Una notte ad Entebbe

 Il raid israeliano della notte tra il 3 e il 4 luglio 1976 che inaugurò la lotta al terrorismo

 

di Paolo Negrelli

 

Il dittatore ugandese Amin Dada dedito al cannibalismo

26 giugno 1976. Il volo Air France 139 sulla tratta Tel Aviv – Parigi è appena decollato dopo lo scalo tecnico presso l’aeroporto di Atene. A bordo, 248 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio si preparano per il tratto di viaggio che li porterà alla loro destinazione.

Pochi minuti dopo la partenza 4 attentatori, appartenenti al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e a Revolutionäre Zellen prendono il controllo del velivolo ed impongono al pilota, il comandante Michel Bacos di fare rotta verso Bengasi, in territorio libico.

Dopo una sosta di alcune ore, il tempo necessario per rifornire il velivolo, lo stesso riprese il volo e fece rotta verso la città ugandese di Entebbe.

La destinazione fu scelta a seguito di pressioni da parte del governo di Parigi, che sollecitò il dittatore Idi Amin Dada – che indirettamente appoggiava i terroristi palestinesi – ad accogliere l’aereo. Inoltre, si voleva evitare che i dirottatori si allontanassero ulteriormente o chiedessero asilo in paesi con rapporti diplomatici più fragili.

L’Airbus A300 giunse a destinazione nelle prime ore del 28 giugno e all’originario gruppo si unirono altri 4 attentatori.

1975 -  Dall'Archivio storico della Presidenza della Repubblica: il Presidente Leone e consorte insieme al dittatore ugandese Amin Dada, ricevuto con tutti gli onori in Italia e invitato a pranzo nella tenuta presidenziale di Castelporziano

 

Una volta a terra, i sequestratori misero sul piatto le loro richieste: 5 milioni di dollari e la liberazione di circa 50 detenuti palestinesi imprigionati in diverse parti del mondo oppure avrebbero ucciso gli ostaggi. L’ultimatum fu fissato per il 1° luglio alle ore 14.00.

Le trattative iniziarono immediatamente, e già il giorno seguente il gruppo liberò gran parte dei passeggeri, trattenendo 105 cittadini israeliani. Il comandante Bacos e l’equipaggio si rifiutarono di abbandonare gli ostaggi e non partirono col volo che portava gli altri passeggeri verso la libertà.

I prigionieri furono quindi trasferiti presso il vecchio terminal dell’aerostazione di Entebbe, e i sequestratori si barricarono al suo interno.

Mentre le trattative proseguivano, in Israele prendeva corpo l’idea di liberare gli ostaggi con un’azione di forza.

Lo slittamento di qualche giorno dell’ultimatum imposto dai dirottatori rappresentò l’occasione che il governo israeliano stava aspettando.

Un velivolo passeggeri Airbus A300

Ottenuto dal vicino Kenya l’autorizzazione all’utilizzo dello spazio aereo, sei aerei dell’aeronautica militare israeliana, carichi di uomini ed equipaggiamenti, decollarono il 3 luglio. La delicata missione per la liberazione degli ostaggi era cominciata.Il piano era ardito. Si trattava di far atterrare di notte gli aerei da trasporto, dare l’assalto all’edificio dove si trovavano gli ostaggi, neutralizzare i dirottatori e aprirsi, se necessario con l’uso delle armi, una via di fuga sicura. I militari si addestrarono velocemente sfruttando una replica del terminal di Entebbe costruito appositamente per lo scopo.

Il 3 luglio 1976, mentre un Boeing B707 con funzioni di comando coordinava le operazioni e un velivolo gemello, attrezzato come aereo ambulanza, atterrava presso l’aeroporto internazionale di Nairobi, 4 C-130 Hercules, con una complessa navigazione notturna che li portò a sorvolare a bassa quota il Lago Victoria, atterrarono alle 23 ore locali presso l’aeroporto di Entebbe.

Le operazioni di atterraggio furono completate tenendo spenti i fari di navigazione e senza l’ausilio della torre di controllo.

La tomba di Yon Netanyau che comandò l'azione delle teste di cuoio israeliane

 

Dagli aerei, atterrati con i portelloni di carico già aperti, uscirono alcuni fuoristrada e una Mercedes nera. I mezzi, velocemente riuniti sulla pista, si misero in formazione simulando uno dei convogli ufficiali utilizzati da Idi Amin Dada.

Lo stratagemma funzionò. I militari israeliani superarono i controlli e, appena raggiunto il vecchio terminal, irruppero nei locali in cui erano custoditi gli ostaggi.

Intimando ai prigionieri di tenersi bassi, aprirono il fuoco contro i terroristi neutralizzandoli nel giro di pochi minuti. Contemporaneamente, altri membri del commando minavano alcuni MiG-17 ugandesi stazionati sui piazzali dell’aerostazione, al fine di garantire una fuga sicura ai velivoli di soccorso.

Raggruppati gli ostaggi, gli stessi furono condotti all’esterno dell’edificio del terminal e scortati ai C-130 che attendevano sulla pista.

Frattanto le guardie ugandesi, riprese dalla sorpresa iniziale, aprirono il fuoco contro ostaggi e militari israeliani, ma la loro reazione non impedì l’imbarco e la partenza degli aerei che, grazie al sabotaggio dei caccia nemici, raggiunsero lo spazio aereo nigeriano in totale sicurezza.

Dei 103 ostaggi presenti nel terminal al momento dell’attacco, 100 furono liberati mentre 3 di loro morirono nel corso dell’operazione, uno vittima per errore del fuoco israeliano e due colpiti dalla reazione ugandese. Ad esse si deve aggiungere Dora Bloch, ricoverata a Kampala a seguito di un malore riportato nel corso del dirottamento e uccisa per ritorsione su ordine di Idi Amin Dada: i suoi resti saranno ritrovati ed identificati solo nel 1979.

Le forze assalitrici contarono 5 feriti, tra cui Sorin Hershko che rimase invalido per le ferite riportate, e un morto, il tenente colonnello Yonatan Netanyahu, a capo dell’operazione e fratello del futuro leader del Likud e primo ministro Benjamin Netanyahu. Non è mai stata fatta una stima ufficiale delle perdite ugandesi a seguito del raid.

 

Il governo ugandese chiese la convocazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al fine di condannare l’azione israeliana, ma nessuna risoluzione venne approvata.

Per la decisione di non abbandonare i passeggeri rimasti in ostaggio, Air France biasimò e sospese il comandante Bacos. Quest’ultimo, però, nel corso dello stesso anno fu insignito con la Legion d'onore dal Presidente Valéry Giscard d'Estaing.

Il Galileo