La misoginia

 fra miti e religione

 

di Elisabetta Strani

 

L’otto marzo è appena passato e con esso le solite sterile polemiche.

Innanzitutto ricordiamo che l’otto marzo è impropriamente definito la festa della donna, perché in realtà si tratta della giornata internazionale dei diritti delle donne. Una giornata nella quale parlare delle differenze salariali, delle maggiori difficoltà per una donna ad accedere a un posto di lavoro e a una posizione dirigenziale, le numerose e crescenti violenze domestiche e i femminicidi, e di tutti quei comportamenti odiosi quali il cat calling (urlare frasi oscene a una donna per la strada), lo stealthing (il togliere, senza avvisare e senza consenso, le dovute protezioni durante un rapporto sessuale), il mom shaming (criticare una donna nel suo ruolo di madre definendola sempre inadeguata), il body shaming (prendere di mira una donna sulla base del suo peso e dei suoi eventuali difetti fisici), il mansplaining (un atteggiamento arrogante per cui un uomo, senza sapere che davanti a sé potrebbe avere un premio Nobel, spiega a una donna qualsiasi argomento ritenendola meno informata).

Questi comportamenti prettamente misogini, comunque, si perdono nella notte dei tempi. Uno dei più antichi, purtroppo poco noto, è quello di Lilith, la vera prima donna, colei che arrivò prima di Eva.

Lilith e il Doctor Faust

Simbolo, probabilmente, del passaggio da una società matriarcale a una patriarcale, la tradizione ebraica indica in questa figura la prima donna creata a immagine e somiglianza di Dio, pari ad Adamo nell’Eden. E pare che proprio questa parità non fosse gradita al primo uomo, che cercava di sottomettere la compagna in ogni momento. Compagna che, però, non accettava di essere seconda a nessuno e, quindi, un bel giorno decise di abbandonare il Paradiso Terrestre. Inseguita da una schiera di angeli, comandati da Adamo, Lilith, o Layla, rifiutò sempre di tornare indietro. A quel punto Adamo chiese a Dio una nuova compagna, “questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa”, e la campagna denigratoria nei confronti di Lilith ebbe inizio.

Rappresentata come un mezzo demone, complici quegli inconfondibili capelli rossi da strega e una bellezza travolgente, troviamo questa figura anche in religioni più antiche, come quelle mesopotamiche. A lei era legato il vento, che porta tempesta, disgrazia, malattia e morte. Qualcuno poi disse che il serpente che tentò Eva altro non era che Lilith che cercò di farle acquisire consapevolezza. Così, se prima si pensava che l’origine di ogni sofferenza fosse la voglia di frutta di una donna, adesso la colpa possono spartirsela in due.

Non a caso Lilith fu riscoperta nell’ottocento, dalle suffragette, che la elessero simbolo dell’emancipazione, della consapevolezza, dell’eguaglianza e della parità.

Un po’ più sfortunata, invece, fu Susanna, salvata proprio all’ultimo dalla lapidazione.

Susanna

Racconta il profeta Daniele, infatti, che questa donna molto bella fu adocchiata da due anziani giudici che la inondarono di proposte oscene, minacciando un’accusa di adulterio se avesse rifiutato di concedersi. La donna si rifiutò, fu quindi calunniata, portata in tribunale e giudicata colpevole. Ma proprio quando doveva essere lapidata intervenne Daniele, che accusò il tribunale di non aver indagato la verità. Lui stesso interrogò gli accusatori, scoprendo come veramente stavano le cose e restituendo l’onore alla donna.

In tutto questo mi chiedo quale posizione avesse assunto il marito, anche se è facile immaginarselo con in mano la prima pietra da scagliare contro la malcapitata.

Altro mito, molto antico, ma più noto vista la fiorente filmografia e produzione teatrale a esso legato, è quello di Pigmalione e Galatea.

Pigmalione era uno scultore che scolpì una statua della dea Afrodite talmente perfetta da innamorarsene. Durante delle festività dedicate proprio ad Afrodite, Pigmalione chiese alla dea di dare vita alla statua. E infatti questa iniziò a respirare e prese vita. I due si sposarono ed ebbero una figlia, che diede il nome alla città di Cipro.

Pigmalione e Galatea

Dal XVIII secolo la statua è conosciuta come Galatea, nome di una ninfa marina, anche se alcuni autori, come Goethe, la chiamano Elisa.

Comunemente con Pigmalione si intende chi assume un ruolo di maestro, plasmando la personalità e migliorando i modi di una persona più rozza e incolta, grezza come doveva essere grezzo l'avorio che Pigmalione levigò e scolpì fino a creare quella che per lui era la donna perfetta.

Insomma, era una dea e si ritrovò a incarnare la perfezione di qualcuno che non fosse il suo volere e la sua autodeterminazione. Per fortuna quando l’irlandese George Bernard Shaw, nel 1913, decise di rendere noto questo mito prese una posizione estremamente distante dal comune pensare dell’epoca, con la protagonista che sceglie la povertà piuttosto che fare la bambola in casa di un ricco misogino.

E oggi? E oggi parliamo di disparità, diseguaglianza, femminicidio, violenze domestiche, mansplaining, cat calling, stealthing, mom e body shaming…

Il Galileo