Un film di Pietro Germi del 1950

torna oggi di drammatica attualità

Il cammino della speranza

Si parla di lavoro che non c’è, di emigrazione, di guardie alla frontiera che chiudono volutamente gli occhi

 

di Giuseppe Prunai

 


 

 


Lungo i confini troverete sempre i soldati, soldati dell'una e dell'altra parte, con diverse uniformi e diverso linguaggio, ma quassù, dove la solitudine è grande, gli uomini sono meno soli e certamente più vicini che nelle vie e nei caffè delle nostre città dove la gente si urta e si mescola senza guardarsi in faccia… Perché i confini sono tracciati sulle carte, ma sulla terra come Dio la fece, per quanto si percorrano i mari, per quanto si cerchi e si frughi lungo il corso dei fiumi e lungo il crinale delle montagne, non ci sono confini, su questa terra


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Queste parole, scandite dalla voce fuori campo di Pietro Germi (foto in alto a sinistra), sottolineano la scena finale del “Il cammino della speranza” che mostra i migranti sciamare sulla neve verso la Francia che, nella loro ingenuità, sarebbe stata una sorta di “terra promessa” in cui risolvere tutti i problemi di lavoro che avevano in patria. Gli altri due autori del soggetto, Federico Fellini e Tullio Pinelli (il terzo era Pietro Germi, che curò anche la regia del film) contestarono questo pistolotto denso di retorica. Era il 1950 e il ricordo della vana ed insulsa retorica patriottarda del regime fascista era ancoro vivo e certe espressioni facevano venire l’orticaria a chi le ascoltava. Adesso, alla luce di quanto accaduto dopo, non ce la sentiamo di rifiutare a priori simili concetti, anche se espressi con un linguaggio ridondante e, a tratti, ingenuo e desueto.

“Il cammino della speranza” è un film sulla miseria e sull’emigrazione. Dopo la chiusura di una miniera di zolfo nei pressi di Favara, in provincia di Caltanissetta, un gruppo di operai, vista inutile ogni forma di lotta, condotta soprattutto con l’occupazione dell’impianto, cede alle lusinghe di un personaggio, tale Ciccio Ingaggiatore, che dietro il compenso di 20mila lire a persona (una cifra consistente per l’epoca) promette di condurre il gruppo in Francia, in quel presunto eldorado dove ci sarebbe stato lavoro per tutti. Ingaggiatore è, sostanzialmente, lo scafista di oggi, che alla prima occasione tenta di scaricare tutti  e filarsela con i soldi. Scoperto da due dei migranti, confessa che con una comitiva così numerosa sarebbe stato praticamente impossibile varcare il confine. I tre si accordano: andranno a Roma, là la comitiva verrà abbandonata e Ingaggiatore porterà i due in Francia. Ma a Roma, Ingaggiatore viene denunciato alla polizia da uno del gruppo. Ne segue una sparatoria tra polizia e i tre che fuggono, tutti gli altri vengono arrestati e viene loro intimato di tornare a Favara. Ma gli emigranti rifiutano di tornare indietro. Stracciano il foglio di via e, grazie al passaggio offerto da un camionista, raggiungono una località dell’Emilia dove, un fattore, offre loro un lavoro retribuito. In seguito, scoprono che erano stati ingaggiati per sostituire dei braccianti in sciopero. Scontri, disordini, e il gruppo dei migranti si divide. Alcuni decidono di tornare in Sicilia, mentre altri puntano verso il confine italo-francese. Riusciranno a passare, ma, mentre scendono  a valle sulla neve vengono intercettati da due pattuglie di confine, una italiana e l’altra francese. Saputo che il gruppo veniva dalla Sicilia, il comandante degli Chasseurs des Alpes e quello degli Alpini quasi si commuovono. “Allez, allez” grida il francese e mente i minatori riprendono il loro faticoso cammino sulla neve, piove il discorso di Pietro Germi, superbo regista e cosoggettista di una pellicola che adesso è di scottante attualità. Bellissime le interpretazioni di Raf Vallone e di Elena Varzi. Il film vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino.

