Adolf Eichman:

incapace di pensare

Così lo classificò Hanna Arendt

 

di Magali Prunai

 

Il falso passaporto con il quale il criminale nazista Eichman riuscì ad espatriare in Argentina si ritiene con  la complicità di papa Pio XII che, per pretesi motivi umanitari, facilitò la fuga di molti nazisti

 Bene male sono due concetti molto astratti e spesso lasciati alla libera interpretazione del singolo. Aiutare chi ha bisogno è bene, girarsi dall’altra parte e far finta di non vedere una persona in difficoltà è male. E fin qui siamo tutti d’accordo e la definizione e interpretazione di questi due concetti è univoca e universale. Colpire una persona in testa è male, ma se questa persona è armata e sta per aggredirmi allora il mio gesto diventa una legittima difesa. Tutto dipende dalla prospettiva da cui si guarda un episodio.

Ho mandato a morire milioni di ebrei nelle camere a gas, e questo più che male è indescrivibile. Ma, si difese un criminale nazista, si limitava a eseguire degli ordini che riteneva validi. (Nella foto a sinstra, Eichman).  Del resto doveva solo mettere delle firme su degli ordini di spedizioni, che poi si trattasse di uomini o di pacchi poco importava. Dal suo punto di vista non si tratta neanche più di bene o male, aveva un ordine da eseguire e da bravo soldatino lo eseguiva. Chiunque si rendeva conto di ciò che stava accadendo e facendo e che sistematicamente venivano violati i principi sanciti a Weimar e mai aboliti durante il nazismo. Eppure tutti si sono difesi dicendo “ma noi eseguivamo degli ordini, che altro dovevamo fare?” Il concetto di ribellione, forse, è troppo innovativo e troppo al di fuori dello schema mentale al quale ognuno viene educato fin da piccolo. Il male è semplicemente banale, è mediocre, viene commesso da persone mediocri, che giustificano il proprio gesto trovando una scusa per non avere questioni morali che pesano sulla coscienza. Scrisse Hanna Arendt, (foto a destra)riferendosi al processo di Eichmann, colui che metteva le firme sugli ordini di spedizione degli ebrei verso quel campo o quell’altro, che non si trattava neanche di stupidità ma di incapacità di pensare. Davanti a lei non c’era quell’essere mostruoso e demoniaco che si aspettava, ma un uomo come tanti. Né migliore, né peggiore, ma senza capacità di raziocino. Gente normale che commette atti mostruosi come se fossero normali, perché tali li consideravano. All’epoca della pubblicazione dei suoi scritti molti la accusarono di non sapere di cosa stesse parlando e di giustificare i criminali nazisti. Hanna Arendt, nata nel 1906 da una famiglia di religione ebraica, si vide negare la libera docenza a causa delle leggi raziali, a causa delle quali fu costretta a scappare dalla Germania e trovare rifugio in Francia. Una volta occupata la Francia, venne incarcerata, ma riuscì lo stesso a emigrare negli Stati Uniti. Nel 1937 la Germania le tolse la cittadinanza e rimase apolide fino agli anni ’50, quando ottenne quella statunitense. Hanna Arendt parlava con cognizione di causa e lucidità. Ma per qualcuno non aveva capito nulla e giustificava i criminali nazisti. Al contrario il suo saggio, “la banalità del male”, non vuole giustificare ma inquadrare intellettualmente e storicamente la sua stessa nazione.

Durante il processo

Chi commette un crimine, anche il più mostruoso, non è necessariamente un malato di mente. Ma una persona lucida, ben consapevole di quello che sta commettendo e che agisce nella convinzione della sua impunibilità. Questo erano i criminali nazisti per la Arendt, questo sono molti criminali dei giorni nostri.

Chi uccide, stupra, ruba lo fa nella sua piena consapevolezza e nella certezza, o almeno speranza, di non subire le conseguenze delle proprie azioni. Pene poco certe, prevenzione scadente, difficoltà investigative fanno sì che alle volte certi crimini rimangano senza autori e che questi si sentano protetti e facilitati nel commettere qualsiasi azione.

Il Galileo