I problemi della nostra capitale

Dalla Roma risorta del dopoguerra

alla Roma sparita di oggi

 

 

di Mario Talli

 

Roma non è stata sempre così. Sulla bocca di tutti per le malefatte di un buon numero di suoi amministratori, per l'apparente cinica indifferenza con cui sono accolte dalla cittadinanza, per il parassitismo e l'inefficienza di una parte del suo apparato amministrativo pubblico e privato a cui anche si devono le continue offese alla sua immagine che tuttavia, ad onta di tutto, resta ineguagliabile.

Un sistema di comunicazione compulsivo e incontinente ci ha messo sicuramente del suo, ma certe vicende che hanno caratterizzato gli ultimi anni di vita della Capitale non autorizzano fraintendimenti: il male c'è ed è anche abbastanza profondo ed  esteso. Tanto è vero che l'onda malefica non ha risparmiato neppure quella porzione della città dove ha sede lo Stato della Città del Vaticano. In riferimento a quest'ultimo punto si dirà che fin dai secoli passati all'ombra della cupola di San Pietro di fatti non commendevoli ne sono stati consumati ad iosa. Tuttavia stupisce sempre che in quel luogo sacro che  dovrebbe essere consacrato alla povertà e al disinteresse materiale predicati da Cristo, trovi invece ampia cittadinanza il fasto e la cupidigia.

Eppure non è stato sempre così. Anche Roma ha avuto una stagione dove l'operosità e la virtù si sono combinate insieme con grande sollievo per la vita materiale e spirituale dei suoi abitanti. Quella stagione – chi c'era può testimoniarlo – parte dall'immediato dopoguerra e forse anche da qualche mese avanti, da prima che la guerra finisse, allorché i suoi cittadini migliori si impegnarono, talvolta fino al sacrificio della vita, per riscattare la città dalla vergogna della dittatura.

Come avvenne in molte altre parti d'Italia, anche nella Capitale la fine della guerra coincise con l'inizio della ricostruzione, in un clima di entusiasmo che ebbe decisamente la meglio sul menefreghismo che secondo una consolidata vulgata talvolta affiorerebbe dal carattere dei suoi   abitanti. Naturalmente l'entusiasmo operoso non era fine a se stesso, in gran parte scaturiva dall'incombenza di ricostruire ciò che la guerra aveva distrutto e di ripartire verso una vita nuova, all'insegna questa volta della partecipazione e della democrazia. Per far questo l'entusiasmo però non bastava, occorrevano alcune condizioni basilari. Una di queste fu indubbiamente la presenza corposa (oggi per forza di cose assai affievolita) della classe operaia, di un artigianato con una grande tradizione di sapienza, di gusto e di amore per il lavoro, di intellettuali che proprio per la loro natura maggiormente avvertivano il fascino del futuro migliore da costruire, da scienziati, tecnici e giovani imprenditori che in quegli stessi anni gettarono le basi per un'industria e una tecnologia altamente sviluppate in diversi settori, da quello aereospaziale, a quello medico e farmacologico, agli strumenti per la comunicazione. Un'industria e una tecnologia che è tuttora ben presente, ma la cui bella e promettente realtà stranamente ancora oggi non viene percepita dall'opinione pubblica. Un'altra condizione per il riscatto e lo sviluppo – è persino ovvio ricordarlo – consistette nella presenza di una vivace e produttiva popolazione di operatori, tecnici ed artisti, impegnati in primo luogo nell'industria cinematografica, ma anche nelle altre varie forme di arte. (A sinistra: il sindaco Giulio Carlo Argan)

A creare queste condizioni di base (i lettori odierni stenteranno a crederlo, vista la non eccelsa fama di cui oggi godono) furono i partiti. Fu grazie ad essi e soprattutto, bisogna dirlo,  grazie ai partiti della sinistra, che allora erano principalmente se non esclusivamente il Partito Comunista, il Partito Socialista e il Partito d'Azione, se sorse anche nella Capitale similmente a quanto era avvenuto altrove, soprattutto nelle città e nei paesi del Centro Nord, un fitto reticolo di case del popolo, circoli, organizzazioni di volontari impegnati nei campi più disparati della sanità,  della scuola, della cultura, dello sport  e dello svago. Anche il Comune non era più solo il Campidoglio, ma le sue attività e rappresentanze si dipanavano nei quartieri, quegli stessi quartieri che poi sarebbero diventati Circoscrizioni. Comitati di cittadini si davano da fare, talvolta in collaborazione con le parrocchie, per aiutare la popolazione più disagiata delle borgate. In questi luoghi dove più acuto  era il bisogno, non di rado i medici della mutua si improvvisavano assistenti sociali e promuovevano iniziative di aiuto ai più poveri e gli insegnanti  estendevano il loro impegno ben oltre le ore scolastiche in attività di supporto per far sì che l'obbligo alla frequenza non rimanesse una parola vana e raggiungesse in concreto il più alto numero di bambini e ragazzi. 