Da ricordare che la pellicola  diffuse per la prima volta la canzone “Vitti ‘na crozza” scritta dal maestro Franco Li Causi sul testo di una ballata in dialetto siciliano, appresa da un vecchio minatore di Favara.

Per rivederlo, segnaliamo che se ne trovano alcuni spezzoni su Youtube ma ci chiediamo perché la Rai non lo ritrasmetta, vista la sua drammatica attualità.

Quando uscì, come molte delle pellicole di Germi, non piacque né alla critica di sinistra né a quella cattolica e il comitato tecnico ministeriale gli negò le agevolazioni fiscali previste per la cinematografia nazionale. Motivo: l’immagine negativa data  dell’Italia all’estero. Del resto i film di Germi a sfondo sociale, come “In nome della legge” o  “Il ferroviere”,  sono sempre stati accolti con un certo fastidio dal pubblico che, recandosi al cinema cercava un’evasione e voleva dimenticare i problemi quotidiani, dai sindacati perché le pellicole di Germi ne mettevano in luce un certo pressappochismo, dai partiti di sinistra che rivendicavano il monopolio della protesta,  dai benpensanti che si preoccupavano per l’immagine del nostro paese e non erano propensi a guardare dietro la facciata dell’incipiente miracolo economico. Infine della critica che, probabilmente per partito preso, negava a Germi quel ruolo di cineasta di denuncia che invece attribuiva e avrebbe attribuito nel tempo ai Visconti, ai Rossellini, ai Rosi, ai Monicelli e via dicendo. Inoltre la sinistra contraddiceva lo stereotipo dell’operaio realizzato da Germi: vi trovava, in fondo, un’aspirazione borghese, un’ideologia di taglio socialdemocratico.

Pietro Germi (Genova 1914 – Roma 1974) con le sue opere finì per dividere la sinistra. L’intellighenzia comunista lo emarginò. Ma ci furono anche delle voci (e che voci!) fuori coro: Antonello Trombadori, Carlo Salinari e Paolo Spriano scrissero nel 1956 una  lettera privata a Palmiro Togliatti (resa pubblica solo nel 1990)

con la quale chiedevano al segretario del partito di incontrarsi con Germi per non allontanare un uomo, e i "mille come lui", così importante per il movimento antifascista : «Veniamo proprio in questi giorni dall’aver visto un film italiano assai bello e commovente, certamente popolare: "Il ferroviere", di Pietro Germi. È un’opera di un socialdemocratico militante, eppure è un film pervaso da ogni parte di sincero spirito socialista». Non sappiamo se l’incontro, magari in privato, sia mai avvenuto. Fatto sta che le polemiche nei confronti di Germi si attenuarono fino a cessare del tutto.

Negli ultimi anni della sua carriera Germi si dedicò alla cosiddetta commedia all’italiana. Ma grattando le immagini, ne esce un contenuto sociale società come in “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata”, “Signore e signori”, vere e proprie denunce dell’ipocrisia borghese.

Tornando al “Cammino della speranza”, il ricordo di alcune scene si mescola con le immagini dei migranti trasmesse  dalla TV. E quando si è vista la polizia ungherese respingere i profughi con metodi da SS inevitabilmente abbiamo rivisto la scena dell’incontro con gli Alpini e gli Chasseurs des Alpes. Ma quest’ultima è una favola pregna di poesia, mentre l’altra è la cruda realtà.

Negli ultimi anni della sua carriera Germi si dedicò alla cosiddetta commedia all’italiana. Ma grattando le immagini, ne esce un contenuto sociale società come in “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata”, “Signore e signori”, vere e proprie denunce dell’ipocrisia borghese.

Tornando al “Cammino della speranza”, il ricordo di alcune scene si mescola con le immagini dei migranti trasmesse  dalla TV. E quando si è vista la polizia ungherese respingere i profughi con metodi da SS inevitabilmente abbiamo rivisto la scena dell’incontro con gli Alpini e gli Chasseurs des Alpes. Ma quest’ultima è una favola pregna di poesia, mentre l’altra è la cruda realtà.

 

 

Il Galileo