L’Italia, la Francia

e lo ius soli temperato

 

di Magali Prunai

 

 Lo ius soli nel mondo: __ Diritto di cittadinanza incondizionato per tutte le persone nate nel Paese __ Diritto di cittadinanza con alcune condizioni __ Ius soli non in uso o non più in uso (immagine tratta dall’enciclopedia Wikipedia)

Il tema della cittadinanza e dei modi su come ottenerla è uno di quei temi caldissimi, sempre dell’ultimo minuto, sempre di grande attualità.

Fino a pochi mesi fa uno studente che studiava un minimo di ordinamento italiano avrebbe imparato che in Italia si acquisiva la cittadinanza in tre modi distinti: per ius sanguinis, per diritto di sangue, ovvero si è figli di almeno un cittadino italiano;  attraverso una naturalizzazione, ovvero un cittadino straniero sposa un cittadino italiano oppure se ne fa la richiesta dopo dieci anni di residenza continuata, legittima sul suolo italiano.

Da ottobre lo studente studierà nuovi metodi di acquisizione della cittadinanza, una gran miscellanea confusa che vuole dare di più un contentino a tutte le forze politiche piuttosto che trovare una soluzione.

Potrà diventare cittadino italiano chi è nato in Italia con almeno un genitore o tutore in possesso di un permesso di soggiorno europeo e con il consenso del genitore o tutore stesso (ius soli temperato). Questa disposizione vale solo per i cittadini extracomunitari e non per quelli comunitari. Inoltre, sarà possibile ottenere la cittadinanza italiana per un minore entrato in Italia o nato in Italia entro il dodicesimo anno di età e che abbia frequentato in maniera continuata per cinque anni uno o più cicli scolastici o seguito corsi di istruzione e formazione professionale (ius culturae). La proposta di legge è stata approvata per ora solo dalla Camera.

E poi è arrivato il 13 novembre. A Parigi un gruppo di francesi e belgi di seconda, terza e quarta generazione decidono di uccidere tutti coloro che incontrano per la strada. Arriva ben presto la rivendicazione dell’Isis, si è voluto colpire la perfida Francia che bombarda la Siria, si è voluto colpire il lato ludico dell’internazionale Parigi. Il bilancio conclusivo di quella tragica notte, che passerà alla storia come “carnage” (carneficina), sarà di circa 130 morti provenienti da 19 paesi diversi.

Dopo i minuti di silenzio, ormai diventati piú un obbligo che una vera espressione di solidarietà e vicinanza, il continuo ricantare la “Marsigliese”, inno francese dalla Rivoluzione in poi, simbolo di una libertà scaturita da un periodo estremamente sanguinoso, sono iniziate le solite dietrologie, i soliti commenti piú o meno opportuni.

Subito in Italia si è detto che è tutta colpa dell’ottenimento troppo facile della cittadinanza in paesi come Francia e Belgio,  dove si sono spalancate le porte a chiunque con la scusa dell’accoglienza. Commenti esagerati, al di fuori di ogni schema politico e di analisi ragionata, ma che fanno leva sulla sensibilità troppo scossa e molto qualunquista del cittadino medio-ignorante.

L’analisi geo-politica è certamente molto piú complicata e ha radici lontane nel tempo.

L’analisi culturale è forse piú ovvia e di facile intuizione, ma non per questo meno valida e utile.

Innanzitutto dobbiamo partire da un dato: chi nasce, vive, studia, lavora in un paese, appartiene a quel paese a prescendire dal suo “sangue”, dalla cultura, dalla religione, dal colore della pelle. Ma la persona stessa deve sentirsi parte integrante di quella comunità e questa forma d’integrazione puó avvenire solo attraverso uno strumento: la cultura. La cultura che apprendiamo a scuola, quando da piccoli ci insegnano che siamo tutti uguali ma poi da adulti ce ne dimentichiamo. Una scuola come punto d’incontro, come veicolo di cultura e sapere. Utopia pura, se pensiamo in che condizioni è la nostra scuola dell’obbligo attualmente. Eppure insegnare correttamente l’italiano, almeno un’altra lingua, la storia, l’ordinamento del proprio Stato, fare uno studio comparato delle religioni del mondo comporta il plasmare coscienze consapevoli e forse cittadini migliori. Ma il problema sono tutti quelli che la scuola la frequentano un po’ sí e un po’ no, che non ricevono stimoli giusti dall’ambiente circostante e dalla scuola stessa. Un po’ il caso delle “banlieu” parigine, estrema periferia dove lo Stato non arriva e forse non vuole neanche arrivare. Quartieri dimenticati, abbandonati a loro stessi. Da quei luoghi si deve partire, ripulendoli dalla sporcizia, rendendo le abitazioni moderne e meno fatiscenti, creando luoghi di aggregazione, biblioteche e tutto quello che è necessario per non far sentire una parte della popolazione emarginata e a convincersi a emarginarsi ancora di piú.

In questi giorni di costante allerta e di una paura piú o meno diffusa, mi è tornato alla mente un film uscito questo inverno al cinema: “non sposate le mie figlie”(Nell'immagine in alto, la locandina del film). Francia, due genitori della media borghesia, di ispirazione gaullista, partecipano, loro mal grado, ai matrimoni con rito civile delle prime tre figlie. Una sposata a un banchiere cinese, una a un avvocato di origine algerina e di religione islamica e una a uno spiantato ebreo con molte idee ma che non riesce a realizzare. La gioia arriva quando la quarta e ultima figlia annuncia il suo prossimo matrimonio in chiesa, piccolo dettaglio: lo sposo è africano. Lo stupore è egualmente condiviso dalla famiglia di lui, estremamente razzista nei confronti della Francia colonialista. Tutto si risolve per il meglio, con un matrimonio da favola in profonda armonia e con ogni tipo di pregiudizio ormai abbandonato. La scena migliore di tutto il film è quando le tre sorelle trovano i mariti in piedi in salotto con il suocero a cantare, mano sul cuore e occhi umidi di lacrime, la “Marsigliese”: il suocero, cercando di fare un po’ di amicizia, aveva chiesto che nazionale tifassero i tre. Tutti affermano Francia, tutti affermano che al momento dell’inno si emozionano ogni volta per il significato di cui è carico e di quanto lo sentono proprio. (Nelle foto in alto, i due progonbisti del film. A sinistra, Chantal Lauby; a destra, Christian Clavier)

I protagonisti di questo film sono dei privilegiati, hanno studiato, si sono laureati e svolgono una vita molto diversa da quella che passa lentamente, senza uno scopo, senza un perché in molti quartieri “degradati”.

Dovremmo essere tutti i personaggi di quel film, tutti abbiamo le stesse possibilità, se non riusciamo a coglierle qualcuno deve tentare almeno di suggerirci la strada piú opportuna perché tutti facciamo parte di un’unica realtà, tutti dovremmo riconoscerci orgogliosamente sotto la bandiera del nostro Stato e quella dell’Unione Europea.

iI Galileo