Corruzione e fancazzismo:

due mali cronici della società italiana

Siamo così assuefatti a questo tipo di reati da non  scandalizzarci più – Vane le speranze di una società migliore da edificare sulle ceneri di tangentopoli

 

 

di Mario Talli

 

 

      Nel nostro Paese gli episodi di malcostume crescono in maniera impressionante. E si ha anche la sensazione – circostanza forse anche peggiore -  che l'opinione pubblica ci abbia fatto il callo, non si scandalizzi più. Le cronache giornalistiche dei primi giorni del nuovo anno da questo punto di vista offrono un quadro quanto mai esauriente: a Roma, come non bastasse quanto era emerso col  connubio neri-mafia-cooperative di comodo, è risultato che la notte del 31 dicembre l'83,5 % dei vigili urbani non erano in servizio; erano rimasti a casa colpiti da improvvise documentate indisposizioni.  Pochi giorni dopo, sempre nella Capitale, sono stati arrestati ventidue tra  pubblici funzionari e imprenditori per una storia di mazzette e tangenti pretese ed elargite. La salute cagionevole non è tuttavia una peculiarità della “Polizia di Roma capitale”, come da un po' di tempo a questa parte amano definirsi i vigili di quella città, quasi volessero marcare una sorta di supremazia rispetto ai colleghi disseminati lungo lo Stivale. In una scuola di Menfi, provincia di Agrigento, è stata aperta un'inchiesta perché quattro insegnanti su dieci sono sospettati di assenteismo cronico.

Sfilata di motociclisti della Polizia Municipale di Roma, attuale Polizia di Roma Capitale

 

 

     Qualcuno forse dirà che non sono fatti nuovi. Ma non è proprio così. Pur se episodi del genere sono avvenuti anche in passato, la novità consiste nella proliferazione del malaffare e nella sua progressiva estensione dal punto di vista numerico. Finora il fenomeno era costituito da casi riferibili a soggetti singoli o quasi. Ora invece tende sempre più a interessare gruppi di persone, categorie e collettività anche  numerose.

        Quando è avvenuto il salto di qualità (si fa per dire), l'aumento del numero e del peso specifico degli episodi di malcostume e dei veri e propri reati? Rispondere a questa domanda non è facile. Per tentare di farlo bisogna prima fissare alcuni parametri. O, più esattamente, porsi un interrogativo preliminare: è possibile oppure no che  il malcostume abbia delle cause, che si propaghi per imitazione, per abitudine o anche solo per conformismo? Fino al punto da far scolorire l'idea del fatto sconveniente o del vero e proprio reato? In altre parole perché altri lo hanno praticato o lo praticano? Se ci si riflette, questi tre modi di essere e di agire – imitazione, abitudine, conformismo – appartengono alla stessa famiglia.

       Ebbene, io penso che si, che sia possibile individuare delle possibili cause e di conseguenza anche i tempi.  Nel dare questa risposta affermativa mi rifaccio ad un avvertimento che un tempo i giornalisti più anziani dispensavano ai cronisti esordienti: non riferite mai, se non in casi di assoluta necessità, notizie di suicidi perché pare sia dimostrato che esse inducano altri a compiere il medesimo gesto disperato e definitivo.

        Ammettiamo dunque che le cattive azioni o i gesti disperati rivolti verso se stessi si propaghino  talvolta alla stregua di una malattia infettiva. A questo punto non dovrebbe essere difficile individuare l'origine del focolaio e il momento della sua massima virulenza. (Nella foto a destra: Il Pizzardone, cioè il vigile urbano romano che indossava il cappello a pizzo, ritratto in quadro di Domenico Cucchiari).

 

        Chi ha parecchi anni dietro le spalle ha anche il privilegio di disporre di un tempo più lungo per le verifiche e i raffronti.  E non è certamente un caso se molti di questi osservatori privilegiati fanno risalire ai primissimi anni Novanta l'origine della mutazione del malcostume da fenomeno tutto sommato abbastanza isolato a fenomeno diffuso, a vera e propria malattia sociale. Quel periodo, dal punto di vista politico e istituzionale, costituisce una specie di spartiacque tra due differenti stagioni politiche, nel senso che ne finisce una e ne comincia un'altra. E' infatti in quegli anni che si manifestano, in dipendenza di accadimenti interni e internazionali di assai diversa natura, le prime avvisaglie del tramonto del dominio quasi assoluto della Democrazia cristiana  e del sistema di potere fondato sull'esistenza di partiti fortemente strutturati e rappresentativi di una larga  fascia di opinione pubblica.

        Come si sa uno dei fattori determinanti di quella crisi epocale fu lo scandalo efficacemente descritto dallo slogan cui arrise subito una grande fortuna: Tangentopoli. Dal dopoguerra in poi non erano certo mancati gli episodi di malcostume, assieme a tutto il resto: le stragi, gli attentati, le trame golpiste ecc. Ma per quanto anche allora piuttosto diffuso, il malcostume era rimasto appannaggio di singoli personaggi o di centri di potere facilmente individuabili e, volendo, eliminabili. La differenza con quanto avviene oggi, come abbiamo già cercato di dire, è che il malcostume è sempre meno riferibile a casi singoli e isolati, si è propagato. E si è propagato a tal punto da non suscitare più alcun sussulto di coscienza sia pure postumo nei responsabili delle malefatte, ma neppure sentimenti di ripulsa in un'opinione pubblica che rischia di non riuscire a reagire più per una sorta di assuefazione. (Nelle foto sopra: a sinistra, Antonio di Pietro e, a sinistra, Gherardo Colombo, i due PM milanesi principali protagonisti dei Mani Pulite).

 

      Probabilmente furono in molti in quel '91-'92 o giù di lì, quelli i quali sperarono che il fragore provocato dello scandalo di Tangentopoli avrebbe segnato l'inizio di una fase nuova e migliore sotto il profilo della morale pubblica. Mai speranza si rivelò più sbagliata.

        Invece di inviare segnali positivi di risarcimento morale e di rinsavimento, la cosiddetta Seconda Repubblica esordì muovendosi in modo del tutto opposto: decretando che alla guida del governo avrebbe potuto accedere anche una persona in evidente, clamoroso conflitto di interessi. Una situazione che qualsiasi altro paese dell'Occidente democratico avrebbe mai tollerato. Chi mal comincia...., dice il proverbio. Ed infatti è andata proprio così. Quel conflitto “velenoso”, fondato sulla potenza anche solo oggettivamente corrosiva del denaro, ha suggestionato, assoggettato e condizionato persone e gruppi, enti e istituti e in primo luogo uno strumento delicato ed essenziale e  purtroppo anche fragile e facilmente vulnerabile come l'informazione  giornalistica e radio-televisiva.

            Proprio all'uso improprio, superficiale e talvolta perfino riprovevole (per volontà precisa o per insipienza) del mezzo soprattutto televisivo si deve secondo chi scrive lo scadimento di valori e di senso civico che affligge l'Italia di  questi nostri anni. Non a caso tutto cominciò col definire insopportabili, come fossero parole vane e stucchevoli, frutto di menti schizzinose, espressioni  come  “moralità”, “onestà”, “etica”, “valori”.               

Il Galileo è Charlie Hebdo