Verso un mondo insignificante

in compagnia delle tv

e dei social network




  di    Mario Talli

 

        Ogni periodo ha i suoi tratti caratteristici, anche se non sempre si può parlare di una configurazione precisa perché, appunto, i tratti caratteristici spesso si accavallano e si confondono. Bisogna perciò che passi del tempo, talvolta anche molto tempo, prima di poter definire con precisione i caratteri peculiari di un determinato periodo storico.

         Questa precisazione prudenziale ci pare necessaria prima di affrontare l'argomento che questa volta ci interessa e cioè la sensazione che un tratto distintivo del nostro tempo sia costituito dall'Insignificanza (usiamo di proposito la maiuscola per sottolineare l'importanza che attribuiamo  a questa parola). Crediamo che non ci sia bisogno di un grande lavoro di ricerca e di approfondimento per arrivare a questa conclusione: un'osservazione superficiale è sufficiente per accorgerci che gran parte di ciò che si muove e agisce attorno a noi è privo di un significato suo proprio e riconoscibile. Quando e se un significato alla fine si intravede, ciò avviene per un fenomeno che potremmo definire “di rimbalzo”, cioè per un effetto del tutto spontaneo, indipendente da qualsiasi volontà. Ciò non significa, intendiamoci bene, che oggi non ci sia in giro gente che si prodiga per il bene altrui o che, al contrario, specula  su una determinata situazione, meglio se emergenziale, per trarne benefici politici o di altro genere.

        Ma torniamo al punto di partenza: l'Insignificanza. Come dicevamo, non c'è bisogno di grande sforzo per incontrarla. E' sufficiente fermarsi alla TV e ai socialnetwork, gli smartphone e compagnia, insomma gli strumenti che più di ogni altro coinvolgono un'infinità di persone fino a condizionarne in qualche modo la vita, in misura più o meno ampia a seconda dello stato mentale e del grado di acculturazione di ciascuno. 

        Questi strumenti, come sanno tutti quanti, sono tra i principali prodotti odierni di consumo (e di profitto per chi ne ha la proprietà) anche se non sempre si vedono e non sono concreti e tangibili come i prodotti dell'industria, dell'agricoltura e dell'oggettistica in generale: gli smartphone sono ben visibili nelle mani di chi li possiede, ma la frequentazione di determinati programmi televisivi specifici e a pagamento in materia sportiva e di altro genere e le relazioni quotidiane intrattenute via etere, come oggi usa, e non più mediante l'incontro fisico tra persone, non possono esserlo. E' perciò del tutto ovvio che questa nuova categoria di capitalisti monopolisti, i padroni dell'etere, non siano conosciuti dalla generalità delle persone come invece lo sono i produttori di automobili, di vini pregiati, o i grandi immobiliaristi. Assai noti e conosciuti, anzi, particolarmente noti e conosciuti sono invece i proprietari delle televisioni, anche se con le dovute differenze tra uno e l'altro.

 

       Il pensiero corre subito inevitabilmente a Berlusconi, che all'uso eticamente improprio delle sue televisioni deve in gran parte i successi politici e non solo. Un Berlusconi considerato da tempo  politicamente agonizzante, che proprio in questo periodo, nonostante l'età non più verde,  invia invece segnali di tutt'altro tipo, grazie ancora una volta alle tv di cui è proprietario il cui numero se non supera certamente non è inferiore a quelle della Rai, il concorrente pubblico.  L'imprenditore televisivo relativamente nuovo, proprietario della 7, della 7d e di un'infinità di altre testate televisive e giornalistiche, non ama invece esibirsi. Non deve avere neppure delle opinioni politiche ben definite, o almeno non le mostra nella gestione delle televisioni che gli appartengono, dove almeno in apparenza non vi sono  sfacciate preferenze per l'uno o l'altro dei soggetti politici che sempre più confusamente oggi si contendono il potere in Italia. In particolare la 7 si propone come un salotto della politica, una sorta di sostituto delle purtroppo sempre meno numerose sezioni di partito e dove, a differenza di queste, ci si confronta tra persone di opinioni diverse. Cosa che, in se e per se, non sarebbe un fatto disprezzabile, a patto che gli interlocutori mostrino un minimo di conoscenza di ciò di cui parlano e la dovuta attenzione alle argomentazioni altrui (quando di argomenti si tratta e non di parole ad effetto, come purtroppo sovente avviene), invece che abbandonarsi alla propaganda a buon mercato, alle frasi fatte e talvolta alle contumelie, contribuendo così a generare quel fenomeno che non a caso abbiamo chiamato l'Insignificanza, appunto perché non produttivo di effetti positivi.

