Un quotidiano fiorentino nel segno di La Pira

La ventennale storia

del Giornale del Mattino

 

Il sindaco Giorgio La Pira (al centro) nel suo ufficio in Palazzo Vecchio osserva un quadro di un pittore vietnamita (il primo a sinistra nella foto). Alla sinistra di La Pira c'è Mario Talli, l'autore dell'articolo e alla sinistra di quest'ultimo c'è Paolo Folli, cronista del "Giornale del Mattino".    (la foto è della fine degli anni 50)

 

 

 

di Mario Talli

 

Presso l'Archivio storico del Comune di Firenze è in corso una mostra dal titolo “Firenze Anni Cinquanta. La Pira e Il Giornale del Mattino di Ettore Bernabei”. La mostra resterà aperta fino al 3 maggio. La commistione tra i due soggetti, La Pira e il giornale, non è casuale, entrambi sono strettamente intrecciati.

Come il Nuovo Corriere di Romano Bilenchi, anche Il Giornale del Mattino trae le sue origini dalle vicende legate alla Liberazione della città ad opera delle forze partigiane e delle truppe Alleate e precisamente dall'eredità di altre due testate: il minuscolo Corriere Alleato, espressione, come dice il nome, dei comandi angloamericani e La Nazione del Popolo, organo del CLN della Toscana. Per una strana serie di circostanze che viste con gli occhi di oggi hanno dell'incredibile, erede diretto del primo dei due giornali diverrà, dopo una serie di “passaggi”, Il Nuovo Corriere, espressione del Pci, mentre successore della Nazione del Popolo sarà, nel '47, Il Mattino d'Italia (che dal '54 si chiamerà  Il Giornale del Mattino), di proprietà della Democrazia cristiana.

La connessione tra il giornale e La Pira è più che ragionevole in quanto Il Giornale del Mattino  ha effettivamente accompagnato passo dopo passo il cammino prorompente di quest'ultimo, ma la personalità del tutto straordinaria di La Pira e l'eco mondiale suscitato dalle sue azioni rischiano di far passare in secondo piano la breve – circa venti anni – ma molto particolare e interessante storia del quotidiano. Nel '47 Giorgio La Pira non è ancora sindaco di Firenze, lo diverrà quattro anni dopo, nel '51. Il 25 marzo di quell'anno, nella sua qualità di capolista della Dc, in vista delle elezioni comunali ormai prossime rivolge gli auguri pasquali ai lettori del giornale. Le sue parole hanno il sapore di un indirizzo programmatico che forse al momento sfuggì ai più. “Pensate, amici che leggete, a quello che è derivato e che deriva, e che sempre deriverà da quella Resurrezione. La 'rivoluzione sociale' ha inizio lì e non avrà termine mai perché il modello della persona umana, il peso del suo valore, il distintivo unico della sua dignità, è costituito da quel corpo risorto...”

Giorgio La Pira con Ettore Bernabei

Qualche mese dopo la Dc strappa il comune di Firenze ai comunisti e ai socialisti e La Pira si insedia in Palazzo Vecchio, al posto del comunista  Mario Fabiani. Costui non aveva governato male. Al contrario. La sua amministrazione si era distinta per il fervore operoso con cui aveva avviato i lavori per la ricostruzione delle opere pubbliche distrutte dalla guerra, a cominciare dai ponti sull'Arno fatti saltare dai tedeschi in fuga, e per l'attenzione ai bisogni di tutti, in particolare dei ceti popolari. Fabiani, inoltre, uomo risoluto ma di modi garbati, si era fatto apprezzare non solo da chi lo aveva eletto, ma anche dagli avversari e perfino, lui comunista integerrimo ma non trinariciuto,  dall'aristocrazia fiorentina.

