Al Viesseux 54 anni fa

Una festa per i 70 anni

di Eugenio Montale

 

 

di Giuseppe Prunai

Eugenio Montale

A sentir parlare di Viesseux e di Firenze, il cronista d’antan non può non ritornare con la memoria ad oltre mezzo secolo fa quando, redattore alle “province” del quotidiano fiorentino “Giornale del mattino” fu incaricato dal responsabile della  “terza pagina” che allora era la pagina culturale dei quotidiani, di  realizzare un servizio sul Gabinetto del Viesseux che festeggiava il 70esimo compleanno di Eugenio Montale, suo antico bibliotecario e direttore di riviste letterarie, durante il periodo fascista.

Ignoro, tuttora, perché, tra i tanti collaboratori della “terza” la scelta sia caduta su di me, semplice redattore alle “province” che si dava un troppo da fare, come riteneva qualcuno che cui la cosa dava, evidentemente, fastidio.

Era il 7 giugno 1966. Un po’ intimorito, temendo di non essere all’altezza dell’avvenimento, passai una mattinata a documentarmi in biblioteca e poi all’assalto.

Ricordo il gran numero di presenti, insolito per un’iniziativa culturale. La gente non entrò tutta nel salone della conferenza e seguì l’avvenimento dal cortile di Palazzo Strozzi dove era stato sistemato un altoparlante.

Presentazione dell’allora presidente del Viesseux, Giovanni Tadini Buoninsegni Tobler, che rievocò gli anni di attività di Montale al Gabinetto, dal quale fu allontanato per motivi politici durante il fascismo, e di cui ebbe, la reggenza, dopo la guerra, in qualità di commissario straordinario.

Fu poi la volta del ministro del bilancio, on. Giovanni Pieraccini, fiorentino, che noi giornalisti avevamo soprannominato “il ministro canguro” perché era solito usare l’espressione “occorre un salto di qualità”. Pieraccini, a nome del Capo dello Stato, consegnò a Montale le insegne di cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Poi sottolineò l’importanza della voce del poeta di “Ossi di seppia” per i giovani degli anni venti e trenta costretti a vivere fra gli orpelli delle divise e gli ultimi bagliori delle decadenti canzoni di Dannunzio.

Infine, l’orazione ufficiale del prof. Walter Binni (1913 - 1997) critico letterario, combattente antifascista ed ex parlamentare del PSIUP, allora ordinario di letteratura italiana alla Sapienza di Roma. Per Binni, Montale trasformò il gusto della poetica e il modo di intendere la poesia. La sua nutrice – proseguì – è la terra ligure, dal paesaggio aspro e nudo ed il suo linguaggio è quello della negazione, del mondo senza significato, della materia oscura, dell’uomo senza miti. Questa la realtà del suo tempo che seppe percepire, questo il senso della crisi succedutatisi alla prima guerra mondiale. E’ nella percezione di questa verità del tempo che matura “Ossi di seppia”. Egli nasce alla poesia da una crisi, egli la vive e tenta di darle un significato.

Binni così proseguì: egli non si arrende ai deliri del tempo, deliri letterari e morali. Fieramente avverso al regime, fu fra i firmatari del manifesto crociano contro il fascismo e fu “fra quei badilanti che cercarono di sbrattare l’Italia dal letame della dittatura”.  Poi pose l’accento sull’importanza dell’opera di Montale che portò con la sua aspra musica una voce nuova nella poesia dei nostri tempi.

“Ti ringrazio – concluse Binni – per tutto quello che hai dato all’arte del nostro Paese e permettici di poterci chiamare per sempre tuoi amici”.

Commosso da tanta manifestazione d’affetto, Montale ringraziò il Viesseux e gli amici di avergli tributato questa manifestazione d’affetto e ringraziò anche la città di Firenze dalla quale fu esiliato. “Ma fui esiliato – disse – non per colpa dei fiorentini ma di altri uomini che io non ho mai odiato perché io non sono capace di odiare. E forse – aggiunse ridendo – dal mio esilio non è mai nata una Divina commedia…”. 

Montale concluse dicendo che sarebbe tornato a Firenze un giorno “in quel pezzetto di terra che ho comprato nel cimitero di San Felice a Ema dove riposa mia moglie”. Quella sua unica proprietà fondiaria – come amava chiamare la sua futura sepoltura – dalla quale per poco, per colpa di un burocrate, non è stato recentemente sfrattato.

 Il Galileo