Madrid: COP 25

 Un buco nell’acqua

Campanello d’allarme dell’ONU, ma nessuno lo ascolta: se non si riduce l’uso di combustibili fossili si va verso una catastrofe climatica. Intanto 500mila persone sono morte negli ultimi 20 anni  a causa  di oltre 12mila eventi meteorologici estremi.

 

 

di Bartolomeo Buscema

 

Incontro del presidente Mattarella  con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, S.E. il Signor António Manuel De Oliveira Guterres (foto uff, stampa Presidenza Repubblica)

Secondo l’ultimo report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)  “Special Report on Global Warming of 1.5°C”, recentemente pubblicato, emerge la non procrastinabilità delle azioni necessarie per contrastare l’attuale emergenza climatica. E la preoccupazione che, se non facciamo nulla, l’aumento di 1,5°C (limite fissato nel summit di Parigi per scongiurare un instabilità climatica incontrollabile) sarà realtà in appena 21 anni. Uno scenario foriero di calamità, specialmente per i poveri della nostra Terra. Ed è in tale preoccupante vicino futuro che il 2 dicembre  scorso ha aperto i battenti la venticinquesima conferenza delle parti (COP 25). Un summit mondiale nel quale hanno partecipato delegati provenienti da circa 200 Paesi. Il summit si doveva chiudere il 13 dicembre  scorso, ma si è ricorso a due giornate supplementari. Nonostante i mesi di preparazione e le due settimane di negoziati nella capitale spagnola, la COP25 si chiude con un sostanziale nulla di fatto e rinvio alla prossima COP 26 che si terrà a Glasgow esattamente tra un anno.

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 Tentiamo ora una breve cronaca. Scopo principale era, all’inizio, la definizione con maggior dettaglio possibile di come rispettare gli obiettivi fissati nello storico summit di Parigi per contenere l’aumento delle temperature terrestri entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Tra i delegati aleggiava un cauto ottimismo, nonostante gli Stati Uniti, sotto la guida del presidente Donald Trump, si erano, con anticipo, sfilati dagli accordi di Parigi sul clima e la constatazione che la maggior parte delle nazioni del G20, responsabili del 78% delle emissioni complessive di gas serra, non avevano sottoscritto alcun impegno per azzerare le emissioni nette di CO2 entro la metà del secolo. L’ottimismo, invece, scaturiva dalla dichiarazione dell’Unione europea dell’emergenza climatica in atto, e della conseguente volontà di puntare a una riduzione dei gas serra pari al 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, un miglioramento rispetto all'attuale obiettivo del 40%. Ed anche della decisione della BEI (Banca Europea deli Investimenti) di non finanziare le attività afferenti ai combustibili fossili. Ottimismo subito stemperato dalla preoccupante dichiarazione del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che, all’apertura del summit,  ha suonato un campanello d’allarme: “Gli sforzi della comunità per ridurre le emissioni di gas serra sono totalmente insufficienti. Manca ancora una volontà politica. I maggiori produttori di CO2 non fanno la loro parte e senza questo impegno l’obiettivo è irraggiungibile”, aggiungendo che "Il mondo deve scegliere tra speranza e capitolazione". Numerosi i temi negoziali sul tappeto che, purtroppo, non  sono approdati alle necessarie  decisioni; lasciando così in sospeso tre importanti questioni che richiedevano impegni concreti, soprattutto da parte dei Paesi più ricchi, sia per riduzione dei gas serra sia per i  finanziamenti ai Paesi vulnerabili colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale.

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 La prima questione  riguardava gli impegni nazionali sottoscritti nel 2015 a Parigi per il taglio di gas serra e, più precisamente, il contenimento dell'innalzamento medio della temperatura globale  a  1,5 gradi centigradi entro il 2100 rispetto al periodo preindustriale. La seconda questione concerneva l'articolo 6 dell'accordo di Parigi sulla regolazione del mercato globale di emissione di anidride carbonica  attraverso la compravendita di quote. Un meccanismo ritenuto da molti non efficace per cui un Paese può  emettere più CO2, rispetto al valore assegnato, acquistando quote di emissioni da altri  Paesi  che rilasciano in atmosfera  meno anidride carbonica o che sono più efficienti nell’uso dell’energia. Un meccanismo che da un lato finanzia la produzione di energia rinnovabile nei Paesi in via di sviluppo, dall’altro può diventare un alibi per alcuni Paesi a non ridurre le proprie emissioni.

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La terza questione riguardava il cosiddetto Meccanismo internazionale di Varsavia, e cioè la revisione del sistema di aiuti finanziari per i danni, legati al cambiamento climatico, subiti dai Paesi  più vulnerabili,  che in genere sono i più poveri. Tre importanti questioni su cui si è deciso poco o niente. A dispetto  del preoccupante allarme dei climatologi contenuto nell’ultimo rapporto della World Meteorological Organization, dei dati  forniti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che indicano i cambiamenti climatici come responsabili di molti pericoli per la nostra salute, e  dei dati del ”Global Climate Risk Index”,  resi noti della OGN tedesca Germanwatch, che ha confermato come circa controbattere: è innegabile che il livello dei mari si sta alzando, che gli ecosistemi stanno cambiando a tal punto che le specie animali e vegetali  si spostano, e che gli eventi meteo estremi stanno aumentando di numero e soprattutto di 500mila persone siano morte negli ultimi 20 anni  a causa  di oltre 12mila eventi meteorologici estremi. Sono dati  su cui c’è poco da intensità. Insomma, un summit interlocutorio che ha lasciato l’amaro in bocca come ben ha ricordato, a chiusura dei lavori, lo stesso  segretario Guitierrez sottolineando che la comunità internazionale ha perso un’importante opportunità per combattere la crisi climatica. Ora, non ci resta che attendere il prossimo summit scozzese nella speranza  che sia  foriero di buone notizie per il bene del nostro Pianeta blu e, in definitiva, per i tanti, sempre di più, che lo abitiamo e per le generazioni future che lo abiteranno.

Il Galileo