Certo, la ricostruzione e il pressante bisogno di abitazioni per la popolazione che intanto cresceva di numero, portò con sé anche la speculazione edilizia, principale veicolo di uno sviluppo urbano  spesso disordinato. E questo nonostante che in quegli anni e in quelli immediatamente successivi  Roma abbia avuto delle amministrazioni comunali assai efficienti guidate da sindaci diventati ben presto assai popolari di cui i cittadini più anziani serbano tuttora il ricordo come il critico d'arte Giulio Carlo Argan,  Luigi Petroselli (foto sotto), Ugo Vetere (Foto a destra).

Uno scrittore e poeta romano, Fernando Acitelli, nell'ultima sua opera, Un fiore al Pigneto, commenta così gli anni della edificazione caotica e compulsiva: “A Ponte Casilino non vi sono più le viole. Tra i binari, un tempo, esse formavano ricami di natura infischiandosene dei treni diretti o accelerati. Rimanevano lì immolandosi ad una Tecnica non ancora feroce. Le viole crescevano lungo i bordi della ferrovia, ma anche a ridosso dei binari e delle traversine, ecco, accadeva di questo in quel periodo ormai di glaciazione riferibile agli anni '60...”   

Per il resto la vita dei romani trascorreva abbastanza serena e tranquilla. Il traffico non era ancora impazzito, i venditori ambulanti stazionavano nei mercati all'aperto, non avevano invaso  e quasi ostruito le vie strette e tortuose del centro antico, le piazze e gli angoli delle strade. Il volto popolare e godereccio della città trovava la sua principale espressione nella gran quantità di ristoranti, trattorie e osterie all'aperto dove specialmente nei mesi estivi intere famiglie, dai nonni all'ultimo neonato, si abbandonavano a mangiate sostanziose e allegre, spesso portandosi dietro e presentando in tavola il primo o il secondo che avevano cucinato a casa loro.   

Due sequenze della celebre scena del film "La doce Vita" di Federico Fellini con Anita Ecberg e Macrello Mastroianni, nella Fontana di Trevi   

 

In quegli anni c'era anche un'altra Roma, lo sanno tutti, in Italia e all'estero. La Roma del cinema e dunque di Via Veneto e della Dolce vita . Sicuramente dietro ai lustrini, al viavai dei divi e delle dive, alle soste ai caffè famosi c'era dell'altro che non si vedeva, ma il massimo della trasgressione era rappresentato dal Piper, celebre locale di musica e di ballo, anticipatore delle attuali discoteche. In ogni modo la Roma del cinema e di Via Veneto e la Roma popolare delle trattorie familiari e delle gite di fine settimana verso i prati dell'Eur e il mare di Ostia erano sicuramente diverse, tuttavia non erano del tutto antitetiche. Per un po' di anni conservarono qualcosa in comune, fosse solo l'amore per la loro città bella e invidiata. Una città che a quel tempo sapeva essere bonaria sotto la scorza apparentemente ruvida dei caratteri.   

Una situazione siffatta è durata una quarantina d'anni, dalla metà degli anni Quaranta agli anni Ottanta. Già verso la fine degli anni '60 ci fu un primo mutamento con la contestazione, le dimostrazioni, le urla, le violenze e quant'altro. Ma Roma da questo punto di vista non fece eccezione. Certo è che essendo essa una città particolarmente delicata, più di altre magari patì per i muri imbrattati da scritte e immagini non proprio eleganti, anzi intenzionalmente spregiative e volgari, i cortei quasi quotidiani, il fumo acre delle molotov e dei lacrimogeni con l'immancabile epilogo delle cariche poliziesche. Non si può inoltre dimenticare che nella Capitale sono sedimentati più che altrove i residuati del fascismo, che in quegli stessi anni, ma anche prima e dopo, non si peritarono certo a manifestare in vario modo il loro modello identitario lugubre e violento. 

