L'umano disumano

 

 

di Mario Talli

 

 

    Chi scrive queste elucubrazioni probabilmente un po' confuse è un giornalista ormai di lungo corso che non ha più il tempo e forse neanche la voglia per approfondire un tema, considerarlo da tutti i punti di vista possibili e immaginabili, contestualizzarlo nel tempo, raccogliere opinioni e testimonianze in modo da offrirne una lettura il più possibile esauriente. Questo giornalista, cioè il sottoscritto, collaboratore da qualche anno del Galileo, chiede licenza prima di tutto al direttore ma poi anche ai lettori di poter derogare dalle normali regole del buon giornalismo, che prima di tutto deve trovar fondamento nei fatti, per procedere invece per sensazioni, cioè lungo una strada dove non vi sono certezze ma solo – quando ci sono – delle ipotesi.

     L'umano disumano del titolo è il tema che da un po' di tempo mi intristisce, ossia quale futuro aspetta l'uomo di oggi. Date le premesse, si sarà capito che non sono per niente ottimista, anche se, ovviamente, spero con tutto il cuore di sbagliarmi. Poiché anche se si procede per sensazioni invece che per riscontri concreti e oggettivi non si può prescindere dai fatti, cito la recente campagna referendaria come l'esempio più lampante del degrado qualitativo del personale politico nostrano, ma anche europeo e mondiale: il nuovo presidente USA ci esime da qualsiasi altro esempio. Il discorso non si esaurisce tuttavia con le insufficienze della classe politica, più evidenti per la sua maggiore visibilità e per le purtroppo frequenti dimostrazioni di scarsa attitudine a svolgere in modo apprezzabile il proprio compito.

Curzio Malaparte

      Secondo me il degrado qualitativo è più generale. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che – sempre a mio personalissimo parere – esso deriva da alcuni profondi mutamenti di natura prevalentemente tecnologica ma non solo, che hanno investito le nostre società. Lo sviluppo tecnologico (in specie nell'universo dell'informatica) di per sé è un valore ed un fattore di progresso. Su questo non ci sono dubbi di sorta. Il mio medico della mutua, quasi ogni volta che mi reco da lui, mi ragguaglia sui continui e sorprendenti  progressi delle tecniche chirurgiche, assai più rilevanti rispetto per esempio alla scoperta di nuovi farmaci. Questo è il lato buono del progresso tecnologico. C'è poi quello meno buono o addirittura pessimo, dato dal fatto che di tale progresso si sono completamente impadroniti l'industria e la finanza che lo usano per i propri fini, che quasi mai coincidono con gli interessi generali. Per un minimo di onestà intellettuale debbo ancora precisare che non tutto è così chiaro  - e sostanzialmente negativo - come l'ho rappresentato finora: il fenomeno ha anche degli aspetti chiaroscuri. Si prenda ad esempio l'invadenza dei social, i nuovi strumenti della comunicazione: è un  fatto assodato che essi hanno dato voce anche a chi fino a pochi anni fa non l'aveva o aveva difficoltà ad esprimersi e  non è colpa loro se ad avvantaggiarsene sono stati anche gli affaristi, i prepotenti, gli stupidi, gli sciocchi e i bischeri - per usare un termine dialettale fiorentino sicuramente meno contundente, di cui è anche fatto il consorzio umano. (Chi scrive ritiene di essere una persona “sociale” o quantomeno si sforza per esserlo, ma non è “social”: non è iscritto a faceboock e agli altri apparati consimili e l'unica concessione alla tecnologia moderna è un telefonino del costo di 24,99 euro che accende  soltanto quando esce di casa per ricevere o effettuare sporadiche comunicazioni e che, per quanto si sforzi di convincersi del contrario, non può fare a meno di considerarlo un intruso).

Romano Bilenchi

       L'ambito dove le moderne tecnologie e l'informatica hanno agito maggiormente e più in profondità è com'è noto quello della produzione, con effetti a volte devastanti sul mercato e le modalità del lavoro, in conseguenza dell'uso spregiudicato  che ne fanno gli imprenditori e i finanzieri che oggi hanno nelle loro mani una quantità smisurata della ricchezza mondiale. Modalità lavorative a misura d'uomo (a parte le storiche forme di sfruttamento ben note e inammissibili), che implicavano il coinvolgimento creativo e inventivo del prestatore d'opera di qualsiasi estrazione e categoria, sono state soppiantate da pratiche di lavoro informali (cioè, appunto, senza forma: evanescenti, spersonalizzanti, ultraveloci, non compatibili da un lato con il pensiero e la riflessione e dall'altro non agevolmente configurabili entro le opportune e necessarie normative contrattuali). E' un aspetto, probabilmente il più significativo, ma non il solo, della cosiddetta società liquida in cui tutti quanti ci troviamo costretti a nuotare.