La Pira dunque prende il posto di Fabiani, ma per una parte della Democrazia cristiana e le altre forze del raggruppamento conservatore che lo avevano voluto, la buona notizia è destinata ad avere vita piuttosto breve. Ben presto si accorgeranno che in fatto di propensione verso i lavoratori e le categorie sociali svantaggiate, il nuovo sindaco non fa affatto rimpiangere chi lo aveva preceduto.Anche la sua amministrazione continua nell'opera di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate dalla guerra, ma ben presto, si trova costretta a fronteggiare la crisi di alcune importanti industrie fiorentine che mettono a repentaglio lo sviluppo dell'economia cittadina e in primo luogo l'occupazione di alcune centinaia di lavoratori,  operai, tecnici  e impiegati. E' in questi frangenti che si dispiega in modo inequivocabile la portata e il significato dell'azione di La Pira sindaco. Nel '53 un'antica industria fiorentina, la Fonderia delle Cure, versa in gravi difficoltà, tanto che la proprietà pare orientata alla chiusura. Il sindaco, dopo aver inutilmente cercato in tutti i modi di convincere i proprietari a recedere dai loro propositi,  incontra gli operai e subito dopo requisisce l'azienda. L'anno successivo è la volta della “Pignone”, un'altra storica  industria fiorentina di cui è  proprietaria la Snia Viscosa  a trovarsi in difficoltà. Ed anche in questa occasione la proprietà pensa di chiudere i battenti. La vertenza si trascina a lungo e raggiunge punte di conflittualità assai aspre.

Ettore Bernabei con Sergio Lepri, caporedattore del giornale,poi direttore dell'ANSA

 Partono le prime lettere di licenziamento  a cui i lavoratori rispondono con lo sciopero e l'occupazione dello stabilimento. La Pira interviene ripetutamente (ma invano) invitando il governo a favorire una soluzione.Avrà più fortuna quando si rivolge al presidente dell'ENI. Enrico Mattei acquista per conto dell'Ente petrolifero pubblico la maggioranza del pacchetto azionario della società e nasce così “La Nuova Pignone”, la fabbrica cambia il suo nome ma risorge a nuova vita e i posti di lavoro sono salvi. Più o meno le stesse vicende si ripeteranno qualche anno dopo alle officine “Galileo”, appartenenti alla Società adriatica di elettricità (SADE): anche qui licenziamenti, scioperi, occupazioni dello stabilimento. La Pira chiama ancora una volta in causa il governo, interviene presso l'on. Fanfani e altri esponenti democristiani. Alla fine la lunga vertenza si conclude con la riduzione del numero dei licenziati, che saranno aiutati a trovare un lavoro altrove.

Negli stessi anni il sindaco La Pira dà un forte impulso all'edilizia pubblica, destinata a soddisfare il forte fabbisogno di residenze popolari, causato anche dalle conseguenze della guerra. Il simbolo di questi interventi è la nascita di un quartiere del tutto nuovo quasi a ridosso del parco delle Cascine, il quartiere dell'Isolotto.    

 Ma la politica sociale  non è l'unico connotato dell'azione del sindaco La Pira. Egli infatti poco dopo essere entrato in carica comincia ad agire sul piano internazionale. Negli anni della guerra fredda e della contrapposizione tra blocchi contrapposti, egli vuole fare di Firenze, nota nel mondo per la sua storia e le sue bellezze monumentali e artistiche, un centro propulsore di politiche di amicizia e di pace.  Tre sono nel corso degli anni i principali appuntamenti che richiameranno su Firenze l'attenzione del mondo intero: il Convegno per la pace e la civiltà cristiana, il Covegno dei sindaci delle città capitali e i Colloqui del Mediterraneo.

Tutta questa intensa attività del sindaco, come abbiamo già intravisto, suscita parecchi malumori tra le forze politiche che sostengono l'amministrazione comunale e all'interno della stessa Democrazia cristiana. Ma anche la stampa nazionale di destra e di centro, di orientamento conservatore e tradizionalista si era da tempo mobilitata contro l'azione del sindaco fiorentino. Alcuni giornali arrivarono a definire La Pira “il bolcevico bianco”. Ed il giornalista Edilio Rusconi parlò in un suo articolo sul settimanale ”Oggi” di “pericolosa svolta dei cattolici fiorentini”.

Qualcosa di analogo (ma questa volta in un senso del tutto opposto, quasi a dar ragione ai contestatori del centrodestra) si verifica nell'ambito delle forze politiche di opposizione: comunisti – con qualche differenza al loro interno - e socialisti.Testimone autorevole e partecipe di questa “svolta” è lo scrittore Romano Bilenchi, che in quegli anni dirigeva “Il Nuovo Corriere”. Ecco quanto scrive in proposito nel suo ultimo libro, “Amici”: 

“Quando La Pira divenne sindaco, Fabiani e io (anche apertamente, sul giornale che dirigevo) cercammo di aiutarlo. Sapevo che sarebbe stato sindaco come era uomo.Uno di quelli anarchici medioevali, seguaci solo di Dio...Egli sapeva che non vivevamo nel Medioevo, conosceva i problemi di oggi e tutto quello che aveva lo dava ai poveri.'Il capitale è un furto', diceva inaugurando il suo corso universitario...”