Quasi un reperto archeologico: l'insegna della sezione del PCI dei rioni Regola e Campitelli

 

Ma la metamorfosi vera e propria arrivò negli anni successivi. Per una serie di ragioni che qui sarebbe troppo lungo elencare, la città ha in parte cambiato natura o, se si preferisce, ha accentuato alcuni suoi punti deboli. Intanto la classe operaia anche qui non ha più la consistenza che aveva un tempo e che non era assolutamente soltanto una questione di numeri. Era una questione di solidità di idee, di volontà e di impegno, diciamo pure di solidarietà di classe anche se il termine è oggi un po' desueto. Similmente la città ha patito la fortissima riduzione degli artigiani provetti, operosi ed anche civilmente evoluti, nonché la morte di  tanti piccoli negozi dove si trovavano  i generi alimentari del vicinato, quelli tipici provenienti dai Castelli, dalla Ciociaria e dalle altre località non molto lontane dalla metropoli, fagocitati dalla realtà “impersonale”, artificiale  e disumana (per la perdita di comunicabilità fisica e di socializzazione tra gli esseri umani ) della grande distribuzione. Questi mutamenti - che ovviamente non sono prerogativa negativa di Roma, bensì comuni a tutte le altre città d'Italia e del mondo - hanno influito sulle idee, sugli atteggiamenti  e le abitudini delle persone, ma anche sul corpo fisico della città, sulla sua estetica. Non c'è cosa più triste dei portoni  ermeticamente chiusi laddove prima esistevano i colori, le luci e il movimento continuo degli avventori e dei clienti.     

Accanto al parziale declino delle figure positive della popolazione romana (abbiamo citato solo gli operai, gli artigiani e i piccoli negozianti, ma potremmo richiamare anche altre categorie produttive), contemporaneamente si è ulteriormente degradata l'immagine della forza-lavoro probabilmente più imponente presente nella Capitale: il pubblico dipendente, sia esso civile o militare, statale, parastatale o comunale, pubblico o privato. L'imponente esercito impiegatizio, di prevalente origine meridionale e dunque con le caratteristiche positive e negative di quelle popolazioni, difficilmente in genere riesce a trovare un'amalgama e a inviare al di fuori da se stesso un'immagine identitaria. Ci riesce soltanto quando e laddove dagli uffici e dalle caserme arrivano all'esterno  messaggi di impegno e di efficienza, cosa che non sempre succede.  

Luigi Petroselli con Alberto Sordi, Camillo Milli, Paolo Stoppa e il regista Mario Monicelli durante le riprese de Il marchese del Grillo

 

   Se, come abbiamo visto, alle spalle del riuscito riscatto di Roma vi fu  l'energia che si sviluppò come reazione positiva alle negatività del periodo precedente, il fascismo, la miseria, la guerra, ciò significa che, per similitudine, anche la non bella situazione della Roma odierna deve essere scaturita da qualche cosa che nel corso degli anni è andato progressivamente decomponendosi, mutando in senso  negativo. 

Qualcuno di questi mutamenti peggiorativi l'abbiamo già visto. Una certa politica, il malfunzionamento di alcune istituzioni fondamentali e della pubblica amministrazione, l'ulteriore affievolirsi di un senso civico già scarso non solo a Roma, ma in senso generale in Italia e la perdita di memoria  possono essere altrettanti fattori influenti e decisivi. A tutto ciò non si può non aggiungere la deleteria influenza esercitata sul costume italico dalle idee e dalle azioni di alcuni  esponenti politici e governi che hanno occupato la scena pubblica negli ultimi cinque lustri, dall' inizio degli anni '90 fino a ieri.

Il riscatto dopo la vergogna della dittatura, la Resistenza, la riconquista della democrazia, il varo della Costituzione sono tappe fondamentali della nostra storia nazionale ma ormai lontane. Perciò dovrebbero essere continuamente ricordate con le parole e soprattutto fatte rivivere con i comportamenti. Limitando il discorso a Roma, è vero che personaggi come gli Argan, i Petroselli e i Vetere non si creano dall'oggi al domani, ma anche su di essi e sui successori ricade la responsabilità di non aver saputo formare degli eredi degni di loro. Il fatto è che col passare degli anni  il ricordo dei giorni  dell'entusiasmo e delle conquiste è destinato ad appannarsi. Il tempo ha la capacità di attutire anche il dolore. Il rimedio è non restare fermi.         

Il Galileo