         Un'altra conseguenza negativa di questo stato delle cose è  l'appiattimento verso il basso  della qualità della produzione intellettuale. Sembra inverosimile, ma oggi in Italia si pubblicano ben 187 libri al giorno. A prima vista uno potrebbe anche dire: bene, se si scrivono tanti libri non può essere una cattiva notizia. Se però si fa un po' di luce su questo fenomeno qualche dubbio insorge. Intanto di questi 187 prodotti quotidiani, se ne salva si è no per un effettivo interesse letterario, saggistico, storico, memorialistico, artistico un numero assai limitato. Tutto il resto è un agglomerato confuso non facilmente distinguibile. Non sarà un caso, tanto per dirne una, se la critica letteraria, salvo rarissime eccezioni, non esiste praticamente più.

Manlio Cancogni

           A questo proposito un fenomeno particolare che voglio citare, anche per non essere tacciato di favoritismo verso la categoria di appartenenza, è quello dei cosiddetti giornalisti-scrittori. Chi sono costoro? Sono quei giornalisti, spesso anche bravi, che non contenti di condensare le proprie riflessioni negli articoli che scrivono per i rispettivi giornali (pagando il dazio all'urgenza della cronaca, alla fretta nella stesura e alla necessaria sintesi per non annoiare il lettore e tenere desta la sua attenzione) avvertono il bisogno di estendere e approfondire le loro analisi. Che c'è di male in tutto ciò? Assolutamente nulla. Ciò che disturba è che un giornalista politico che dedica un libro alla sua materia avverta il bisogno di aggiungere, come spesso avviene, alla sua qualifica professionale anche quella del tutto arbitraria di scrittore. Quest'ultimo è un'altra cosa: è uno che si muove tra sogno e realtà, inventa, crea, muove i suoi personaggi in uno spazio sospeso tra cielo e terra, evoca gioie e dolori, quando è molto bravo da un nome a sensazioni o sentimenti che altrimenti  rimarrebbero oscuri. Di giornalisti che fossero ad un tempo anche scrittori ne ho conosciuti  personalmente alcuni e sicuramente ce ne sono ancora oggi. Ma non sono tanti: tra quelli di ieri citerò Romano Bilenchi, importante scrittore della prima metà del Novecento, che fu anche il mio primo direttore, Alberto Moravia, che esercitò il giornalismo sia come critico del cinema e della tv e sia come inviato, specialmente in Africa, Manlio Cancogni, Curzio Malaparte, Mario Soldati,  Giovanni Arpino, Goffredo Parise. Perfino il giornalista italiano forse più bravo di tutti, Indro Montanelli, nonostante avesse scritto un certo numero di libri, non pensò mai di attribuirsi la qualifica anche di scrittore.

Indro Montanelli

     Oggi succede il contrario. L'altra settimana mi sono imbattuto alla tv in un tale che aveva scritto un libro sulle molteplici e gustose caratteristiche del formaggio italiano: nulla da obiettare, anzi benissimo. Manco a dirlo il conduttore della trasmissione solo per questo parlava di lui come di uno scrittore e l'interessato non fece una piega.

       Le testimonianze dell'abbassamento del livello qualitativo di molti aspetti della nostra vita quotidiana sono in ogni modo numerose. Non c'è che da scegliere. Una ce la offre con grande evidenza la televisione – a mio avviso, salvo le solite eccezioni, la più brutta e diseducativa  da quando esiste il piccolo schermo – che spesso ne costituisce anche la causa. Alludo in particolare alle tv commerciali (ma anche la televisione pubblica ci mette talvolta del suo) , che preferisco chiamare padronali perché i rispettivi proprietari se ne servono non solo per fare soldi, ma  anche per orientare in un certo modo l'opinione pubblica e aumentare di conseguenza il loro potere.

       Infine, un' ultima citazione. Non solo la moderna tecnologia e l'informatica sono oggi quello che sono nei settori della produzione, del commercio, degli scambi, della finanza, ma sono addirittura almeno in un caso eclatante addirittura un sostituto di quelle che un tempo erano le forme della politica, del pensiero e dell'attività sociale e civile partecipata e in qualche modo rappresentativa della volontà popolare:  i partiti. Oggi c'è il caso – e non è una cosa da poco, ha una dimensione nazionale e proporzioni tutt'altro che indifferenti – di un movimento politico eterodiretto   fondato da un comico che ha come supporto teorico e pratico lo sproloquio in luogo del progetto o dell'ideologia e guidato da alcuni personaggi non facilmente decifrabili, che da qualche luogo privato sconosciuto ai più decidono le sorti individuali e collettive di qualche milione di persone . E  siamo ormai arrivati al punto in cui tutto ciò appare normale.                                         

 

Il Galileo