SULLE SPIAGGE DI NORMANDIA

70 ANNI  DOPO LO SBARCO DEGLI ALLEATI

 

Una rievocazione storica con divise e mezzi militari dell’epoca non prescinde dalla commozione dinanzi alle bianche croci che ricordano i 12mila morti alleati e i 15mila tedeschi

 

 dal nostro speciale inviato

Gian Fulvio Bruschetti

 

 

 

“Blessent mon coeur/ d'une langueur/monotone” (Feriscono il mio cuore  con un languore monotono). Questi versi di Verlaine, trasmessi dalla BBC alla resistenza francese, cambiarono il corso della storia del XX secolo. 48 ore dopo la loro messa in onda, dalle frequenze di Radio Londra, il D-Day ebbe inizio e l'operazione “Overlord” che diede il via alla liberazione della Francia, occupata quattro anni prima dai tedeschi.

 

 

Soldati americani a Point du Hoc

15 minuti dopo la mezzanotte di quel fatidico martedì 6 giugno 1944, la flotta più imponente mai messa assieme dall'occidente dopo la battaglia di Lepanto attraversava il Canale della Manica per riversare sulle spiagge della Normandia migliaia di uomini e mezzi provenienti da mezzo mondo, per dare all'Europa libertà e pace. Cinquemila navi oscurarono l'orizzonte della penisola del Cotentin, più di 10 mila aerei sorvolarono i cieli del Calvados e 250 mila uomini tra soldati e marinai entrarono in azione, sbarcando sulle spiagge di Utha, Omaha, Gold, Juno e Sword. Americani, inglesi, canadesi, francesi, belgi, olandesi, polacchi ma anche altri soldati  di oltre 20 nazioni presero parte a questa “Grande Crociata”, come la definì il comandante in capo gen. Dwight Eisenower. Un evento che costò elevatissime perdite umane, soprattutto le prime sei ore dall'invasione. Gli storici militari hanno calcolato circa 12 mila i caduti alleati, di cui oltre 6 mila americani. I tedeschi invece lasciarono sul campo quasi 15 mila uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa. In totale la preparazione di questa impresa dai risvolti epici e titanici impiegò circa 2 milioni di uomini e 500 mila veicoli tra jeep, camion, carri, moto, biciclette, semicingolati, cannoni, dislocati in varie località dell'Inghilterra, della Scozia e dell'Irlanda, mentre i tedeschi schierarono a difesa del Vallo Atlantico (dalla Norvegia alla Francia) 60 divisioni composte da 10 mila uomini ciascuna, di cui 10 corazzate dotate  di panzer Tigre, più fortificazioni e bunker armati di cannoni da 105 e 75 mm. e mortai da 88. 

Falesie scalate dai Rangers

Una battaglia  tra titani, che fu decisa da previsioni meteo azzeccate, che aiutarono insperabilmente gli alleati mentre tradirono la teutonica certezza tedesca, che pronosticava col cattivo tempo e la bassa marea, che  nessuna invasione sarebbe avvenuta nelle prime settimane di giugno. Così Rommel tornò in Germania per il compleanno della moglie e i generali tedeschi andarono a Rennes per esercitazioni, sguarnendo l'intero fronte di alti comandi. Un'altra certezza tedesca era il luogo dello sbarco, previsto a Calais, dove la Manica e il continente quasi si toccano. E invece.......accadde tutto l'opposto: vennero scelte le impervie scogliere della Normandia e le lunghe spiagge del golfo del Cotentin. Solo Rommel capì, anche se con ritardo, che quella in corso era la vera invasione e contrariamente al comandante in capo gen.  Von Rundstedt che ostinatamente prendeva tempo e teneva ferme le truppe attorno a Calais, disse al suo aiutante gen. Lang, la fatidica frase: “Le prime 24 ore dell'invasione saranno decisive e la sorte della Germania è legata a quelle ore. Per gli alleati e per noi sarà il giorno più lungo”. Come il meteorologo scozzese col. Stagg dello Stato maggiore di Eisenower previde una schiarita nel cielo di Normandia, tanto da convincere Ike a dire “Ok! Si parte”, anche Rommel con la sua profezia passò alla storia come l'unico generale tedesco che capì la situazione che capovolse le sorti della guerra per la Germania.

