80 anni fa l’armistizio
nei ricordi di un bambino
di Giuseppe Prunai
8 settembre 1943: sono passati 80 anni ed io, che all’epoca di anni ne avevo
solo 7, ho scolpiti nella mente, in modo indelebile, gli avvenimenti di quei
giorni lontani. Nella nostra immensa casa di Siena eravamo soli: io, mamma e la
nonna paterna, paralizzata e ridotta in una sedia a rotelle. Mio padre era stato
richiamato, come si diceva allora. Ufficiale di marina di complemento, era stato
destinato alla base di Tolone, nella Francia occupata.
Il nostro contatto con il mondo esterno era soprattutto la radio. Allora le
stazioni dell’EIAR erano autonome. Si collegavano in rete solo per trasmettere
il Giornale radio e programmi di un certo interesse, Noi ascoltavamo soprattutto
Roma 1 e Milano 1, in onda media. La modulazione di frequenza era di là da
venire. Era impossibile ascoltare la più vicina Radio Firenze, continuamente
disturbata da una stazione estera molto potente. Credo che fosse Radio Tokio.
Fu dall’apparecchio radio, una vecchia Magnadyne 5 valvole è più l’occhio
magico, cioè l’indicatore elettronico di sintonia, più o meno sempre accesa, che
il 10 luglio di quell’anno apprendemmo dello sbarco degli alleati in Sicilia. Se
non ricordo male era una domenica ed io aspettavo che terminasse il notiziario
perché poco dopo c’era un programma per ragazzi, curato dal giornalista Giovanni
Ansaldo, il cui protagonista era il “balilla Paolo”, un ragazzo che dimenticava
sempre tutto e che, ad ogni domanda, rispondeva: “Un momento, ce l’ho sulla
punta della lingua…” ma non andava oltre. Il programma non andò in onda e fu
sostituito da brani di musica classica, probabilmente Respighi, un musicista
adorato dal regime.
Non capii molto di ciò che stava accadendo ma ricordo lo sgomento di mia madre:
secondo i bollettini di guerra, gli italiani vincevano su tutti i fronti:
invece…
I successivi GR furono avari di notizie ma tutti affermavano che era in
preparazione una controffensiva. Invece, ci fu una precipitosa ritirata. Solo i
più ostinati non capirono o non vollero capire che le sorti della guerra erano
ormai segnate e che la tanto agognata vittoria non sarebbe stata delle truppe
dell’Asse.
E
fu sempre dalla radio, che, la sera del 25 luglio di quel famoso 1943, alle
22,45, irruppe nella stanza la voce
di Giovanbattista Arista, Titta, ( (foto a sinistra) che una ventina d’anni più
tardi, sarebbe stato il mio redattore capo al Giornale Radio della RAI:
«Attenzione, attenzione: Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le
dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo ministro, Segretario di Stato
di Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini, ed ha nominato Capo del
Governo, Primo ministro, Segretario di Stato, sua Eccellenza il Cavaliere,
Maresciallo d'Italia, Pietro Badoglio”.
E ora? Si chiese mia madre. Ovviamente non aspettava una risposta da un bambino
di 7 anni che non aveva capito nulla di ciò che stava accadendo.
Il giorno dopo, come al solito, venne a prendermi la signorina Bascherini, una
vecchia amica di mia nonna, che, dietro un modesto compenso, mi portava tutte le
mattine ai giardini pubblici di Siena, denominati “La Lizza”. Ricordo, che
spesso eludevo la vigilanza della signorina, che noi ragazzi avevamo
ribattezzato la “signorina bischerini”.
Dalla Lizza si vedeva il piazzaletto laterale della Casa del Fascio dove
sostava un carro armato tedesco, uno dei due o tre Tigre. aggregati alla caserma
dei carristi di Siena per addestramento dei militari italiani. Mentre la sede
del partito fascista veniva saccheggiata dalla popolazione, dalla torretta dal
carro spuntava un soldato tedesco che non sapeva che pesci pigliare. Fu allora
che sentimmo un rumore sordo: un enorme busto di Mussolini incastonato fra due
fasci littori, posto sulla facciata della casa del fascio, era precipitato a
terra. Poi sentimmo dei clamori, era un corteo di cittadini che inneggiavano
alla fine del regime,. Per la prima volta sentii cantare un inno, che alcuni
anni più tardi seppi che era
l’Internazionale. A quel punto, la Bascherini, un po’ preoccupata dagli
avvenimenti, pensò bene di riportarmi a casa.
La nomina di Badoglio e l'armistizio commentati da La Stampa delle ediziioni del 26 luglio e del 9 settembre 1943 forniteci dal collega Aldo Zana
L’incertezza regnava sovrana, i prezzi salivano, la guerra continuava, la
corrispondenza di mio padre dalla Francia arrivava regolarmente anche se non
faceva mai alcun accenno alla nuova situazione politica perché sapeva benissimo
che frasi del genere sarebbero state censurate.
Finì luglio, trascorse agosto, cominciò settembre, E fu
sempre alla radio che la sera del giorno 8, alle 19.42 sentimmo il trillo
dell’uccellino di cui i tecnici dell’EIAR si servivano per mettere le stazioni
in rete.
Un annunciatore avvertì che il capo del governo, Pietro Badoglio, avrebbe fatto
un’importante comunicazione.
Questa: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la
impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di
risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un
armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate
anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve
cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
La guerra è finita, urlarono tutti perché in molti avevano sottovalutato la
reazione tedesca. Ricordo che il giorno 9 ci furono i soliti cortei che
costrinsero la signorina Bascherini a riportarmi a casa. Io
piangevo perché il mio pallone era finito sulla lancia dell’unico
cancello di ferro che non era stato donato alla Patria e si era rovinato
irreparabilmente.
Quel settembre si concluse con un significativo avvenimento: tra il giorno 27 e
il 30, Napoli insorse cacciando i tedeschi. La notizia non fu trasmessa dalla
radio e l’apprendemmo
grazie
al passa parola. Frattanto, il re Vittorio Emanuele III (foto a sinistra),
Badoglio, i ministri, i capi militari fuggirono al sud lasciando via libera
all’invasione tedesca contrastata soltanto da un gruppi di militari che
cercarono di opporsi a Roma con la battaglia di Porta San Paolo. Ovviamente non
riuscirono nell’intento. Comunque,
era nata la Resistenza.
Nei miei ricordi, ve n’è un altro, abbastanza triste, Le forze armate italiane
furono lasciate allo sbando. I nostri militari furono catturati dai tedeschi e
rinchiusi in campi di concentramento. Non fu riconosciuta loro la qualifica di
prigionieri di guerra, ma furono classificati come IMI, internati militari
italiani. Si stima fossero poco più di 600.000 e trovo vergognoso che il nostro
ministero della difesa non abbia mai fatto un censimento, non abbia mai fornito
numeri precisi. A loro fu offerto di aderire alla Repubblica sociale italiana,
il governo fantoccio di Mussolini, in subordine alle SS. La maggioranza
rispose a pernacchie. Aderirono meno di 50mila. Fra gli IMI, c’era mio padre.
Catturato l’8 settembre 1943, tornò a casa a metà settembre del 1945. Il giorno
della liberazione, pesava poco più di 33 chili.