RITARDO CRONICO:

PROBLEMA PSICOLOGICO O MALEDUCAZIONE?

 

 

di Magali Prunai

 

 Gli "orologi molli" di Salvador Dalì

“La puntualità è la cortesia dei re”, pare dicesse Luigi XVIII.

Tutti, o quasi tutti, almeno una volta siamo arrivati in ritardo a un appuntamento per un motivo o per un altro e tutti abbiamo dovuto aspettare qualcuno per interminabili lunghi minuti.

La buona abitudine di arrivare sempre puntuali, magari con qualche minuto di anticipo, è considerata segno di civiltà e normalità. Proprio per questo psicologi e psicoterapeuti hanno approfondito e studiato il problema dei cosiddetti  “ritardatari cronici”.

Arrivare costantemente in ritardo a lavoro, a un appuntamento, ovunque, può avere all’origine motivazioni psicologiche profonde: bisogno di attenzioni, scarsa attenzione alle regole e poca propensione a rispettarle, genitori che durante l’infanzia hanno imposto una vita scandita da imposizioni severe e orari fissi da rispettare a tutti i costi, desiderio latente di farsi desiderare e attendere per dimostrare a se stessi di essere importanti. Tutti atteggiamenti che, legati a una buona dose di disorganizzazione, a livello inconscio impongono il ritardo.

Voler dimostrare a se stessi di essere importanti per gli altri attraverso il ritardo è, forse, uno dei risvolti più gravi del problema. Denota, infatti, scarsa fiducia nelle proprie qualità e livelli di autostima insufficienti per poter progredire tanto professionalmente che in altri ambiti della vita di tutti i giorni. Si cerca l’apprezzamento degli altri che si pensa manchi, ottenendo il risultato opposto. Infatti dover aspettare sul lavoro e non solo una persona per più di cinque – dieci minuti può diventare snervante e può irritare.  Inoltre, se sul lavoro un ritardo può comportare una sanzione disciplinare, nei momenti di socialità che caratterizzano la nostra vita può far pensare a una estrema mancanza di educazione della persona e incorrere in pesanti litigi.

Altra motivazione alla base del ritardo cronico, maggiormente bisognosa di cure, è la paura di rimanere soli in attesa degli altri. Paura che deriva da quella di essere abbandonati durante l’infanzia e che crea un forte senso di ansia. Si preferisce essere in ritardo piuttosto che rimanere soli con se stessi.

Il ritardatario cronico non è, ovviamente, quello che arriva ogni tanto con un ritardo ragionevole di pochi minuti ma chi si fa attendere anche delle ore senza un motivo apparente.

Gli esperti, differentemente, hanno approfondito poco l’aspetto di quella che potremmo chiamare la “puntualità cronica”. Ovvero il morboso desiderio di arrivare sempre in anticipo, di essere sempre sul posto prima degli altri. Desiderio che crea ansia nel puntuale tanto quanto è fonte di stress per il ritardatario rimanere da solo in attesa.

Chi vuole essere a tutti i costi il primo, arrivare per primo in un posto, potrebbe celare a livello inconscio forti scompensi affettivi. Dimostrare agli altri di essere il migliore per crescere nella stima altrui, per dimostrare  a se stesso e al mondo circostante di essere una persona affidabile. Anche in questo caso l’ansia e il modello educativo appreso durante l’infanzia sono alla base della soluzione del problema.

In conclusione, potremmo dire che “puntualità cronica” e “ritardo cronico” altro non sono che due facce della stessa medaglia.

Il Galileo