 Era stato La Pira stesso  a chiedere il sostegno ad alcuni esponenti dello schieramento opposto al suo. A dircelo è sempre Bilenchi: “Convinto della nostra buona fede si consigliava spesso con noi: diceva di aver costituito una giunta segreta formata da lui, da Fabiani,da Tristano Codignola e da me.”

Questa singolare alleanza è tutt'altro che casuale, perché tutti e quattro i personaggi prima menzionati, La Pira, Fabiani, Codignola e Bilenchi, pur tenendo fermi i loro orientamenti politici di fondo, non erano prigionieri delle strettoie ideologiche e delle rispettive appartenenze.

Parlando di La Pira bisognerebbe almeno accennare ad alcuni tra i suoi principali collaboratori. A cominciare da Mario Primicerio che lo accompagnò in quasi tutti i suoi viaggi all'estero e che anni dopo divenne anche lui sindaco di Firenze. Una menzione del tutto particolare la merita Fioretta Mazzei, uno dei suoi più efficienti e apprezzati assessori comunali. Fioretta Mazzei, appartenente a una famiglia agiata e di antiche origini nobiliari, era una specie di La Pira in gonnella. Come lui aveva fatto voto di povertà ed aveva un sorriso disarmante e caritatevole che pareva volesse dire a chi la avvicinava, sopratutto agli interlocutori bisognosi di cure e di sostegno finanziario: “non preoccuparti, ci siamo qua noi.” 

Il discorso sull'azione di La Pira sindaco ha inevitabilmente fatto passare in secondo piano il riferimento  al “Il Giornale del Mattino” che, specie quando ne fu direttore Ettore Bernabei, prima di lasciare l'incarico per diventare il numero uno della Rai, offrì sulle sue colonne un costante e prezioso appoggio al sindaco, le cui iniziative più significative trovavano spesso risalto nella penna di Vittorio Citterich, trasformatosi in una sorta di inviato speciale sedentario al seguito di La Pira

Il Giornale del Mattino dedicava molto spazio allo sport, soprattutto a quello giovanile. Ecco l'edizione dedicata alla conquista dello scudetto da parte della Fiorentina

 Ma “Il Giornale del Mattino” non fu ovviamente solo un supporto a Giorgio La Pira e un propugnatore dei principi sociali della Chiesa, fu anche un innovatore nel campo della carta stampata. Come fece “Paese Sera” per quanto riguardava i giornali del pomeriggio,  esso anticipò di diversi anni il quotidiano di Mattei “Il Giorno” nel rivoluzionare l'aspetto grafico dei giornali del mattino. Al posto delle pagine lineari, piuttosto amorfe e sbiadite della grafica tradizionale, il nuovo giornale fiorentino presentò delle pagine dall'impostazione “verticale”, con i titoli in evidenza e un uso originale, non di semplice supporto, delle fotografie.  Scrive in proposito il giornalista Piero Meucci, nel libro “Giornalismo e cultura nella Firenze del dopoguerra”, in cui parla diffusamente del “Nuovo Corriere” di Bilenchi e, appunto, del “Giornale del Matino”:  “Il giornale diventa molto agile e ricco di rubriche. Le novità vengono concordate con i lettori per mezzo di un sondaggio-referendum.” Al referendum risposero circa 18 mila lettori. “Se si pensa che vendevamo tra le 30 e le 32 mila copie – osserverà l'allora redattore capo del giornale Sergio Lepri – si può dire che risposero quasi tutti.” Tra le novità  - ricorda Piero Meucci - vi fu l'inserto domenicale, la pagina col

 cruciverba e i fumetti, e le rubriche al servizio del lettore...”

Purtroppo, come spesso accade anche alle buone cose, col trascorrere degli anni arrivarono per il giornale i tempi bui. Per una serie di ragioni dipendenti dai mutamenti del mercato editoriale e della situazione politica fiorentina e nazionale (per la Democrazia cristiana La Pira è ormai diventato un soggetto ingombrante e con la crisi del “centrismo” essa ritiene di non aver più interesse a finanziare la sua stampa), il 31 luglio 1966, “Il Giornale del Mattino” cessa di esistere. “Un'altra coincidenza – annota ancora Piero Meucci nel suo libro – accomuna la sorte del Mattino a quella del Nuovo Corriere: entrambi vengono chiusi d'estate, alla chetichella, quasi per evitare che la sospensione delle pubblicazioni susciti troppe reazioni.”  

        Il Galileo