I LIBRI

 

 

Recensione di Giuseppe Prunai

 

Luca Liguori: “Whisky dopo il tramonto – dal nostro “inviato quasi speciale” – 50 anni intorno al mondo e dentro la storia”; Minerva Edizioni, € 15

Una premessa. Quando Luca Liguori, nel lontano 1953, cominciò giovanissimo la carriera di radiocronista, il sottoscritto era uno studente ginnasiale con aspirazioni giornalistiche concretizzate  con  saltuarie collaborazioni a modesti fogli di provincia. Ma aveva anche la passione per la musica jazz e la sera, mentre i genitori ascoltavano alla radio programmi di varietà  (la TV era di là da venire) si ritirava in camera sua e con la radio a galena si sintonizzava sulla “Rete Rossa”, futuro “Secondo programma” e futura “Radiodue”, per ascoltare il programma della musica preferita,  in onda subito dopo un Giornale radio che si concludeva con la cronaca di un torneo internazionale di tennis,  in notturna, a Milano. E a raccontare le gesta della coppia dei tennisti italiani Cucelli e Del Bello era il nostro Luca Liguori del quale mi colpì la voce atipica e l’ à plomb, cioè il non lasciarsi troppo coinvolgere dagli avvenimenti e cominciare ad urlare accelerando al massimo il ritmo del parlare, così come fanno tanti radio e telecronisti contemporanei con il risultato di non far capire nulla di quanto stia accadendo.

Quando, a metà degli anni 60, approdai alla radio RAI, al giornale radio unico, me lo ritrovai come collega anziano, ormai affermato, con il quale stabilii un ottimo rapporto. Durante la guerra indopakistana, ero io a ricevere i suoi servizi scrivendo la traccia del titolo ed ero sempre io che, collegando con un cavetto un telefono urbano ad  una centrale d’ascolto del sonoro internazionale, riuscivo a farlo parlare con la moglie. Luca mi fu grato di questo e, al ritorno, mi portò in regalo una cravatta indiana, di pura seta, che conservo ancora anche se non metto mai per quel suo motivo alla “Paolo Limiti” che alla mia età mi sembra ridicolo.

Poi, con la riforma RAI del ’76, ci dividemmo: io al GR1 e lui al GR2, per ritrovarci alla riunificazione delle testate. Anzi, per circa un anno, fui il suo vice agli speciali di Radiodue, dove ero stato parcheggiato, in attesa di ritornare a quelli del GR1.

E’ poi così strano se, leggendo la sua prosa, mi sembra di sentirlo parlare?

Perché “Whisky dopo il tramonto”? L’espressione è certamente più romantica di quella inglese, che riferendosi alla bevanda nazionale, recita: “mai prima delle cinque del pomeriggio!”, cioè mai prima dell’ora del the. Nei circoli coloniali inglese in Africa, il five o’ clock è stato ribattezzato e, riferisce l’ albergatore amico di Liguori, è stato… esteso. Nei grandi orologi vittoriani da parete che troneggiano in tutti i club inglesi nei paesi coloniali, i gentleman beoni hanno sostituito tutti i numeri delle ore con il 5.

Il libro è il diario di una vita professionale (e non solo)  ed una galleria di personaggi e di incontri con chi ha fatto la storia recente. Madre Teresa di Calcutta, lo Scià di Persia  e Farah Diba, Indira Gandhi e l’insperata intervista concessa a Liguori dal capo di stato indiano, l’avvocato Agnelli e Marcello Mastroianni che, durante un viaggio aereo Roma-Los Angeles per assistere alla consegna dell’Oscar a Federico Fellini, si abbandona ad una lunga intervista-confessione, una delle sue ultime, da cui traspare un personaggio di una rara umanità e semplicità.

E poi tanti colleghi scomparsi come Ruggero Orlando che è stato il maestro di più generazioni di giornalisti radio e televisivi, uno di quelli che fiutano le notizie là dove si credono impensabili. E qui Liguori racconta alcuni episodi, come un servizio, rigorosamente a braccio (non ho mai visto Ruggero scrivere una riga) sulle nuove tecnologie al servizio dell’uomo e contro il crimine prendendo spunto da una rapina in banca (una delle tante consumate ogni giorno a New York) finita con l’arresto dei malviventi perché il “palo” che attendeva su un’auto rubata non fu in grado di fuggire perché la macchina aveva il cambio manuale e non automatico e lui non la sapeva guidare. E Oriana Fallaci. “O bischero – gli disse lasciando Città del Messico nell’ottobre del 1968 con decreto d’espulsione dopo essere stata ferita durante il massacro di Piazza Tlatelolco, alla vigilia delle Olimpiadi -  Sei sempre un bischero, ma almeno non ti sei defilato come gli altri tuoi colleghi”.

Pagine che suscitano i ricordi ed anche l’imbarazzo del recensore perché si parla di comuni frequentazioni (incontravo Orlando quasi ogni giorno in via del Corso, a Roma, dove lui viveva da pensionato, e facevamo lunghe chiacchierate), e la Fallaci che a Firenze, abitava di fronte a me, in via Giovanni Prati, e ci salutavamo dalla finestra,  e di incontri che abbiamo avuto quasi contemporaneamente: Giovanni Paolo II e Amalia Liana Negretti Odescalchi Cambiasi, che sotto lo pseudonimo di Liala,  scrisse e pubblicò, fra gli anni 30 e 80 del 900, un numero incredibile di romanzi e racconti definiti “rosa”. Molti altri sono stati pubblicati postumi ed hanno avuto un grande successo. Anche Liala è stata una frequentazione comune poiché la incontravo, nelle estati degli anni 60, in vacanza a Vallombrosa, dove io andavo a far visita ai miei genitori, che scappavano dal caldo fiorentino. (Nella foto a destra, Liguori durante il conflitto indo-pakistano)

Dal racconto di Luca, mi sembra di vedere i due personaggi, il papa e la scrittrice (mi si perdoni l’accostamento) balzar fuori dalle pagine del libro, parlare e scherzare con l’interlocutore. Perché Papa Wojtyla, quando era ancora nel pieno delle sue forze, prima dell’attentato, amava scherzare con tutti.

Ma le due chicche del libro, mi sembrano l’incontro con Léopold Sédhar Senghor, grande politico e grande poeta, che durante un’intervista comincia a recitare i versi di una sua lirica dedicata all’Africa, che chiama “Terra promessa”, e quello con Albert Schweitzer, il medico dei lebbrosi di Libreville, capitale del Gabon. Un’enciclopedia lo definisce medico, musicista, filantropo, filosofo, biblista, teologo luterano e massone. Ma fu soprattutto medico e filantropo, insignito del Nobel per la pace nel 1952, attivista contro le armi nucleari, e fine musicista. A sera, dopo una giornata di duro lavoro in ospedale, dopo aver fatto il punto con i suoi collaboratori, “le grand docteur” si ritirava nella capanna dove viveva e, dopo una frugale cena,  sedeva all’organo e si abbandonava alla melodia della pastorale luterana di  Bach.

Difficile elencare tutti i tantissimi   personaggi  incontrati da Luca Liguori durante la sua carriera. Ve ne sono di importanti, come Gheddafi ed Hemingway, Mario Soldati e la sua corte di Tellaro e tanti, troppi colleghi della Radio Rai che non ci sono più. E qui, Luca Liguori, con grande  realismo, ma anche con molta nostalgia, conclude la sua fatica con un aforisma di Ennio Flaiano: “Coraggio…il meglio è passato!”      

Il Galileo