia ma così non è perché su 100 persone  colpite dal tumore  e trattate tutte allo stesso modo, alcune risponderanno alla terapia, altre no.  Se vogliamo  trattare il paziente, sicuri che la terapia avrà l’effetto desiderato, dovremo alla fine basarci su informazioni personalissime che ci potranno venire solo dalla conoscenza  dalla sequenza  delle basi del suo genoma. A quel punto di quella persona noi conosceremo tutto: la sua malattia e l’ efficacia del trattamento ma conosceremo anche il suo futuro. Bisogna essere dunque molto cauti e sapere chi può avere accesso a questi dati, chi deve utilizzarli e a chi riferirli. E’ un problema esplosivo che non può interessare unicamente il mondo scientifico perché ci sono aspetti etici, sociali e politici di grande rilevanza”.

Faccio presente al prof. Ciechanover che prima o poi si presenterà anche il problema delle mutue private integrative: l’assicurazione chiederà forse il profilo genetico dell’individuo per stabilire il premio? Oppure il datore di lavoro, prima di assumere una persona vorrà leggere oltre al curriculum vitae  anche il  suo codice genetico?

Ciechianover mi guarda e sorride: “ Non ho risposte al momento“ , precisa.

Torniamo al letto del malato dove, comunque,  la  conoscenza del patrimonio genetico  non è tutto.

“ E’ vero” asserisce il Nobel “ Soprattutto nella attuale società globalizzata dove si intrecciano differenti storie,  religioni, culture, colori. Dobbiamo  prendere in considerazione parametri differenti; bisogna avvicinarsi ad ogni singolo individuo in modo molto discreto, a seconda delle sue reali necessità. Non possiamo  impadronirci delle  malattie e dei  bisogni altrui . Ogni malato deve piuttosto essere coinvolto in prima persona nelle cure che gli vengono proposte e, soprattutto, deve essere libero di accettarle così come di rifiutarle”.

Il Galileo