La scomparsa di Ugo Gregoretti

Le cravatte e il comunista

Un ricordo del grande intellettuale

in questo vecchio articolo del 2006 per recensire un suo libro autobiografico

 

 

di Magali Prunai

Ugo Gregoretti (asinistra in uno scatto degli anni 60), raffinato regista cinematografico e televisivo, ci regala un nuovo libro: “Finale aperto, vita scritta da se stesso”. Un raffinato ed esilarante racconto dall’infanzia nel periodo fascista ai giorni nostri. Una summa di marachelle da bambino e di stravaganze di giovinetto. Del suo  viaggio nel Nord Italia, a scuole finite, dove si ritrovò a non mangiare e a dormire sulle panchine delle stazioni per poter spendere i pochi soldi rimasti in biglietti di musei, dei suoi frequenti cambi di facoltà perché scontento della scelta o perché non aveva voglia di proseguire. Finché non si ritrovò a lavorare per un giornale. Da allora la sua carriera fu una strada in discesa. Il lavoro in RAI arrivò ben presto seguito da una proficua carriera di regista. A lui dobbiamo la trovata di S. Chiara come patrona della televisione. Molto religioso da ragazzo, quando gli venne chiesto di pensare a un possibile santo patrono della tv subito ricordò che la santa, chiusa nella sua cella, vide su un muro le immagini dell’agonia di S. Francesco proprio mentre stava morendo. “Ha inventato la presa diretta! La diretta in tempo reale”.

I suoi lavori cinematografici, rivolti alle problematiche sociali e politiche, furono apprezzati soprattutto negli ambienti del PCI i cui dirigenti gli proposero di prenderne la tessera.

“Ma come può entrare nel PCI uno come me che ha duecento cravatte!?” disse Gregoretti al segretario della Sezione Cassia, Marchesi, che gli consegnava la tessera.

I Gesuiti, in collegio, durante la guerra, lo rispedirono a casa perché frivolo e vanitoso. Quale bambino, quale adolescente, anche se benestante, possedeva così tante cravatte come lui? Marchesi, un po’ ironico e un po’ stupito, rispose “noi non siamo i Gesuiti”.

Sconfitto prese la tessera e nel giro di poco si ritrovò candidato ed eletto per ben sette anni al consiglio comunale a Roma. “Disciplina di partito”, questo l’unico motivo che lo spinse ad accettare la candidatura e a fare alcuni comizi che riscossero largo consenso fra i lavoratori più umili, mentre altri lo ritennero  un “traditore di classe”.

Troppo tempo è passato da quegli anni e non accade più di frequente che la gente lo fermi per strada per salutarlo, come ci racconta ne “Il teatrino di casa mia”, altro suo delizioso e divertente libro.

Non potendo concludere la sua autobiografia con la data della sua morte, lo fa raccontando uno dei tanti battibecchi con la moglie Fausta.

Ogni tanto capita che mediti sulla chiesa dove vuole che il suo funerale venga celebrato. Ovviamente il pensiero corre subito a quella degli artisti, S. Maria in  Montesanto, in piazza del Popolo. Chiesa artistica, facilmente raggiungibile da chi non abita a Roma. La moglie ribatte che anche la loro parrocchia è artistica, chi viene da fuori può prendere un taxi e che soprattutto molti volti noti, come Scaparro e Ferrara, abitano lì vicino e quindi potrebbero raggiungerla senza difficoltà.

La reazione non è delle migliori. Se Ferrara si presenterà al suo funerale uscirà dalla cassa per cacciarlo a pedate, anche se è più grosso di lui. Non scordiamoci l’effetto sorpresa “un morto che resuscita e ti mette in fuga!”

Questo articolo lo scrissi nel 2006, quando ero ancora una matricola, per un mensile dell’università degli studi di Milano per il quale collaboravo. Era un tributo a un autore forse poco conosciuto dai più giovani allora come oggi, ma da me molto apprezzato per la sua pungente ironia e cinismo, tipici del romano che porta con sé un bagaglio culturale storico, forse inconsapevolmente o forse inconsciamente, che deriva direttamente dai suoi antenati più antichi.

Ugo Gregoretti, nato il 28 settembre 1930, si è spento il 5 luglio 2019 nella sua casa di Roma. Rileggendo questo mio breve articolo ho sorriso all’idea del suo finale aperto, non essendo ancora lui  morto e dell’effetto sorpresa al quale aveva pensato nel caso di ospiti sgraditi alle sue esequie. Un ricordo scherzoso che forse farà sentire meno la sua mancanza.

Il Galileo