Inattesa rivelazione da uno sceneggiato televisivo

Se anche Emile Zola

plaude al consumismo

 

 

di Mario Talli

 

      Probabilmente l'istinto proprietario ha la stessa età dell'uomo; forse è proprio nato con lui, derivato quasi automatico dei suoi bisogni primordiali. Ad un'altra specie, in parte ancora istintiva ma soprattutto sistematica e razionale, deve appartenere il processo successivo, quello dell'accumulazione capitalistica. In entrambi i casi si tratta di due fenomeni che hanno regolato fino ad oggi e regoleranno chissà per quanto tempo ancora il  mondo degli umani, continuando a farli un poco assomigliare, anche per questo verso,  alla specie animale. Almeno due grandi dottrine religiose e filosofiche hanno cercato di ribaltare questo indirizzo ma non ci sono riuscite né agendo dall'interno per mezzo della spiritualità e della metafisica, né operando dall'esterno attraverso la dialettica e la prassi materialistica e rivoluzionaria. 

           A queste riflessioni ad ampio spettro – forse anche eccessivamente ampio – mi ha indotto un teleromanzo a puntate trasmesso per alcune domeniche da Laeffe, la tv della casa editrice Feltrinelli che non di rado si distingue per l'alto tasso di qualità e di eleganza delle sue trasmissioni. Lo sceneggiato ha per titolo The Paradise ed è tratto da un romanzo dal nome quasi analogo che  Emile Zola (foto a sinistra) scrisse alla fine dell'800: “Al paradiso delle signore”. Quando lo scrittore nel 1859 arrivò a Parigi aveva 19 anni e fu impressionato dal trovare una città in piena trasformazione. Più ancora che le attività industriali, gli parve che fosse il commercio a imboccare con decisione le vie di uno sviluppo fino ad allora sconosciuto. Nell'introduzione alla prima o a una delle prime edizioni del romanzo, a firma di Colette Becker (così ricca di notizie, di riferimenti storico-ambientali, di considerazioni e di dati sul lungo percorso preparatorio dell' autore) da valere essa stessa da sola il prezzo di copertina, si racconta come  nacquero e si svilupparono i primi empori e grandi magazzini e la rivoluzione che nel corso degli anni tale presenza provocò nel mondo del commercio e non solo, fino ad allora popolato da una miriade di singoli negozi più o meno grandi.      

    Basti dire che il primo dei grandi magazzini di cui si parla nel libro, il “Bon Marché”, sorto nel 1852 dalla trasformazione di una vecchia bottega di merceria, da un volume di affari iniziale  di  450 mila franchi, in soli otto anni raggiunse i cinque milioni di franchi, che diventarono 7 tre anni dopo,  21 nel '69, più di 80 nell'82 e 123 nel 1888.

Il palazzo del Bon Marché a Parigi

     La cosa che più mi ha sorpreso dalla lettura del libro è apprendere che un fenomeno come quello  della grande distribuzione, che da noi si è affacciato soltanto nel secondo dopoguerra altrove, e non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, era già presente più di mezzo secolo prima. Anche in Italia l'800 registrò un caso isolato: nel 1865 in via Santa Redegonda a Milano sorse il primo negozio in cui si vendevano abiti pre-confezionati. Ma fu, appunto, un caso isolato. Una quindicina di anni dopo un grande magazzino fu aperto sempre a Milano, questa volta addirittura in Piazza del Duomo e questa  sua dislocazione dovette avere un significato non trascurabile. E' l'emporio la cui attività fu rilevata nel 1917 dal senatore Borletti e a cui D'Annunzio ( foto sotto, a destra) attribuì il nome speranzoso e avveniristico di La Rinascente, comprensivo di significati politici e letterari legati alla realtà di quel primo dopoguerra ancora sofferente per le ferite del conflitto e attraversato da un presente popolato di spettri che pochi anni dopo sarebbero diventati carne e sangue.

       Un altro motivo di sorpresa è scoprire ancora una volta che è sempre più difficile escogitare qualcosa di nuovo e che molte novità, soprattutto in economia come probabilmente anche in politica, sono in realtà aggiustamenti e perfezionamenti di esperienze precedenti. Volete sapere a cosa fu anche dovuto il grande e rapido successo della grande distribuzione dei tessuti per il vestiario e l'arredamento, della biancheria intima, delle creme e dei profumi e degli altri articoli che avevano come ovvio acquirente quasi esclusivo il genere femminile?   “Ad attirare la clientela – ci spiega la Becker  – provvedevano pagine intere di giornali, cataloghi inviati in tutta la Francia e all'estero, materiale illustrativo, campionari. Quando, nel 1882, Zola si documentò per scrivere il suo romanzo  fu colpito dall'importanza che queste ditte davano alla pubblicità: 500.000 franchi le erano stati destinati al Bon Marché, più di un milione al Louvre “ (un altro emporio parigino di stoffe, tessuti e prodotti per l'abbigliamento – n.d.r.) che per questa sola attività di promozione commerciale “occupava cento dipendenti in un ufficio specializzato”

