L’undici marzo 2022, all’età di 80 anni è morto, dopo una lunga malattia, il
sergente boliviano Mario Teràn, colui che uccise Ernesto Guevara, “el Che”.
Riproponiamo l’intervista di Magali Prunai ad Aleida Guevara, fatta durante un
incontro all’associazione di amicizia Italia-Cuba di Arcore, pubblicata da “La
Rinascita della sinistra” il 22 dicembre 2006.
un padre normale
di Magali Prunai
Del “Che”, Aleida Guevara ha lo stesso sorriso dolce e gli stessi occhi
espressivi che brillano quando parla di ciò in cui crede. Aleida non pensa a suo
padre come a un mito e non lo vuole ricordare come tale, ma semplicemente come
un uomo qualsiasi, come il suo “papi”. Un uomo che, come tanti altri, ha creduto
nei suoi ideali fino alla fine, combattendo e morendo per essi.
Nel 2007 saranno 40 anni dalla morte di uno dei più grandi simboli ed eroi del
nostro tempo: Ernesto Guevara detto “el Che”. Cosa significa essere figlia di un
personaggio così importante?
Sono figlia di un uomo e di una donna che si amarono molto. Noi non crediamo nel
mito e non vogliamo il mito. Quando permetteremo che questo accada la figura del
“Che” si allontanerà dall’essere umano, dall’uomo.
Quando lui morì lei era molto piccola. Cosa ricorda di suo padre e come le è
stato descritto?
Mia madre mi parlò sempre del suo affetto e del suo amore per i figli. I momenti
che passai con lui furono molto pochi e cominciai a conoscerlo meglio attraverso
i suoi scritti. Credo che per una persona sia importante sapere di essere frutto
di un vero amore, sapere che chi ti ha dato la vita ti ama e ti protegge. Se
mamma e papà si vogliono bene e ti vogliono bene tu, come figlio, sei felice.
Crede che gli ideali del “Che” siano ancora vivi o si siano ridotti a una
maglietta col suo viso stampato sopra e a qualche slogan ripetuto durante una
manifestazione?
Penso che papà sia un uomo che non muore mai. Il suo pensiero è ancora attuale,
è come un vecchio libro ben scritto che puoi rileggere continuamente e che sarà
sempre valido. Se si desidera conoscere “el Che” non lo si può fare solo
attraverso i suoi scritti. Si deve discutere con sé stessi e chiedersi se abbia
ragione o no. Se è stato logico o no. Si deve decidere da soli insieme a lui.
Enrico Berlinguer, grande segretario del PCI, parlava di una terza via al
comunismo:
l’Eurocomunismo,
da raggiungere attraverso le riforme e con i modi tipicamente europei della
democrazia parlamentare. Crede che questo sia possibile?
Io non posso rispondere per gli europei. Non so se per voi sia possibile, per
noi è impensabile. Nel mondo dove vivo, chiamato terzo mondo, non si può parlare
di terza via. La vita ha dimostrato chiaramente che o sei capitalista e vivi
come tale, o sei un uomo che cerca una società differente: e l’unica che esiste,
per ora, è il socialismo. Sicuramente non è un sistema perfetto, però è
certamente migliore di una società che, instaurata da più di 200 anni, ha
impoverito più dell’80% della popolazione mondiale. Se il sistema crolla, com’è
successo in Europa, è a causa degli uomini che lo fanno crollare. Un sistema non
vive da solo, sono gli uomini che devono svilupparlo. Non posso dire quello che
è giusto e sbagliato, però posso dire che il mio popolo, il mio Paese,
attraverso una società socialista cambia il proprio modo di vivere. Questo non è
potuto accadere in nessun altro paese dell’America latina. L’unica via che
abbiamo per vivere meglio, per sentirci realmente uomini e donne, è la società
socialista. Terze vie? Altri possono provarle, per noi non esistono, almeno per
ora. La nostra unica possibilità è prendere il potere, essere padroni di ciò che
produciamo e dare al nostro popolo i benefici della nostra produzione: questo si
chiama socialismo.
L’embargo, “el bloqueo”, è un provvedimento contro il suo Paese ma anche contro
tutta l’America del Sud. Non a caso recentemente l’assemblea generale dell’Onu
lo ha nuovamente condannato mentre gli USA, paladini del libero mercato,
continuano ad attuarlo. Può commentare?
