Breve cronistoria del contrasto

ai cambiamenti climatici

 

di Bartolomeo Buscema

 

Gli Inizi

Agli inizi del 1800, Joseph Fourier (foto a destra), il pioniere francese nello studio del calore, mostrò che l'atmosfera manteneva la Terra più calda di quanto sarebbe stata se fosse esposta direttamente allo spazio, cioè senza lo strato d’aria che la ricopre. Nel 1860 John Tyndall, ( foto a sinistra) un fisico irlandese, aveva scoperto che alcuni gas, tra cui l'anidride carbonica, facevano sì che l’atmosfera fosse trasparente alla luce solare nello spettro del visibile, ma che assorbisse la radiazione infrarossa riemessa dalla crosta terrestre e dal mare. E’ quello che noi oggi chiamiamo l’effetto serra. Nei primi decenni del secolo scorso, Svante Arrhenius, un chimico svedese, ipotizzò che i bassi livelli di anidride carbonica avrebbero potuto causare le ere glaciali e che l'uso industriale del carbone avrebbe potuto riscaldare il pianeta. Nessuno di loro, però, avrebbe potuto prevedere la repentina espansione dell'uso dei combustibili fossili dopo la metà del ventesimo secolo. Agli inizi del novecento erano emessi in atmosfera circa due miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Nel 1950 le emissioni erano triplicate. Oggi sono quasi venti volte tanto.

Svante Arrhenius

 

 

Prime avvisaglie

Nella prima metà del secolo scorso, gli scienziati credevano che quasi tutta  l'anidride carbonica emessa dall'industria sarebbe stata facilmente assorbita in gran parte dagli oceani e dalle piante. Ma, nel 1957, l’oceanografo Roger Revelle, coautore di una ricerca con Hans Suess, scoprì che gli oceani assorbivano l'anidride carbonica emessa dalle attività dell’uomo a un ritmo molto più lento di quanto precedentemente previsto in passato dai geologi. Ciò implicava che la quantità di anidride carbonica aumentasse nel tempo accentuando l’effetto serra che, come noto, causa il riscaldamento globale. Un’acquisizione scientifica già riportata nell’appendice di un rapporto, risalente al 1965, preparato dal Comitato Consultivo Scientifico Presidenziale dove si segnalava, per la prima volta, che una tale repentina crescita delle emissioni di anidride carbonica avrebbe comportato un conseguente aumento della temperatura media del pianeta. Proprio in quell’anno, nel 1965, il livello di anidride carbonica era di 320 parti per milione (p.p.m.), solo 40 p.p.m. al di sopra di quello che era stato due secoli prima.  Per il successivo incremento di altri 40 p.p.m. ci vollero tre decenni. L’aumento dei 40 p.p.m. successivi hanno impiegato solo due decenni.  Oggi, il livello di anidride carbonica nell’atmosfera è di 414 p.p.m. e, secondo le previsioni, continua a salire di 2 p.p.m. Tutto ciò ha comportato che ogni decennio, dagli anni settanta in poi, è stato più caldo di quello precedente.

 

Prime misure di contrasto

Uno scenario che ha destato preoccupazione in molti scienziati e, per fortuna, in alcuni governanti che hanno promosso, nel 1992, un vertice globale tenutosi a Rio de Janeiro. In quella sede, molte nazioni firmarono la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNCCC) col fine di "prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico".

Da allora l’umanità ha emesso in atmosfera 765 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, accentuando l’effetto serra e determinando un crescente aumento di temperatura. A tal punto che il 2016 è stato l’anno più caldo da quando sono cominciate le registrazioni di temperatura. Il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC), costituito all’interno della Convenzione Quadro, oggi stima che la temperatura media della superficie  terrestre sia di 1°C sopra la temperatura media  relativa al periodo preindustriale. Con aumenti  medi di temperatura di 1,5°C  a latitudini medio-alte e di  circa  3 °C  in  gran parte dell'Artico. Per contrastare tali incrementi di temperatura ,in passato ci sono state  varie Conferenze delle Parti (COP). La prima Conferenza(COP 1) si è tenuta a Berlino nel '95.Tra le ultime Conferenze  va ricordata quella di Parigi (COP 21), dove nel 2015 è stato sottoscritto l’Accordo  di  Parigi che  prevede di mantenere l’aumento di temperatura  globale entro  1,5 °C  rispetto alle temperature  medie preindustriali. E’ una soglia  che i climatologi ritengono molto critica , oltre la quale gli eventi meteorologici  sarebbero così estremi e frequenti da  sconvolgere l’intero pianeta  a  discapito soprattutto delle popolazioni povere. Per raggiungere tale risultato, i modelli  previsionali di valutazione integrata, che combinano le dinamiche economiche con le ipotesi sul clima, suggeriscono la necessità di raggiungere l’obiettivo” zero emissioni nette”  entro il 2050.Un traguardo arduo che comporta  un drastico  cambio  dell’attuale  modello di sviluppo planetario. A oggi, purtroppo, se si escludono le buone intenzione dell’Europa che recentemente ha varato  il “Patto verde”, nessuna nazione è sulla buona strada.

 

Quale futuro?

Uno scenario che vede un’emergenza collettiva che deve essere affrontata con responsabilità da tutti i Paesi, possibilmente con un rafforzamento della capacità di azione e controllo della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Purtroppo, oggi, su scala globale non c’è alcun organismo che possa “imporre” una comune politica di prevenzione e di adattamento ai cambiamenti climatici, così come, ed è sotto gli occhi di tutti, l’OMS non può” imporre” una politica comune contro il coronavirus SAR-CoV2 o altri agenti patogeni. Ogni Stato fa di testa propria palesando una cocciuta ritrosia a cedere anche una piccola parte del loro potere a organismi sovranazionali che dovrebbero costituire una sorta di libera e solidale federazione tra le nazioni per la soluzione di problemi globali. Difficilmente i governi dei duecento paesi firmatari dell’accordo di Parigi agiranno in tempi rapidi per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Salvo che l’attuale pandemia non ci renda consapevoli della nostra fragilità biologica legata anche al futuro del clima. Infine, registriamo che l’epidemia scatenata dal Coronavirus ha fatto scendere, in tempi rapidissimi, le emissioni di anidride carbonica dell’otto per cento a livello globale. Ma non è questa la strada giusta. Per salvare la nostra Terra, è necessario che i governanti delle nazioni del mondo e noi tutti puntassimo a uno sviluppo  economico sostenibile secondo il principio di comuni ma differenziate responsabilità tra i poveri e i ricchi del nostro Pianeta blu.

Il Galileo