No pasaran

Scontro tra teocrazie e laicismi

o risposta ad un tentativo diplomatico

 per la Siria?

 

di Giuseppe Prunai

 

 

No pasaran: questo motto, lanciato da Dolores Ibarruri, la pasionaria della guerra civile spagnola, ai combattenti delle brigate internazionali, torna drammaticamente d’attualità come reazione a barbari atti di terrorismo come quelli messi a segno a Parigi nella notte sul 14 novembre scorso. Così come tornò di moda durante la Resistenza e gli anni di piombo.

 Da un esame a caldo, siamo convinti di essere di fronte ad uno scontro tra i paesi teocratici del vicino e del medio oriente e quelli profondamente laici dell’Occidente. Paesi teocratici, paesi integralisti islamici nei quali l’unica legge valida è quella coranica, quella della religione. E’ chiaro che per i sudditi di questi stati risulti blasfemo il diverso stile di vita di chi scherza, si diverte, mangia e beve ciò che vuole, ascolta musica, si veste come desidera, ha dei comportamenti sessuali liberi, non sempre crede in Dio, non sempre segue una religione e se prega lo fa quando ritiene di farlo ma non lo fa ostentatamente perché la fede è un fatto personale, privato. In questi savonarola medio orientali, questi nostri  comportamenti scatenano l’odio nei confronti di chi li pratica, forse non disgiunto  anche da  un pizzico di astiosa invidia. Per questi savonarola si tratta di gravi peccati da punire con la morte. Non si capisce, comunque, a quale titolo chi segue una qualsiasi religione debba punire chi non lo fa. E chi sia questo dio che ha simili portavoce.

Questa potrebbe essere la motivazione a livello individuale, per caricare di odio e spingere all’azione i fanatici. Ma se una regia c’è stata (e c’è stata perché non si mettono a segno tante azioni delittuose in contemporanea senza averle prima pianificate) il movente va oltre quello fanatico-religioso, per scendere sul terreno politico-diplomatico. Anche economico legato al commercio clandestino di greggio, spesso rubato.

 In questi giorni, si sta tentando di compattare un ampio fronte di paesi, dalla Russia agli Stati Uniti, dall’Unione Europea forse alla Cina e all’Iran, per trovare uno sbocco alla situazione in Siria e per arrivare alla neutralizzazione del cosiddetto califfato. Se un simile patto vedesse la luce si potrebbe arrivare alla normalizzazione della Siria e, successivamente,  della Libia e il Califfato andrebbe incontro alla sua Lepanto.

Ma un simile patto politico-militare, sempre che i paesi partner raggiungano un accordo, come verrebbe gestito? E verrebbe lealmente rispettato da tutti i contraenti senza comportamenti anomali dietro le quinte? Chi ne avrebbe la leadership? In epoca recente, abbiamo visto errori di tattica e di strategia, errori di interpretazione politica, valutazioni frettolose e miopi che hanno portato a sbocchi semplicemente disastrosi. Due esempi: la morte di Saddam Hussein e di Gheddafi. Erano due dittatori sanguinari e meritavano una punizione, ma tenevano in pugno la situazione, sia pure con metodi estremi, e tenevano uniti i rispettivi paesi. La loro eliminazione ha determinato il caos, la frantumazione, ha dato spazio alle spinte autonomiste nelle quali si è inserito il terrorismo dell’ISIS. Non si poteva ipotizzare un passaggio di poteri meno immediato e  drammatico, fatto salvo il diritto di processare e condannare? Non si poteva neutralizzare i due dittatori dopo aver preparato il dopogheddafi e il doposaddam? Oggi, avranno capito tutti che si deve preparare il dopoassad per non gettare la Siria in una crisi ancor peggiore di quella attuale?

Finora ha prevalso la fretta, la miopia, l’incapacità di prevedere o di intuire il futuro, il desiderio di una soluzione spettacolare da offrire alle telecamere e ai media.

Il Galileo