“Parla come magni”

Il congiuntivo inesistente e gli errori dell’Eredità

 

di Giuseppe Prunai

Quando muovevo i primi passi nel giornalismo radiofonico – una vita fa – avevo un capo, romano de Roma, più

che altro romanaccio fissato con il  parla-come-magni.

Che fai? diceva, magni dal “Bolognese” tutti giorni? No, magni alla mensa. E allora parla da mensa.

Il Bolognese è  un ristorante romano di un certo livello situato in Piazza del Popolo.

(Nella foto a siniustra, Lorenzo Baglioni alle prese con il modo congiuntivo)

Il capo era convinto che l’uomo della strada fosse incapace di comprendere un italiano forbito e, soprattutto, corretto e che per farsi capire si dovesse scendere di livello. Io replicavo che così facendo si rischiava di abituare la gente ad una lingua estremamente povera con il risultato di rendere poi incomprensibile un testo scritto in un italiano più colto e corretto. Fra le sue manie di semplificare e banalizzare qualsiasi forma linguistica, la più completa idiosincrasia al congiuntivo. Lo scovava in qualsiasi testo e lo correggeva quasi con voluttà perché - diceva – è una forma antiquata, una forma manzoniana ormai scomparsa dall’italiano moderno. Parlo degli anni sessanta.

La mia fu una battaglia perduta in favore del congiuntivo fin quando, complice l’età, non presi il suo posto e mi trovai a dover correggere i congiuntivi inesistenti e sbagliati e i giovani redattori dicevano che ero un vecchio bacucco manzoniano che non conosceva l’italiano moderno. Parlo degli anni ottanta.

Fu una battaglia campale, una battaglia faticosa soprattutto perché chi veniva corretto mal sopportava la correzione. Si sa che in fatto di lingua parlata ognuno ritiene di essere depositario della scienza infusa, di essere infallibile.

Forse, gli stessi sentimenti hanno guidato i giurati della sezione “nuove proposte” del festival di Sanremo che hanno negato la vittoria alla bella e spiritosa canzone di Lorenzo Baglioni dedicata al congiuntivo https://www.youtube.com/watch?v=8bfYQZPLCEA

Lorenzo Baglioni, grossetano, classe 1986, solo omonimo e non parente del più noto Claudio, è un ex docente di matematica e fisica, sostenitore di un nuovo metodo didattico basato sulla musica. Da qui le sue canzoni sulla trigonometria, praticamente un balletto di seno, coseno, tangente e cotangente, e sulla Regola di Ruffini,  che non è un sistema per non fare bambini, come dice una canzonaccia goliardica, ma un procedimento per dividere un polinomio per un binomio. Algebra pura.

Con questo spirito, Lorenzo Baglioni si è presentato a Sanremo con una canzone il cui incipit è tutto un programma

“Che io sia

Che io fossi

Che io sia stato

Oh-oh-oh”

e va avanti spiegando le varie forme verbali e come e quando è di rigore il tempo congiuntivo. Ma tale impegno didascalico non è forse piaciuto ai giurati anche se poi, come accade spesso alla canzoni che non vincono il festival, ha ottenuto un record di ascolti su Youtube.

Ma, l’uso scorretto del congiuntivo è solo uno dei tanti episodi di imbarbarimento della nostra lingua.

Fabrizio Frizzi, attuale conduttore del programma di quiz di Raiuno "L'eredità" con le sue collaboratrici, la cosiddette "professoresse"

Per tastare il polso alla popolazione, per rendermi conto del basso livello ormai raggiunto, tanto come morfologia della lingua che come ricchezza di vocabolario (ormai ridotto, per i più, a poche centinaia di parole) ho seguito una serie di puntate della trasmissione di Raiuno “L’eredità”. Si tratta di un vecchissimo programma di quiz, nel quale si sono alternati più conduttori come Amadeus, Carlo Conti e, adesso, Fabrizio Frizzi. Seguendo le domande e, soprattutto, le risposte ci si rende conto del basso livello raggiunto dalla lingua dei concorrenti che rappresentano un vasto spettro di categorie sociali e professionali del nostro paese. Ma anche del loro basso livello culturale. Un deficit dal quale non son alieni neppure gli autori (sere fa, in una domanda, è comparso un “ha nevicato” da parte di un signore che evidentemente ignora che con i verbi intransitivi si usa l’ausiliare essere) e neppure il conduttore che giorni fa ha spiegato che gli articoli di terza pagina si chiamano elzèviri in luogo del corretto elzevìri.

Ma torniamo ai concorrenti e alla loro scarsa cultura generale. C’è chi colloca l’incontri Fanfani-Nasser del 1951 negli anni ’90 e chi afferma che il divieto di circolazione delle biciclette a Roma (1944 per sventare le azioni dei gappisti) è degli anni ’60, mentre le leggi razziali (1938) sono degli anni ’70. Cosa vuol dire DDL? Silenzio assoluto, nessuno sospetta che si tratti di un disegno di legge, mentre un altro concorrente colloca sul tetto un “abbàino” anziché un “abbaìno”. Provate a ridere all’idea del tetto di una casa che fa bau-bau.  Per un altro, un grande condottiero romano è stato Alessandro Magno mentre c’è chi pretende che “I personaggi in cerca d’autore” siano uno soltanto. Per una ragazza, oltretutto laureata in non si sa cosa, la lingua ufficiale della Slovenia è il finlandese e nel 1961 i socialisti invitarono gli operai a sabotare l’industria bellica. Chissà? Sarà la guerra alle mosche o alle zanzare? E per la stessa fiore di intellettuale, un’importante città della Florida, che comincia con la “o” è Otranto e non Orlando.

E si potrebbe continuare all’infinito a collezionare simili “perle”.

Di chi la colpa? Della scuola, soprattutto quella elementare dove agli scolari è ormai tutto permesso e i maestri non hanno neppure più la licenza di bocciare? Ma sulla preparazione di molti di loro è lecito esprimere delle riserve. Quando il sottoscritto frequentava le elementari  (una vita fa) si diceva: “Che buon pro facesse il verbo, insegnato a suon di nerbo, nelle scuole pubbliche”. Forse è eccessivo, ma a forza di bacchettate sulle dita il sottoscritto e generazioni di scolari hanno imparato l’ortografia e la grammatica e, alla scuola media, la sintassi e sono capaci di comprendere un testo, anche difficile, e di scrivere in modo corrente e corretto, oltre ad avere una buona cultura di base.

Ma parte della responsabilità è anche delle famiglie. Se invece del “Grande fratello” o dell’ “Isola dei famosi” seguissero in TV un programma intelligente, che induce alla riflessione, i figli imparerebbero qualcosa. E se in quella casa entrasse, invece delle riviste di gossip, almeno un quotidiano e questo venisse letto la situazione cambierebbe gradualmente. Ma così non è.

Il catalogo è questo. Questa la situazione di oggi. Come sarà domani?

Il Galileo