       L'allora ancora giovane romanziere fu talmente colpito dal nuovo fenomeno e soprattutto dalle profonde mutazioni che provocò non solo nell'apparato commerciale ma anche nel mondo del lavoro, della fisiologia urbana, delle abitudini e del costume che lesse quell'epoca come caratterizzata dalla presenza di “quattro mondi”:

Popolo, costituito da operai, modesti impiegati  e militari;

Mondo del commercio e della grande industria, speculatori sulle demolizioni e le nuove  costruzioni, empori di alta moda e altre attività rivolte a soddisfare le ambizioni femminili;

Borghesia, costituita in massima parte dai figli dei nuovi ricchi;

Alta società, composta da alti funzionari e ufficiali, personaggi del gran mondo e della politica;

     Zola aveva contemplato anche un altro mondo, un mondo a parte curiosamente popolato da prostitute, assassini, preti, artisti.

          Come era solito fare, il grande scrittore naturalista impiegò molto tempo per la raccolta di materiale informativo e per la documentazione di cui si sarebbe poi servito per la stesura del romanzo. Ebbe anche molti contatti di tipo personale e confidenziale. In particolare studiò la storia  dei due tra gli empori più importanti, il solito Bon Marché e il Louvre, “la loro amministrazione, il funzionamento dei loro servizi, dai solai agli scantinati, i procedimenti di vendita, i vari tipi di dipendenti, la loro vita, ecc. Abbozzò una descrizione delle vetrine, dei reparti, della folla dei compratori in una giornata di vendita promozionale...” Infine, realizzò “piantine, bozzetti e alcuni elenchi di termini tecnici” . Ben 64 pagine di appunti gli occorsero inoltre per raccogliere notizie e informazioni sulla vita, il lavoro, il trattamento economico e lo stato d'animo dei commessi e delle commesse

    Quest'ultimo scrupolo documentario serve allo scrittore non solo per completare il quadro conoscitivo d'assieme, ma soprattutto perché il romanzo si sviluppa e vive come sempre avviene attraverso le vicende, le storie personali, le ambizioni, gli egoismi,le piccole e grandi crudeltà, i sogni, le gioie e i dolori dei personaggi che a vario titolo operano in quelle nuove realtà: l'intraprendente Octave che ingrandisce il suo emporio grazie al sostegno di un barone che è anche direttore del Crédit Immobilier, presentatogli dall'amante; la dolce Denise, la cui solerzia suscita   l'invidia perniciosa di alcune tra le altre commesse e molti altri.

Il palazzo della Rinascente di via del Coso, a Roma. Il magazzino romano su inaugurato nel 1910

        Se le storie dei personaggi principali e le loro relazioni a volte complicate costituiscono come è ovvio il tessuto principale del romanzo, esse sono il pretesto come spesso avviene e come accade soprattutto in un romanziere come Emile Zola, per una rappresentazione d'assieme di una società e di un mondo, nella fattispecie di una società che aveva individuato in una esasperazione dei consumi, ossia in ciò che oggi si chiama consumismo, l'occasione per promuovere un certo tipo di sviluppo, ma soprattutto per accumulare grandi ricchezze.

       E' alla luce di quest'ultima annotazione che secondo me acquista un senso il preambolo piuttosto ardito con cui ho voluto aprire questo articolo. La brava Colette Becker nella sua introduzione si sofferma più volte sui costi umani e i veri e propri disastri provocati dalle repentine e unilaterali mutazioni causate dall'affermazione dei grandi magazzini: espropri, fallimenti, scomparsa di un gran numero di piccoli negozi, bottegai venuti  a trovarsi improvvisamente senza un lavoro e con un futuro incerto. Tutte queste conseguenze e sventure, ella nota “sono minuziosamente evocate da Zola”, ma contrariamente a quanto lei stessa sembra  fosse indotta a supporre,  “non condannate” dal medesimo.

          Scriverà infatti Zola, che pure è uomo non certo insensibile al cospetto delle ingiustizie e alle prepotenze cui molto spesso sono soggette le persone che non hanno la ventura di nascere ricche: “Prenderò i genitori di Mme Hédouin, un merciaio, una cucitrice, un negoziante di maglieria, e li mostrerò rovinati, spinti al fallimento. Ma non piangerò su di loro, al contrario: perché voglio mostrare il trionfo dell'attività moderna; essi non appartengono più al loro tempo; tanto peggio! Sono schiacciati dal colosso.”

          Confesso che queste parole mi hanno sorpreso. Da Emile Zola, non me le sarei aspettate. Tra l'altro hanno un suono che proprio di questi tempi non è del tutto nuovo e risuonano sempre più spesso sulla bocca di persone che si dichiarano di sinistra. Magari sono proprio io ad essere fuori sintonia, dal momento che mi ostino a non voler capire le magnifiche sorti e progressive del precariato universale.                                

Il Galileo