Dislessia problema sociale e scolastico

In età scolare vuol dire anche difficoltà di apprendimento, soprattutto delle lingue straniere non assonanti con la lingua madre

Il problema dell’obbligatorietà dello studio dell’inglese

 

 

di Magali Prunai

 

Quante volte è capitato a ognuno di noi di scrivere velocemente un messaggio, di digitare frettolosamente i tasti sul pc e di invertire accidentalmente delle lettere? Quante volte, ricevendo un messaggio o leggendo un testo scritto da noi o da altri,  abbiamo notato quest’inversione e scherzosamente ci siamo dati del dislessico o abbiamo detto o chiesto ai nostri amici se fossero dislessici?

Noi scherziamo, divertiti, e ci prendiamo in giro. Ma per migliaia di persone in Italia la dislessia è un problema serio, che affligge la quotidianità e può compromettere la socialità di una persona e il suo livello di apprendimento scolastico.

La dislessia, o disturbo specifico dell’apprendimento (DSA), è un disturbo del neurosviluppo che riguarda la capacità di leggere, scrivere e di svolgere calcoli matematici più o meno complessi. Una persona affetta da DSA legge a fatica, spesso è talmente concentrata su ogni singola lettera da pronunciare che non presta attenzione al senso di ciò che legge; scrive faticosamente, tendendo a dimenticare doppie o ad aggiungerle dove non sono dovute o a invertire la posizione delle lettere; tende a confondere fra loro le lettere “b”, “q” e “p”; le lettere “m” e “n”, sillabe come “er” per “re” ecc.. . Inoltre un soggetto dislessico svolge a fatica le quattro operazioni, soprattutto moltiplicazioni e divisioni perché non riesce a ricordare le tabelline.

Le famigerate tabelline, un incubo per la maggior parte di noi alle elementari. Ma se noi a fatica alla fine abbiamo imparato il risultato di 8x8 o 7x9, un dislessico di qualsiasi età probabilmente deve ancora usare le dita per contare. Se a fare una tale operazione è un adulto di 30 anni, probabilmente nessuno se ne accorge perché molto probabilmente tirerà fuori dalla tasca il cellulare e userà la funzione calcolatrice, come farà la maggioranza della popolazione adulta con o senza problemi d’apprendimento.

Il problema vero si pone quando si frequenta ancora la scuola dell’obbligo. Un bambino che in terza elementare fa errori che tutti i suoi coetanei commettevano alla fine della prima, legge ancora male e con molta difficoltà rischia di essere preso in giro dai suoi compagni ed emarginalizzato, oltre al fatto che molti insegnanti potrebbero interpretare queste sue difficoltà per scarsa voglia di studiare e scambiare lo studente per un “somarello” da rimproverare continuamente.

La scuola ha un ruolo importantissimo nell’aiuto e nella prevenzione. Nell’accorgersi del problema, avvisare la famiglia e far partire il prima possibile l’aiuto medico e scolastico per limitare al massimo eventuali problemi. È necessario che al bambino non si faccia pesare l’errore banale, ma con pazienza e dolcezza lo si aiuti a capire dove ha sbagliato e correggerlo per aiutarlo a diventare il più possibile autosufficiente nell’apprendimento, soprattutto a livelli più elevati. Sono necessari piani didattici pensati appositamente per questi studenti e, soprattutto, è necessario che il personale docente sia in grado di far fronte alle esigenze diverse di questi alunni un po’ particolari. In quest’ottica dovrebbe inserirsi una buona riforma della scuola, una riforma volta a valutare la capacità dei docenti di insegnare, la loro effettiva conoscenza della materia e, soprattutto, la loro capacità di trovare metodi alternativi per approcciarsi a esigenze di apprendimento differente. Nessuno pretende, ovviamente, che ad esempio il professore di italiano o storia sia uno psicologo, ma comunque un docente che deve stare a contatto con alunni con svariate problematiche e difficoltà di vario genere deve sapere come comportarsi, come interagire e come raggiungere correttamente il suo scopo principale, l’apprendimento, senza creare troppa o ingiusta sofferenza.

Il problema maggiore a livello scolastico per soggetti con DSA lieve o moderata si ha nel momento dell’apprendimento di una lingua straniera. Nonostante l’Unione Europea abbia preparato degli opuscoli informativi su come affrontare la questione, consigliando l’utilizzo di particolari software liberamente scaricabili e abbia suggerito l’apprendimento di diverse lingue straniere a seconda della lingua madre, il problema persiste ancora. A un italiano dislessico si consiglia di studiare lo spagnolo, per la maggiore assonanza fra le lingue e la facilità di scrittura, mentre un dislessico francese studierà meglio l’inglese perché già abituato a dover pronunciare la propria lingua in modo differente rispetto a come è scritta.

Ma comunque, opuscolo informativo o meno, in Italia è obbligatorio studiare l’inglese. Alla scuola secondaria si può essere esonerati da questo obbligo, ma alla fine dei 5 anni si conseguirà un attestato non equiparabile alla maturità e non si potrà accedere all’università. Una discriminazione bella e buona perché basata su una patologia.

La normativa, avallata dai TAR, impone dei piani didattici personalizzati, dei metodi  di insegnamento alternativi con la possibilità di sfruttare nuove tecnologie per facilitare l’apprendimento, tempi maggiori per lo svolgimento di esami di stato, esami di ammissione ai corsi universitari, tutor e valutazioni di profitto tanto scolastiche che universitarie ricalibrate sul deficit di apprendimento.

Come al solito in Italia esistono leggi meravigliose che risolvono problemi quasi insormontabili, ma poi queste normative vengono lasciate prive di applicazione. Per cui un docente all’atto pratico non sa cosa sia uno strumento alternativo utile a facilitare l’apprendimento  (il pc? Il tablet?),   non sa giostrarsi nella difficile linea di confine fra un voto giusto che tiene in considerazione la DSA, il voto d’incoraggiamento e la mancanza di studio.

Tutto il lavoro e tutte le incombenze rimangono sulle spalle delle famiglie. Ogni sbaglio, ogni difficoltà, ogni spiegazione mancata segna in maniera irreparabile lo studente rendendo difficile, quasi improbabile colmare certe lacune.

Il Galileo