Anna Maria Bondi; “Come pioggia per le lumache”, Edizioni Europa
Recensione di Silvia Talli
Ritrovare il senso profondo della propria esistenza in un piccolo borgo
rassegnato e ripiegato su sé stesso. Ė
quello
che accade a Leda, la protagonista di “Come la pioggia per le lumache”, romanzo
di esordio di Anna Maria Bondi; ma non solo a lei
Il suo è un ritorno al passato, alle proprie radici. Una ferita profonda che ha
incrinato apparenti certezze, l’ha condotta da una metropoli come Roma, dove si
è costruita una brillante carriera da manager, fino al paese in cui era solita
trascorrere le estati nel periodo dell’infanzia.
L’edificio ereditato dalla nonna Ada è solo la causa occasionale che la riporta
in quel borgo seduto sulle colline toscane; è da lì che decide di ripartire per
ritrovare sé stessa. Non poteva esserci altro luogo che quello: Pieveradice.
Del resto si sa, le ferite che scorticano l’anima fanno immediatamente volgere
lo sguardo indietro alla ricerca di quegli appigli sicuri ai quali ci si è
agganciati per affrontare le prime salite. Ė un meccanismo istintivo ma
necessariamente provvisorio. Senonché, proprio nel piccolo agglomerato di case
sempre più vuote e silenziose, il percorso di Leda si intreccia con quello di
altre esistenze pervase da una insidiosa inquietudine e desiderose, come lei, di
dare un nuovo corso alla propria vita sbloccando sogni e desideri sotterrati da
qualche parte sotto una coltre di rimpianti, relazioni bloccanti e gabbie
inconsciamente costruite.
C’è chi come Leda è ritornato, spinto violentemente da un vuoto improvviso e
lacerante; mentre altri, i più, da Pieveradice non se ne sono mai andati se non,
a tratti, con l’immaginazione finendo per respirare l’aria soporifera e sempre
meno refrigerante di un paese che si stava spopolando; dove case, botteghe e
persino l’ufficio postale vengono chiusi come candele luminose spente una ad una
con la velocità di un soffio.
In ognuno risiede un senso di attesa inespressa e la necessità di ripartire
cambiando le coordinate della propria esistenza.
Per questo “Come la pioggia per le lumache” è in buona sostanza un romanzo
corale dove l’elemento della coralità è destinato a farsi sostanza, a diventare
per così dire tangibile e soprattutto ad acquisire una dimensione operativa.
Se per un verso la narrazione prende le mosse dalla vicenda personale di Leda
per l’altro, vera protagonista dell’opera è la stessa comunità di Pieveradice
che, improvvisamente si ritrova unita da un inaspettato spirito di aggregazione
e da una ritrovata fiducia nelle risorse che la propria realtà territoriale può
ancora offrire.
Questo approccio si rivelerà vincente non solo per la sopravvivenza del borgo ma
anche per la vita dei suoi stessi abitanti.
Leda, anziché fare della casa ereditata dalla nonna, una sorta di rifugio
solitario e tranquillizzante, destinato esclusivamente ad un uso personale,
mette a disposizione del borgo l’intero edificio, (comprensivo di una vecchia
bottega oramai dismessa) allo scopo di far partire un progetto destinato a dare
nuova linfa al territorio e opportunità occupazionali fino ad allora insperate.
Il sasso dal lei lanciato sarebbe forse caduto nel vuoto se a raccoglierlo non
ci fosse stato un sindaco energico ed entusiasta, guidato da un grande
attaccamento alla propria comunità il quale non si era mai rassegnato al
progressivo spegnersi del paese.
Quella del sindaco Viti è una figura centrale nella narrazione e ha una portata
destinata a trascendere le pagine del romanzo superando anche i confini della
piccola realtà territoriale che vi è rappresentata; se non altro per le
riflessioni che suscita in ordine all’approccio adottato nell’amministrare la
cosa pubblica nonché intorno ad un modo di “fare politica” (nel senso ampio del
termine) che si è un po' perduto, a prescindere dal contesto più o meno ampio a
cui questa attività è rivolta.
Egli ricopre la carica di “primo cittadino” da molti anni ma si comprende da
subito che la lunghezza del suo mandato non ha niente a che vedere con
un’ostinata ambizione personale quanto piuttosto con l’abnegazione e la capacità
di interpretare il proprio ruolo come autentico servizio alla comunità; e la
semplicità popolare che si guarda bene dal rinnegare, in alcun modo ne intacca
lo spessore.