Gli Stati Uniti hanno tutto il diritto di non voler commerciare con noi, ma con
quale diritto impediscono ad altri di farlo? Da 45 anni il popolo cubano, con
l’unica colpa di essere una società differente, soffre per questo provvedimento
brutale; con la conseguenza che un Paese con scarse risorse minerarie e naturali
deve cercare alternative per sopravvivere, per sviluppare la propria economia.
L’Onu condanna “el bloqueo”, ma solo a parole. Non è stato fatto nulla per
sanzionare gli USA perché si sentano obbligati a ritirare il loro provvedimento.
Finché l’Unione Europea, che parla di libertà e democrazia, non si ribellerà
agli interessi economici del nord America non potrà impedire il blocco. Ma non
ha i valori e gli interessi per farlo. Per giustificarlo si accusa Cuba di non
rispettare i diritti umani. Ma di quali diritti si discute? Quando l’Unione
europea parla di democrazia penso sempre alla radice di questa parola. Viene dal
greco e vuol dire potere del popolo. Ma quale potere ha un popolo che dice di no
a una guerra e il suo governo invia lo stesso le truppe a combattere? Dove è,
allora, la Democrazia? Non esiste. Esiste solo un gruppo di partiti che si
litigano il potere. Attualmente, questa vecchia Europa sta perdendo velocemente
tutte le sue conquiste sociali guadagnate negli anni ’50. L’educazione, la
salute pubblica e i trasporti si vanno sempre più privatizzando. Come è
possibile che gli europei accettino tutto questo? Io noto tanta preoccupazione
per Cuba, ma non per il vostro futuro. Permettete guerre nel sud del continente:
dopo l’ex Jugoslavia l’Afghanistan, poi l’Iraq, dopo probabilmente l’Iran.
Vicino all’Europa cadono le bombe e cosa succede? Niente. Il popolo del
cosiddetto primo mondo non è diverso da quello del terzo, siamo uguali. Tutti si
preoccupano di quello che fa Cuba, ma perché, ad esempio, nessuno si preoccupa
del Regno Unito che manda truppe in Iraq, che ha basi militari a Cipro? Nessuno
condanna tutto questo. Perché preoccuparsi di quello che fa un popolo del terzo
mondo e non guardare a quello che fanno le grandi potenze economiche? Se una
parte del mondo vive meglio non è che l’altra scompaia. Se una scompare, l’altra
se ne va con lei. Le grandi multinazionali, a causa delle leggi sull’ambiente,
non possono produrre sul proprio territorio. Come risolvono il problema? Vanno
nel terzo mondo. Una multinazionale australiana non può coltivare eucalipto nel
suo paese perché secca e desertifica la terra. Allora va in Brasile, nel polmone
del nostro pianeta. Da anni lo permettiamo, e la foresta Amazzonica man mano sta
scomparendo. Ma su questo pianeta l’ossigeno serve a tutti per vivere, non
muoiono solo i poveri. Fino a dove arriva l’ignoranza di queste multinazionali
che si credono i padroni del mondo e che possono fare quello che vogliono grazie
al loro denaro, al loro potere economico? Io penso che dovremmo occuparci molto
più di questo.
La sua scelta di fare il medico è stata in qualche modo influenzata dagli studi
di medicina di suo padre?
Inizialmente è possibile. Mio padre è stato uno dei personaggi più importanti
della mia vita e, al tempo, era il padrone assoluto delle mie scelte. Ho deciso
di fare medicina perché volevo ricambiare il grande affetto e amore che ho
ricevuto dal mio popolo solo perché sono figlia di un uomo che hanno amato
tanto. Volevo essere una donna socialmente utile.
Il sistema sanitario cubano è uno dei migliori al mondo. Qual è l’impatto sulla
sanità causato dal “bloqueo” e quali sono le soluzioni alternative che avete
trovato?
“El bloqueo” non ci penalizza solo nelle tecniche, ma anche nelle medicine.