Postazione costiera tedesca

Ripercorrere le orme dei liberatori 70 anni dopo, sotto un cielo di Normandia del tutto analogo a quello di allora: pioggia, vento, schiarite, sole e poi caldo e freddo in alternanza perfetta,  è stato un privilegio e anche un'emozione. Con il Club dei veicoli militari storici, a bordo della mia  jeep Willys Mb del 1943, storica fuoristrada costruita per l'US Army e considerata emblema della vittoria americana nella seconda guerra mondiale, abbiamo attraversato da un capo all'altro l'intero teatro di battaglia, solcato le stesse spiagge insanguinate  di Utha, Omaha, Gold, Juno e Sword, passando per il centro delle cittadine famose per le epiche gesta dei paracadutisti americani della 82a e 101a divisione aviotrasportata di St. Mère Eglise, dove appeso alla guglia della chiese c'è ancora il paracadute e il manichino di Jhon Steele parà rimasto impigliato dopo il salto dall'aereo Dacota che lo trasportava la notte del 6 giugno e salvatosi perché si è finto morto, rimanendo tuttavia sordo, a causa del suono delle campane che chiamavano i cittadini a spegnere un incendio e di St. Marie du Mont dove ancora oggi i muri della chiesa conservano i segni della battaglia. Poi ancora  Point du Hoc dove i Rangers americani hanno sostenuto la più dura delle imprese scalando le impervie pareti rocciose delle falesie sotto il fuoco delle mitragliatrici tedesche, Colleville sur Mer, oggi sacrario americano, dove  migliaia di croci bianche allineate  su un tappeto erboso verdissimo  testimoniano il  valore e il coraggio dei caduti, Arromanche dove enormi cassoni galleggianti di cemento emergono ancora dalle acqua a ricordo del più grande porto artificiale alleato mai costruito, Ranville sede del famosissimo ponte Pegasus conquistato dai paracadutisti inglesi, infine Carentan e Briquebeck cittadine liberate a prezzo altissimo di vite dopo furiosi combattimenti corpo a corpo.

Obelisco a Point du Hoc

Sfilando con i nostri mezzi (jeep, camion, semicingolati, carri armati americani e inglesi, cannoni e moto) tutti raggruppati in una lunga teoria tra due ali di folla inneggiante alla libertà e alla vittoria, si è respirata quella atmosfera di gioia e di riconoscenza che anche allora ha toccato la gente del luogo. Ovunque si è riscontrata cordialità e amicizia, soprattutto nella piccola cittadina di Isigny sur Mer, conosciuta già allora per il suo burro, il formaggio Camambert e le deliziose caramelle, che secondo i piani di invasione doveva essere liberata lo stesso giorno dello sbarco e che invece per due giorni ha subito un intenso martellamento di fuoco da parte delle navi americane che cercavano di distruggere i bunker tedeschi e far tacere le batterie costiere. Qui dove metà delle case sono state ridotte in cenere e molti civili hanno trovato la morte,   il 14 giugno 1944 il gen. Charles De Gaulle ha parlato per la prima volta ai cittadini francesi liberi dall'oppressione tedesca. Un monumento ne ricorda l'evento, mentre un altro rievoca i giorni della “passione” patiti sotto i bombardamenti alleati, tanto che il gen. Omar Bradley, comandante della 1a  Armata americana, disse di Isigny: “Per più di 4 anni gli abitanti hanno atteso la liberazione, oggi da queste rovine ci guardano e ci accusano”. Un'amara constatazione che rende ancora più evidenti le ferite provocate dalla guerra.

Davanti al museo di Omaha

Ma, per comprendere meglio gli eventi di quell'epoca e collocarli nei luoghi dove si è combattuto, occorre conoscere l'intero territorio della Normandia, la sua storia ma anche la sua geografia. Costituita da due regioni: la Bassa e l'Alta, si estende su una superficie di 30 mila kmq.  

