Anche a tavola si protegge l’ambiente

Fare bene a se stessi e al pianeta con il cibo

 

di Adriana Giannini

 

Qualcosa ce lo deve pur aver insegnato questa terribile pandemia di Covid 19: quanto siano preziosi e fragili la nostra salute e l’ambiente in cui viviamo. E allora diamoci da fare perché ognuno nel suo piccolo può dare davvero il suo contributo. Cominciando, per esempio, dalla scelta intelligente e sostenibile degli alimenti che assumiamo i quali non solo possono attenuare il nostro impatto sull’ambiente e sul clima, ma possono darci una mano a migliorare il nostro stato di salute e la nostra sensazione di benessere. In alcuni casi dovrebbe bastare il semplice buonsenso. Per fare un esempio, se solo tutta la popolazione riducesse a due volte la settimana il consumo di carne rossa bovina ad avvantaggiarsi sarebbero in tanti. Prima di tutto la nostra salute e quindi il nostro sistema sanitario per la minore incidenza di malattie cardiovascolari e tumorali, e poi l’ambiente per la minore necessità di allevamenti intensivi che non solo comportano ingenti consumi di acqua, mangimi ed energia ma producono grandi quantitativi di gas serra come metano e anidride carbonica.

Un filtro per microplastiche

Qualcuno potrebbe obiettare che le proteine sono necessarie, ma sono molte altre le fonti non solo animali che ce le possono fornire e di buona qualità purché le modalità di produzione siano sane, ben controllate e si evitino nel caso di polli, maiali e - perché no?- anche pesci i famigerati allevamenti intensivi e, nel caso di frutta, verdura e cereali, l’uso di pesticidi e diserbanti.

Anche la provenienza degli alimenti di origine vegetale dovrebbe tenere presente l’impatto sull’ambiente. Perché non utilizzare solo prodotti di stagione e coltivati localmente anziché far fare lunghi e costosi viaggi a frutta e verdura provenienti da paesi lontani o fatte maturare fuori stagione nelle serre?

Certo il consumatore non può fare tutto da solo  e un contributo deve arrivare anche dalle  istituzioni pubbliche e private, ma qualcosa in effetti si sta muovendo.  Nel nostro paese il CNR e in particolare l’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (ISPA) ha avviato svariati progetti che hanno lo scopo di sviluppare alimenti funzionali, studiare le possibili applicazioni dei cosiddetti novel foods e approfondire le indagini sui composti bioattivi di origine naturale nei confronti della salute umana. Proprio gli scorsi 28 e 29 aprile i ricercatori di varie sedi dell’ISPA si sono incontrati – ovviamente on-line – per fare il punto sul progetto NUTRAGE che si propone di valutare l’importanza della dieta per un invecchiamento attivo e in buona salute e di mettere a punto alimenti sempre più funzionali, redditizi e fortificati. Si è molto parlato per esempio delle proprietà antiossidanti dei polifenoli contenuti in quantità variabili nei mirtilli, nei pomodori, nel tè verde, nei semi dell’uva, nei carciofi, nel luppolo e  in tanti altri vegetali evidenziando come sia possibile lavorare dal punto di vista genetico per trovare le varietà più biodisponibili. L’ISPA ha anche brevettato: Il CNR ha  brevettato prodotti  naturali, ma arricchiti  di proprietà nutraceutiche come Aliophen, un ricavato da malto e luppolo più efficace della birra scura e non alcolico o Kavolì, una miscela di foglie di brassicacee che abbassa l’ipercolesterolemia. Anche il grano più antico, il farro, si è dimostrato molto utile contro le infiammazioni e lo stress ossidativo perché quando è fermentato modifica positivamente il microbiota intestinale. L’importanza di quest’ultimo, ossia dell’insieme delle popolazioni batteriche che abitano l’intestino, è stata sottolineata in parecchi interventi in linea con tutte le più recenti ricerche in campo nutrizionale che  sono arrivate a considerare il microbiota un vero e proprio “apparato”, fondamentale per la salute fisica e mentale dell’individuo.

I mirtilli

Per quanto riguarda i novel foods, ossia gli alimenti che possono essere considerati nuovi in quanto mai consumati in Europa fino al 1997, anno in cui entrò in vigore una nuova direttiva europea per regolamentarli, il CNR sta collaborando al progetto quadriennale europeo  GoJelly. Varato nel 2018 con un finanziamento di sei milioni di euro ha lo scopo di valutare l’utilizzo delle meduse (in inglese jelly fish)  sia come nuovo alimento sia per combattere le microplastiche onnipresenti nei nostri mari. In effetti, a causa del riscaldamento globale, le sottovalutate e spesso odiate meduse  sono sempre più abbondanti nei nostri mari, ma questo una volta tanto potrebbe avere risvolti positivi. Da risorse marine neglette potrebbero infatti diventare un’abbondante ed economica fonte di cibo sia per gli allevamenti di pesci, sia per l’uso umano (come avviene già da 2000 anni in Cina e in molti altri paesi asiatici); inoltre si è visto che con il loro muco in grado di catturare le microplastiche si potrebbero fabbricare filtri  marini particolarmente efficaci.

Una medusa

Anche l’Associazione ambientalista “Mare vivo” ha raccolto con molto entusiasmo la possibilità di collaborare con il CNR al progetto GoJelly vedendone le promettenti ricadute sull’ambiente. Insieme a Slow Fish, il ramo “marino” di Slow Food, ha addirittura dato l’incarico ad alcuni chef stellati di mettere a punto delle ricette in grado di rendere appetibili ai consumatori nostrani quelle meduse che in Oriente sono già tanto apprezzate. Il risultato è European Jelly Fish Cook Book, un bel libretto in lingua italiana scaricabile gratuitamente che insegna come trasformare questi gelatinosi e urticanti organismi marini in piatti allettanti e molto salubri in quanto la loro carne è del tutto priva di colesterolo e contiene i preziosi omega3 e omega6.  Non pensate comunque di poter assaggiare molto presto un carpaccio di medusa: il loro utilizzo a scopo alimentare non è ancora stato approvato dall’Unione Europea, ma forse non si dovrà attendere molto visto che miliardi di persone l’hanno già collaudato. Io personalmente mi candido all’assaggio.

Il Galileo