Sfortunatamente, per ogni nuovo medicinale che si sintetizza otto vengono
brevettati negli Stati Uniti, e a noi viene impedito di comprare qualsiasi
strumento, medicina o tecnologia che contenga almeno il 10% di componenti
provenienti dal nord America, Esistono organizzazioni di solidarietà, che
aiutano da sempre Cuba, fatti da uomini e donne d’Europa, d’Africa, d’Asia,
dell’America Latina e del nord America, che hanno trovato il modo di farci avere
tecnologie e medicine nuove e, soprattutto, fanno sì che ci arrivi la materia
prima per poter sviluppare il nostro settore farmaceutico. Grazie alla
solidarietà abbiamo risolto uno dei problemi maggiori. Il turismo, poi, ha
facilitato la possibilità di avere denaro per comprare, attraverso intermediari,
altre tecnologie. Abbiamo trovato delle imprese che commerciano con noi
rischiando una sanzione, una multa o il blocco dei loro prodotti nel mercato
nordamericano.
Come sta Fidél?
I medici cubani che lo stanno curando sono molto bravi, tutti lo amiamo e
facciamo sempre il meglio per la sua salute. Ha sofferto di una malattia grave e
il recupero è molto lento. Ma credo che se la sua volontà di ferro continuerà ad
accompagnarlo, vivrà per lo meno altri 20 anni. (Fidél Castro, nato a Biràn il
13 agosto 1962, è morto il 25 novembre 2016 a L’Avana).
Cosa c’è nel futuro di Cuba?
E’ un paese del terzo mondo minacciato dall’esercito USA. Il presidente Bush ha
dichiarato che porterà la democrazia a Cuba e, se non fosse per la gravità della
situazione, ci sarebbe anche del comico nelle sue parole. Il governo
nordamericano è guidato da un demente che ha preparato un fascicolo enorme di
documenti su ciò che vuole fare non appena a Cuba ci sarà la democrazia. Una
delle prime sarà vaccinare i nostri bambini fino ai 5 anni di età, quando qui si
vaccinano fino agli 11 anni.
Che poi dal nord America vengono a curarsi a Cuba perché, nonostante tutto, è
uno dei paesi con la sanità migliore
Noi non possiamo produrre i vaccini per i 45 milioni di persone che non hanno
sicurezze mediche negli USA, però se lo ritengono necessario possiamo aiutarli a
risolvere il problema. L’ignoranza e la prepotenza del governo Bush non
concepisce che noi possiamo avere e produrre le stesse cose che hanno loro.
Forse stiamo anche meglio, nonostante il blocco. Un esempio per tutti è che la
nostra mortalità infantile è inferiore alla loro, la nostra sicurezza è migliore
della loro.
Crede veramente che Cuba sia terzo mondo?
Io non credo che esista un primo e un terzo mondo. Però ho sempre vissuto
secondo questa idea. Siamo parte di questo terzo mondo, siamo uniti dal punto di
vista economico e storico. Spero che un giorno lo saremo anche da un punto di
vista politico.
Se suo padre fosse ancora vivo, cosa penserebbe dell’attuale situazione
mondiale?
Non ha vissuto questa realtà, per cui non so cosa esattamente direbbe. E’ triste
pensare che quello che scrisse nel ’67 in “Uno, due, molti Viet Nam” accada
ancora oggi. Al posto del Viet Nam possiamo dire Iraq, Iran. Il comportamento
USA è sempre lo stesso. La guerra altro non è che un modo con cui gli Stati
Uniti minacciano chi osa opporsi a loro. Chiunque può diventare loro nemico, che
abbia o no armi di distruzione di massa, che abbia o no difficoltà interne. Si
sentono i padroni del mondo quando l’Europa ha un esercito più armato, più
potente, con più possibilità di movimento di chiunque altro al mondo. Oggi
stanno ricevendo lo stesso trattamento della guerra in Viet Nam: una sconfitta
vergognosa. Tutti i grandi imperi del mondo, anche quello romano, sono crollati
quando hanno tentato di espandersi troppo. Questo è l’inizio del crollo degli
Stati Uniti.
Qual è la finalità del suo viaggio in Italia?
Sono stata invitata dall’Associazione di amicizia Italia-Cuba per tenere delle
conferenze sul mio Paese. Da questa parte del mondo avete il grosso problema di
una stampa completamente assoggettata al potere. E’ molto difficile parlare al
pubblico di argomenti che vengono ignorati dai giornali. Io non voglio
convincere nessuno, spero solo che vedendo la mia preoccupazione la gente
rifletta. Come si può ragionare sulla situazione attuale se i giornali non
riportano tutto quello che accade?