Grazie alla capacità di calarsi nelle viscere della sua comunità senza filtri
precostituiti ma con la sola forza dell’empatia, riuscendo in tal modo a
percepirne gli umori, il sindaco intreccerà, come un abile tessitore, i fili
delle singole esistenze per creare una trama sociale rigenerata.
La sinergia fra lui e Leda aprirà la strada di un nuovo percorso di rinascita
del borgo e non solo di esso. Al raggiungimento di questo risultato
contribuiranno progressivamente gli abitanti di Pieveradaice, ognuno mettendo a
disposizione della comunità le proprie competenze e attitudini, semplici o
qualificate ma tutte allo stesso modo importanti; anche strutture inutilizzate e
case sfitte verranno riaperte e utilizzate per il progetto di riqualificazione
del territorio.
Si dispiega insomma un’azione corale che coinvolge persino una rampolla
trascinata via dalla mondanità milanese e soprattutto unisce giovani e anziani
superando di fatto quelle abusate e sterili catalogazioni generazionali
etichettate con sigle ad effetto che ben si adattano ai social media e alle
semplificazioni che li caratterizzano. Incasellamenti che, a pensarci bene,
sembrano voler sottolineare un conflitto piuttosto che promuovere una possibile
e fruttuosa complementarietà suscettibile di tradursi in risorsa comune.
Nelle pagine del romanzo passato e presente si sovrappongono in modo costante.
La narrazione è infatti intervallata dai racconti della nonna Ada la quale parla
in prima persona attraverso i ricordi che Leda ripercorre con la mente, quasi a
volerne trarre forza consolidando nello stesso tempo il senso delle proprie
radici.
Del resto il passato, anziché essere una zavorra costituisce un necessario
volano per proiettarsi in avanti partendo da basi più solide; così, anche quando
il presente viene bruscamente interrotto e in un soffio diventa ricordo, se ne
custodisce il valore prezioso “perché - sostiene Maria, una delle sarte che ha
contribuito al nuovo corso del proprio paese - i ricordi nuovi vengono e restano
se si fanno cose buone insieme”. Infatti, lo spirito di solidarietà e di
aggregazione è la componente fondamentale che ha permesso a Pieveradice di non
scomparire consentendo a buona parte dei suoi abitanti di ridisegnare anche il
proprio percorso esistenziale sotto la spinta di nuove consapevolezze
individuali.
“Il fine e il mezzo di tutto è la comunità” arriva a dire Franco, ritornato nel
paese natio per ricomporre il mosaico della sua vita.
Dimensione solidaristica, dunque, ma anche senso di appartenenza alla comunità,
valorizzazione delle tradizioni e capacità mettersi in gioco per affrontare
sfide future.
Tutto questo non è assolutamente qualcosa di astratto ed il romanzo di Anna
Maria Bondi lo dimostra aprendo una finestra su una nuova forma di economia
partecipata che si è diffusa negli ultimi anni: le cooperative di comunità,
attraverso le quali gli abitanti di una determinata realtà locale, con un
approccio mutualistico e solidale, assumono un ruolo attivo nella elaborazione
ed esecuzione di progetti diretti al soddisfacimento di esigenze funzionali allo
sviluppo del territorio scongiurando, in molti casi, l’abbandono dei borghi;
basti pensare alla realizzazione di spazi di aggregazione e di accoglienza
diffusa. Si tratta di un innovativo modello sociale che a sua volta implica una
evoluzione nel modo in cui il cittadino si rapporta con la cosa pubblica: non
solo fruitore e mero delegante ma anche parte attiva della propria comunità
rendendo in tal modo effettivo il principio solidaristico sancito dalla nostra
Costituzione. Il richiamo al valore di una rinnovata coscienza civile che
diventa partecipazione concreta, si esplica, oltre che sul piano del rapporto
con l’apparato istituzionale nei suoi vari livelli, anche su quello dei rapporti
fra consociati sollecitando verso un modello di società che non perda di vista
la solidarietà quale risorsa preziosa per l’evoluzione di un’intera comunità.
Ė, questa, la proposta che emerge da “Come la pioggia per le lumache” dove non a
caso la dimensione individuale e quella collettiva transitano su binari
paralleli destinati ad incontrarsi piuttosto che a divergere imboccando ciascuno
una direzione diversa.