La scienza italiana in Karakorum:

per la prima volta

si studia il permafrost sul campo

 

 

E’ un elemento chiave per la stabilità  idrogeologica del terreno, per la comprensione dei cambiamenti climatici e per la biodiversità: il permafrost, terreno perennemente ghiacciato delle zone polari o d’alta quota, in pochi anni è arrivato ad occupare i maggiori tavoli internazionali dedicati all’ambiente e al clima. In prima linea sul fronte della ricerca c’è l’Italia, con il Comitato Evk2Cnr, che proprio in questi giorni ha avviato la prima missione scientifica sul campo per lo studio del permafrost in Karakorum, dove sembra che l'area occupata dal permafrost sia addirittura il doppio rispetto a quella dei ghiacciai.  Durante l’estate il Comitato Evk2Cnr condurrà in Karakorum anche una campagna glaciologica che si spingerà fino a Concordia e a Campo 2 del Gasherbrum I, con un team che avrà nelle sue fila anche Agostino Da Polenza, Presidente Evk2Cnr, e l’alpinista Daniele Bernasconi dei Ragni di Lecco.La spedizione scientifica sul permafrost è promossa dal Comitato Evk2Cnr nell’ambito del progetto di monitoraggio climatico e ambientale SHARE (Stations at High Altitude for Research on Environment), e si svolge sotto la direzione scientifica di Mauro Guglielmin, docente dell’Università dell’Insubria e uno dei massimi esperti europei di permafrost. Guglielmin e i suoi collaboratori, nei mesi scorsi, hanno calcolato una stima della quantità di permafrost in Karakorum basandosi su dati climatici (ad esempio dove la temperatura dell'aria si mantiene sempre al di sotto a -1° C) e dati satellitari multi spettrali, arrivando a risultati sorprendenti che ora cercheranno di verificare installando due stazioni di monitoraggio.

“Se le nostre stime fossero verificate, il permafrost occuperebbe un'area enormemente maggiore rispetto a quella occupata dai ghiacciai in Karakorum – spiega Guglielmin -. Tenteremo di verificare queste stime, assolutamente preliminari,  sul campo con questa prima missione sul Deosai e sul Baltoro. Abbiamo scelto alcuni punti sulla carta del permafrost che abbiamo prodotto,  dove ci dovrebbe essere permafrost. Il mio team si recherà sul posto per fare indagini geofisiche che verificheranno l’effettiva presenza di permafrost e soprattutto la quantità di ghiaccio che contiene, cosa difficilissima da stimare”.

Ma perché è importante studiare il permafrost? “Fino a 7-8 anni fa il permafrost era studiato quasi esclusivamente nelle zone polari  - spiega Guglielmin - poi ci sono stati avvenimenti naturali che ne hanno aumentato l'importanza dello studio anche in montagna.  Prima di tutto si è osservato un grande impatto sull’effetto serra: soprattutto nelle zone artiche, il permafrost contiene grandi quantità di sostanze organiche congelate, e il suo scongelamento libera migliaia di tonnellate di anidride carbonica e metano che hanno un impatto incredibile sul clima. Un altro grosso problema è relativo alle frane: la degradazione del permafrost (non si deve sciogliere, basta che si scaldi) può innescare frane molto grosse e profonde.  Questo rischio è molto sentito ed è stato uno dei volani di interesse per la ricerca in questo settore, anche per le conseguenze sulla fruizione turistica e alpinistica legata alla stabilità delle pareti, cito solo l’esempio del Cervino. Attenzione: non tutte le frane sono causate dal permafrost, che non è ovunque, ma è uno dei fattori scatenanti delle frane più grosse. Deteriorandosi il permafrost ci sono anche conseguenze sulla biodiversità: cambiano gli ecosistemi vegetali e animali, con risvolti sociali ed economici sulle tradizioni e il turismo".

“Il permafrost ora è al centro degli studi più recenti sul clima – spiega Guglielmin -, è determinante sia per il bilancio delle risorse idriche che per il rischio idrogeologico, ma pochissimo se ne conosce in Himalaya e Karakorum. E' molto importante ampliare le conoscenze sul tema, e ringrazio la sensibilità di Agostino Da Polenza e il Comitato EvK2Cnr che sostengono questa ricerca”. Secondo le stime globali, il permafrost copre il 25% delle terre emerse nell’emisfero settentrionale. Si tratta del terreno che rimane ghiacciato, ad una temperatura inferiore allo 0°, per almeno due anni consecutivi. Il suo spessore varia da 100 a 800 metri nelle zone polari e da 25 a 100 metri nelle zone di media e alta montagna anche se in prossimità dello Stelvio si è registrato uno spessore superiore a 200m. 

Ma non sarà solo il permafrost al centro delle ricerche scientifiche promosse da EvK2Cnr nella stagione estiva in Karakorum. Sul Baltoro e sul Gasherbrum I si svolgerà infatti anche una importante campagna di monitoraggio glaciologico e idrologico coordinata da Christoph Mayer, Bavarian Academy of Sciences and Humanities, in collaborazione con i progetti SHARE (Stations at High Altitude for Research on Environment), per il monitoraggio climatico e ambientale, e SEED (Social Economic and Environmental Development), finalizzato allo sviluppo integrato della regione del Central Karakorum National Park, supportando l’implementazione e la gestione del Parco.  Si tratta di una campagna glaciologica internazionale con studi sull’ablazione dei ghiacciai e sull’accumulo di neve in alta quota, il cui obiettivo è quello di acquisire informazioni sulla fusione stagionale dei ghiacciai e la portata dei fiumi, valutando gli effetti del climate change nell’alto bacino dell’Indo.

La missione, programmata tra metà giugno e fine luglio, farà diverse rilevazioni sul Baltoro fino a Concordia e salirà fino al campo 1 del Gasherbrum I, 8.068 metri in Karakorum, dove verranno raccolti campioni di neve sui quali verranno condotte analisi chimiche e fisiche.

 

L’alpinista Daniele Bernasconi, che si occuperà delle operazioni in quota della missione, salirà fino a campo 2 del Gasherbrum I, a quota 6.400 metri circa, per svolgere una survey con un georadar in vista dei carotaggi di ghiaccio programmati per il 2014 nell’ambito del progetto coordinato da Valter Maggi del Dipartimento di Scienze Ambiente e Territorio dell’Università di Milano Bicocca e promosso da EvK2Cnr, Cnr, dedicato alla costruzione di un archivio globale dei ghiacciai d’alta quota. Questa attività rientra nell’ambito di Nextdata, progetto di Interesse Strategico del MIUR, coordinato dal Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l'Ambiente del CNR, dedicato alla misura, interpretazione e messa a disposizione dei dati ambientali e climatici in regioni d’alta quota e che ha lo scopo di ottenere informazioni sulla variabilità climatica naturale negli ultimi mille anni, di quantificare i cambiamenti in corso e di sviluppare scenari per i cambiamenti attesi nelle regioni montane nei prossimi decenni.

 

Il Galileo