Essa è divisa in cinque dipartimenti: Calvados, Eure, Manche, Orne e Seine-Maritime. Le sue coste, tra grandi spiagge di sabbia, alte e bianchissime falesie, piccole e caratteristiche baie, si snodano per 600 km tra Mont Saint Michel a ovest e la cittadina di Le Treport Criel a nord-est., comprendendo due grandi porti: Le Havre e Cherbourg e città famose come St.Lo, Bayeux ( l'arazzo di Gugliemo il Conquistatore merita una visita), Caen (dove le ferite della guerra sono rimaste impresse nella sua vecchia cattedrale) Rouen, Le Mans e Lisieux cittadina natale di Santa Teresa. La sua natura è lussureggiante con immense pianure, tutte coltivate, molto somiglianti alle campagne inglesi. Spicca la tipica architettura del nord, con case basse e tetti spioventi e l'economia è essenzialmente agricola. Le fattorie, con vacche che pascolano libere,  sono una attaccata all'altra, con il classico “bocage” che le divide e che diede molto filo da torcere alle truppe americane nel combattere i tedeschi. I villaggi si assomigliano quasi tutti, così come le cittadine costiere, dove l'attività della pesca (Grandcamp Mesy) è prevalente.

Sulla piazza di S.M.Eglise

A ricordare la guerra ci sono musei (importante quello dell'Airborne di St. Mère Eglise dove sono esposti un Douglas C-47 utilizzato per il lancio dei paracadutisti e un aliante Waco che con l'Horsa inglese trasportavano i paraglider, mentre nel parco ci sono uno Scherman, un half-track e cannoni antiaerei), come altri dedicati ai Rangers (Grandcamp Mesy), batterie costiere e casematte (Point du Hoc), il grande bunker di Ouisteram, i cimiteri di Colleville (americano ) e La Cambe (tedesco), i micidiali “giardini del diavolo” (tetraedri ideati da Rommel) presenti a Omaha Beach, i monumenti, bello quello a Richard Winters comandante del 506 PIR, Comp. E. della 101a Divisione Aviotrasporata,  a St: Marie du Mont e a Eisenower sulla strada  Bayeux-Caen, cippi che indicano le Route de la Liberté che parte da Utah Beach, steli come a Colleville a ricordo dello sbarco a Omaha Beach,  falesie scalate dai Rangers a Point du Hoc, dove sono ancora visibili le enormi buche, segno dei bombardamenti, il museo de la liberté a Quineville e du débarquement ad Arromanches, dove  in soli 15 giorni dopo il D-Day si è costruito il porto artificiale. Sbarramenti anticarro ancora sulla spiaggia di Utah dove lì, lo sbarco fu più facile che a Omaha. Armi pesanti e leggere,  cannoni e carri sparsi un po' ovunque nei musei e nei bunker, non mancano per  testimoniare  gli eventi bellici qui accaduti.

Camion Dodge

Una divagazione storico-geografica, questa, che ci permette di unire i nostri interessi culturali per tutto ciò che ci appassiona da vicino e riguarda la seconda guerra mondiale,  legata in una unica treccia con la storia passata, che, mazzo dopo mazzo, si annoda e riannoda. Da queste parti epiche spiagge, cariche di avvenimenti, hanno visto succedersi nei secoli sbarchi di altri popoli ed eserciti, partendo dai vichinghi fino agli americani e agli inglesi, che, già, per altro, avevano occupato queste terre in epoca medioevale. Ma la libertà che hanno portato i “liberatori” del 1944 ha giovato a tutti i popoli dell'Europa, quindi, verso di loro dobbiamo rispetto e gratitudine. Riconoscendo nel loro eroismo uno spirito di sacrificio unico, in aiuto a popolazioni oppresse da regimi brutali come quello tedesco.

