Donne e salari

Praticamente lavorano gratis

 

 

 

di Magali Prunai

 

Un corteo di suffragette a New York

Dal primo novembre le donne lavorano gratis. Dal primo novembre al trentuno dicembre secondo uno studio dell’Unione Europea effettuato in occasione dell’ “Equal Pay Day” le donne, anche se retribuite, lavoreranno comunque gratis rispetto ai salari più elevati dei colleghi uomini di pari grado, categoria, anzianità etc. etc.  Un dato globale, diffuso su larga scala. Un dato molto amaro.  L’Italia, come al solito, si posiziona ai posti più bassi nella classifica europea, con una retribuzione femminile inferiore a quella maschile del 7% circa. Un dato allarmante, ma che comunque non tiene conto della bassa occupazione femminile nel nostro paese, soprattutto in alcune regioni definite “depresse”. Una consolazione molto aleatoria. Nel nostro paese le donne sono pagate poco e male ma solo perché a lavorare sono in poche. Se la maggioranza delle donne lavorasse, allora, il dato probabilmente sarebbe ancora più allarmante e lugubre.

Spiegano gli esperti che nonostante sulla carta esista la perfetta uguaglianza fra lavoratore e lavoratrice, nella pratica questa diversità continua ad esserci. Il dato discriminatorio è determinato soprattutto da un fattore culturale che relega la donna al ruolo di moglie, madre e solo in ultimo di lavoratrice. Se negli anni ’60 si approvavano leggi per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di una donna, pensando che in futuro certi aspetti discriminatori sarebbero stati solo un vago ricordo di una società paternalistica e fortemente maschilista, oggi i datori di lavoro non si fanno alcuno scrupolo a far firmare lettere di dimissioni in bianco alla lavoratrice o a bloccare le carriere per “impedimenti” biologici.

La questione è soprattutto culturale e dipende dai differenti ruoli uomo/donna nella società e nella famiglia. Ruoli che sono ancora oggi considerati ben distinti e non assimilabili l’uno all’altro. Quando una donna viene assunta in un ufficio si dà per scontato che prima o poi chiederà dei congedi o dei permessi perché rimarrà incinta o perché il bambino ha la febbre. Quando viene assunto un uomo non ci si pone il problema, perché tanto a occuparsi di una probabile prole c’è e ci sarà sempre una moglie. (A sinsitra: Emmeline Pankurst arrestata dopo aver protestato dinanzi a Buckhingham Palace a Londra.

E’ recente il caso di una ragazza di Mestre rimbalzato da una pagina facebook a un’altra fino ad essere ripreso da molti Media. Dopo essersi proposta come hostess per un’agenzia viene convocata per un colloquio. Il titolare le rivolge fin da subito delle domande che hanno molta poca attinenza con il lavoro che dovrà svolgere, “sei sposata?”, “convivi?”, “hai figli?”. Domande considerate lecite dal titolare dell’agenzia perché, spiega lui, lo aiutano a determinare le disponibilità lavorative dell’aspirante hostess. Alle sue rimostranze il colloquio viene interrotto bruscamente: o si risponde o ci si può accomodare alla porta. Le risposte, per questa ragazza come per chiunque altra, sono facili, immediate. Non costerebbe nulla rispondere se non si possedesse una dignità e un orgoglio. La dignità di essere umano, il proprio orgoglio di umano e di donna, la libertà di possedere una sfera privata che non interferisce con quella lavorativa. La ragazza in questione fa notare che a prescindere dall’esistenza o meno di fidanzato, marito, compagno, figli lei ha esperienza nel campo e, soprattutto, parla numerose lingue. Ha un curriculum di tutto rispetto, ma il probabile (o improbabile) datore di lavoro non è interessato alle sue qualifiche, è interessato solo alle sue necessità biologiche. Probabilmente mentre le rivolgeva queste domande dentro di sé pensava come mai una donna di 27 anni (questa l’età della ragazza) non fosse a casa ad allattare i figli, a pulire, cucinare e stirare le camicie al marito.

Una manifestazione femministra nel 1968 in Italia

La questione, nel 2015, ritorna sempre al punto di partenza: la donna è prima di tutto madre e moglie e deve vivere e accettare di vivere in questa società che la considera un oggetto non pensante, un’incubatrice vivente con in più la funzione della domestica. La domestica, parola italiana femminile che indica una collaboratrice che aiuta negli affari della casa. Parola usata per lo più al femminile perché il ruolo di “Cenerentola” (altra donna) spetta sempre a una donna. Ma se “Cenerentola” nella favola viene maltrattata da altre donne e salvata dal principe azzurro, le Cenerentole moderne sono schiere di lavoratrici di ogni genere maltrattate da tanti aspiranti principi azzurri, sempre pronti a correre in aiuto della fanciulla in pericolo, ma incollati alle loro scrivanie per non lasciare spazio a colleghe probabilmente più competenti.

Se dal primo di novembre le donne lavorano gratis possiamo ringraziare per questo la cultura “machista” che, anche se una volta sembrava quasi sconfitta, è tornata prepotentemente in auge. Se negli anni ’60 e ’70 si combatteva per l’uguaglianza sotto la bandiera del femminismo, ora si confonde quell’uguaglianza con la capacità di compiere gli stessi sforzi fisici (mi è capitato di sentir dire più volte “avete voluto l’uguaglianza? E allora aiutami a spostare quel tavolo!”) demonizzando la parola e il concetto di femminismo.

La polizia italiana cvaruca un corteo di femministe negli anni 70

“Femminismo è un altro modo per dire uguaglianza” ha affermato recentemente l’attivista pakistana per i diritti umani e, soprattutto, delle donne  Malala Yousafzai. Tutti dovremmo essere femministi, perché questa parola non vuol dire che tutto ciò che è “maschio” è il male assoluto, ma perché solo considerandoci tutti uguali gli uni agli altri potremo abbattere le diversità di genere in ogni campo e migliorare la nostra società.

Un segnale positivo è arrivato proprio in questi giorni dalla Nigeria, dove una legge mette per sempre al bando le mutilazioni genitali femminili. In Nigeria la pratica dell’infibulazione non è così tanto praticata, rispetto ad altri paesi come l’Egitto. Un divieto simile è comunque un primo passo verso il cambiamento di tradizionali concezioni culturali che altro non sono che una violenza sulle donne.

Il verbo dei prossimi anni dovrà essere, dunque, abbattere i tabù, perché solo così potremo combattere tutte quelle forme di violenza sulle donne di cui siamo vittime ogni giorno.

Il Galileo