     Quando c'erano le correnti di pensiero, le ideologie e i partiti strutturati, costruzioni solide tirate su con la calce e i mattoni, i programmi televisivi ne risentivano nel bene e nel male, incentivando la ricerca di nuovi linguaggi e l'approfondimento tematico. Oggi  molte sigle televisive sono caratterizzate da un appiattimento generalizzato. Se, come abbiamo appena detto, ci sono televisioni che non possono essere imputate di voler favorire gli uni o gli altri, tuttavia il loro non parteggiare e non schierarsi quando il confronto o lo scontro politico tocca questioni basilari (l'Insignificanza, appunto) finisce inevitabilmente per favorire i portatori di idee malsane, già condannate dalla Storia, perché se è vero che non ci sono probabilmente più i nostalgici di Stalin, ci sono ancora e cercano di rialzare la testa gli estimatori di Hitler e Mussolini.

     Ma gli effetti non proprio benefici e positivi del potere di cui dispongono i padroni dei moderni strumenti della comunicazione virtuale e non, non si limitano ovviamente alla politica ma interferiscono, con la loro “Insignificanza”,   con altre attività come ad esempio lo spettacolo televisivo o le competizioni sportive. L'impressione che si ricava dai palinsesti di certe televisioni che pure vanno per la maggiore e alle quali è lecito supporre non manchino le risorse finanziarie, è che si intenda vivere alla giornata, senza idee né progetti. Tipica di queste televisioni è la riproposizione quotidiana per anni, in qualche caso per oltre un ventennio (l'arco di tempo di una generazione) delle medesime telenovelle, fiction, serie televisive preferibilmente di genere poliziesco, con gli stessi personaggi (diversi solo perché nel frattempo invecchiati) proposte la prima volta, appunto vent'anni prima.

      Un mutamento vistoso in senso peggiorativo ad opera del nuovo capitalismo monopolistico  globalizzato avviene nello sport ed in particolare in due discipline sportive tra le più seguite e popolari: il calcio e il ciclismo. Nella serie maggiore del calcio la “distanza” qualitativa, di peso specifico  tra le diverse squadre partecipanti ad un medesimo campionato - presente da sempre e probabilmente ineliminabile – si è enormemente dilatata ed diventata una realtà inattaccabile. Un tempo poteva accadere di tanto in tanto   che una squadra di calcio meno titolata potesse vincere lo scudetto, oggi una simile eventualità non è neppure ipotizzabile e la conseguenza non potrà che essere un calo dell'interesse degli appassionati e dei tifosi per questo sport.

     Nel ciclismo avviene un fenomeno analogo, anche se ovviamente esplicitato in modi diversi.  Ma la sostanza è la stessa. Anzi: nel ciclismo l'arrivo del turbocapitalismo, rischia di produrre effetti negativi anche maggiori rispetto al calcio, nel senso di una vera e propria mutazione della fisionomia della gara.  Anche nel ciclismo ci sono sempre state squadre oggettivamente più forti di altre. Ma non era sempre o soltanto per una questione di soldi. Molti altri fattori entravano in gioco: l'inventiva, l'entusiasmo, la dedizione dei tecnici delle squadre, oltre naturalmente l'impegno dei singoli atleti. Oggi la situazione è radicalmente mutata. Chi ha seguito in televisione e sui giornali le tradizionali corse a tappe e le gare più importanti del  calendario europeo degli ultimissimi anni,  si sarà accorto che è cambiata proprio la natura della corsa. A causa del predominio esercitato da  una o due squadre imbottite dei corridori più forti, una gara è oggi una trasferta monotona dalla partenza all'arrivo, con le uniche varianti di alcuni corridori “in fuga” per un centinaio di chilometri e regolarmente ripresi in vista del traguardo e di qualche scatto quasi sempre senza grandi conseguenze se il percorso presenta delle salite. Per il resto sono ore di noia assoluta, se non fosse per i bei paesaggi che le riprese dagli elicotteri ci fanno vedere.

     Ecco che cosa intediamo dire parlando di Insignificanza: una generale perdita di significato, di  interesse e di emozioni in tutte le faccende umane per responsabilità diretta di chi ha il monopolio dei moderni strumenti della comunicazione.

Il Galileo