Carro Sherman

Al di là delle emozioni provate sostando sui luoghi rievocati, dove la storia recente è passata e ha lasciato il segno, quel che più ha impressionato la maggior parte di noi, credo, sia stato vedere, conoscere, parlare con chi qui ha combattuto, i reduci, che a distanza di 70 anni hanno voluto essere ugualmente presenti.  Alcuni di loro sono ormai ultranovantenni, pieni di ricordi rievocati con lucidità e con spirito giovanile che trasuda forza e coraggio. Sono americani, inglesi, canadesi, polacchi, francesi, belgi e olandesi che hanno ripercorso le loro vicende personali di soldati in arme, recandosi, al pari di noi a bordo delle  nostre jeep, sui teatri di guerra che li hanno visti protagonisti, soffermandosi a visitare batterie, trincee, blockouse, cannoni, frequentando campi militari approntati con tende come quelli di St. Mère Eglise, Ste Marie Du Mont, Omaha Beach, oppure rinnovando il battesimo del volo lanciandosi col paracadute, aggrappato alla schiena di un militare di oggi,  come ha fatto un veterano di 90 anni americano, oppure, pur di essere presente ad Arromanches, scappando dall'ospizio, come l'altro veterano inglese. La pietà verso i caduti, la si trova tutta al cimitero americano di Colleville, centro dei festeggiamenti di questo 70mo alla presenza del presidente americano Obama.

La bandiera del Texas e quella americana a Utha

La lunga distesa di croci bianche  lascia senza fiato. Se poi si sosta davanti a qualcuna di queste, l'emozione ti prende. Leggere nome, cognome, luogo e data di nascita, accanto a luogo e data di morte e scoprire che il soldato John aveva solo 20 anni, è un colpo al cuore. Anche qui, veterani, pochi, ma ancora in gamba, assieme a vedove di ex combattenti hanno affollato l'anfiteatro interno dove si erge il monumento principale. Uno di loro, proveniente dall'Indiana, ha raccontato l'atterraggio fatto a bordo del suo aliante che si è capovolto nell'impatto col terreno. Uscito incolume rispetto ad alcuni dei  suoi commilitoni che non ce l'hanno fatta, ha subito iniziato l'ingaggio con un gruppo di tedeschi che li avevano attesi in un campo irto di pali fissati nel terreno per impedire  gli atterraggi, come sulle spiagge Rommel fece fortificare le difese con i suoi celebri “asparagi”. L'emozione più grande si  è provata a St. Mère Eglise il 6  giugno quando  hanno   sfilato una trentina di veterani americani a bordo di altrettante jeep. Nonostante la loro fierezza,  negli occhi di questi reduci  si leggeva una punta di tristezza dovuta al fatto che, data l'età avanzata, sarebbe stato,  per molti di  loro, sempre più difficile ripetere questa esperienza di testimonianza e presenza in Normandia il giorno della ricorrenza del  D-Day. Il viaggio rievocativo finisce qui. Ma se in guerra “non c'è niente di sicuro”, come affermò Eisenhower in una intervista rilasciata al noto giornalista americano Walter Cronkite negli anni '60, quel che è certo di Overlord è che continuerà il perpetuarsi della memoria, perché “questa operazione è stata concepita per essere una vittoria”, poiché  , per dirla con un altro celebre generale americano, Mc Arthur, “in guerra non c'è nulla che sostituisce la vittoria”.

 

 Point du Hoc

Telescopio orizzontale in un  bunker tedesco

Interno di un bunker

Accampamento militare a Omaha

John Steel a St. .Mère Eglise

Il nostro inviato Gianfulvio Bruschetti

Monumento a Richard Winters comandante 506 PIR Comp. E della 101a Airborne

A Utha Beach

Cimitero americano a Colleville

A colloquio con un veterano

Ornella e il cannone

Monumento a Richard Winthers comandante 506 PIR - Comp. E - 101a Div.

Veterani americani al cimitero di Colleville

Cassone galleggiante al porto di Aromache

Quistreham visto dal bunker

Ingresso a Briquebeck

In marcia

Tutti in fila ad Arromanche

Alla conquista del castello di Briquebeck

Le falesie vista da Point du Hoc

Le foto sono dell'autore

Il Galileo