Il cibo del futuro: non solo grilli e  cavallette

 

di Bartolomeo Buscema

 

Una sfida nodale che l’umanità dovrà affrontare nel prossimo futuro, oltre  al riscaldamento dell’atmosfera terrestre, concerne l’aumento della popolazione mondiale. Il rapporto ONU “ World Population Prospects 2017” parla chiaro: entro il 2030, gli abitanti della Terra cresceranno di un miliardo, per arrivare a 9,8 miliardi nel 2050. Tale scenario pone, purtroppo, tutta una serie di problemi tra cui quelli  legati alla fame nel mondo. Secondo il recente rapporto FAO, l'Organizzazione Onu per l'alimentazione e l'agricoltura, pubblicato lo scorso settembre 2017, “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo 2017”, il numero delle persone sottoalimentate (cioè che ricevono un nutrimento insufficiente o inadeguato) è cresciuto di 38 milioni: dai 777 del 2015 agli 815 milioni dell'anno scorso, che corrispondono all'11% della popolazione mondiale. Come contrastare tale fame crescente legata anche agli effetti nefasti del riscaldamento terrestre? C’è già chi pensa a un uso globale di cibo a base d’insetti che hanno un contenuto di proteine confrontabile con quello della carne e che richiedono molta meno acqua per la loro produzione. Una risorsa, l’acqua, che scarseggerà sempre di più proprio a causa del continuo aumento dell’effetto serra. Quanto detto non vale solo per i paesi poveri, come palesa il Regolamento dell’Unione europea 2283/2015  che mette ,dal primo gennaio 2018  , fine al divieto di allevare e commercializzare insetti. Ricordiamo che sono tante le specie d’insetti già utilizzati come cibo in varie aree del mondo, tra questi i coleotteri (maggiolini, scarafaggi), gli ortotteri (locuste, grilli, cavallette), gli omotteri (cicale), i lepidotteri (farfalle, falene), e cosi via. Ma non ci saranno  solo  gli insetti a sfamare i poveri del pianeta che prevalentemente vivono in aree sempre più affette dalla desertificazione. Infatti, un recente rapporto della FAO e dall’International Center for Agricultural Research in the Dry Area (ICARDA), ha acceso i riflettori  su una pianta che produrrà parte del cibo del futuro in grado anche di contrastare   il pericoloso aumento di anidride carbonica  in atmosfera : l'Opuntia ficus-indica, meglio conosciuto come  fico d'India. Un cactus di origine messicana coltivato da secoli anche nel bacino del Mediterraneo, che ,per efficienza idrica e proprietà nutrizionali ,potrebbe rappresentare una risorsa straordinaria in moltissime aree semi-desertiche del pianeta. Il fico d’India è una pianta generosa. Oltre ai suoi frutti prelibati, sono commestibili anche le foglie giovani fresche con le quali i messicani preparano appetitose insalate, zuppe e frittate. Il fico d’India è anche un formidabile assorbitore di anidride carbonica; basti pensare che un ficodindieto di un ettaro, in un anno, è in grado di fissare ,e quindi eliminare dall’atmosfera, circa cinque tonnellate di anidride carbonica. Un  valore tra i più alti  delle specie vegetali conosciute. Sotto questo aspetto la Sicilia , che con i suoi 4000 ettari  di ficodindieti  detiene il monopolio del mercato italiano e oltre il 90% del mercato comunitario, è  già sulla buona strada.

Il Galileo