In due libri di ieri

il dramma del popolo armeno

L’olocausto degli armeni preludio a quello degli ebrei

 

di Giuseppe Prunai

 

La  rilettura di un libro di Antonia Arsian, “La masseria delle allodole” e, l’aver richiamato alla memoria l’omonimo film di Paolo e Vittorio Taviani, mi hanno spinto ad un approfondimento sul dramma vissuto dal popolo armeno e sulla persecuzione subita nel 1915 ad opera dell’Impero ottomano e, dopo la prima guerra mondiale, anche da parte dei “giovani turchi”. Così ho ricercato, non senza una certa fatica, un romanzo storico di Franz Werfel (Praga 1890 – Los Angeles 1945), “I quaranta giorni del Mussa Dagh”.

Werfel ha fatto parte di quel gruppo di scrittori cechi di lingua tedesca il cui leader era Franz Kafka. Fra l’altro, Kafka era un estimatore dei romanzi storici del Werfel, soprattutto della biografia di Napoleone. Il suo romanzo sul genocidio armeno si dimostrò, nel tempo, profetico, anticipatore dell’olocausto del popolo ebraico. Pubblicato nel 1933, lo stesso anno della designazione di Hitler a cancelliere tedesco,  il libro fu vietato in Germania e Werfel che, finita la Grande Guerra, si era trasferito a Vienna, all’indomani dell’Anschluss  emigrò in Francia e, scoppiata la seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti. Dimenticavo di dire che Werfel era di origine ebraica.

Il Mussa Dagh, il Monte di Mosè, è una montagna della catena dell’Anti-Tauro, nella provincia di Hatay, nella Turchia meridionale. Nel 1915 fu teatro di una strenua resistenza degli armeni, che furono poi tratti in salvo da alcune navi da guerra francesi.  Sul Mussa Dagh, il Werfel ambienta il suo racconto. Un ricco armeno, fatta fortuna in Francia, ritorna in patria. Nel 1915, quando scatta il piano criminale turco (preludio alla soluzione finale degli ebrei progettata da Hitler) organizza la resistenza armata, trasferendo sulla montagna la popolazione della zona. Tra alti e bassi, alterne fortune, problemi personali dei protagonisti e qualche defezione la resistenza va avanti per 40 giorni, Ma della vicenda degli armeni asserragliati sul Mussa Dagh viene a conoscenza il comandante di una squadra navale francese che, dopo un po’ di minacciose cannonate sulle postazioni turche, fa trasferire a bordo delle navi i profughi armeni.

Il genocidio del popolo armeno, cominciato praticamente nel 1894, inizialmente ha una motivazione  religiosa. Gli armeni sono da sempre cristiani, cattolici o protestanti, e la loro presenza in un paese mussulmano, dove  la parola laico, ieri come oggi, equivale ad una bestemmia, è sempre stata contestata. Una persecuzione cominciata nell’Impero Ottomano e proseguita nel regime dei “giovani turchi”. Nel periodo della prima guerra mondiale, alle motivazioni dettate dall’integralismo islamico, si aggiunsero quelle politiche: si temeva che gli armeni si alleassero con  la Russia. In effetti, allo scoppio della guerra, molti armeni disertarono per arruolarsi nell’esercito russo e combattere contro la Turchia. Dopo la rivoluzione d’ottobre, si arrivò alla formazione della Repubblica sovietica d’Armenia che la Turchia dovette accettare “obtorto collo” per evitare uno scontro con il gigante sovietico. (A sinistra, lo scrittore Franz Werfel: a destra, un'edizione del suo libro)

I “giovani turchi” organizzarono le deportazioni in massa che coinvolsero almeno 1.200.000 persone costrette a percorrere chilometri e chilometri a piedi attraverso la Turchia. I morti per fame, malattie, sfinimento furono centinaia di migliaia. Le marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco, prova generale delle deportazioni naziste. Si stima che tra il 1915 e il 1923, almeno 1.500.000 armeni siano stati sterminati su una popolazione di circa 2 milioni di persone.

Fino ad oggi, tutti i governi turchi che si sono succeduti hanno negato il genocidio, In Turchia è vietato parlarne e addirittura è stato cambiati il nome al monte Mussa Dagh.

 Molti paesi occidentali hanno sempre ostentato un diplomatico imbarazzo nei confronti della Turchia massacratrice di cristiani. La prima, vera presa di posizione è quella di Giovanni Paolo II, il papa polacco che aveva sperimentato sulla propria pelle la persecuzione dei nazisti. Dopo un incontro con  il patriarca armeno, non esitò a definire l’olocausto armeno, il primo genocidio del XX secolo. Anche Papa Francesco ha parlato recentemente di genocidio armeno.

Il Galileo