Emergenza climatica e coronavirus:

due diverse percezioni del rischio

 

di Bartolomeo Buscema

 

La diffusione dell’epidemia che tutti noi stiamo vivendo, battezzata con la sigla Covid-19, non è assolutamente da sottovalutare sia sotto l’aspetto eminentemente medico sia per quanto concerne i prevedibili e preoccupanti sviluppi a livello economico e sociale. Le recenti, drastiche misure di profilassi adottate per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid 19, hanno ingenerato nella popolazione timori e comportamenti irresponsabili, legati a una percezione soggettiva del rischio legato  anche a una comunicazione istituzionale e giornalistica inefficace perché troppo disarticolata. Senza entrare nel merito dell’importanza di conoscere e analizzare le dinamiche con cui avviene la costruzione sociale del rischio, ci preme sottolineare che per comunicare efficacemente non basta utilizzare dati oggettivi o un approccio razionale, perché la percezione dei rischi è un fenomeno molto complesso che prende forma in base al vissuto e alle credenze delle persone. Aggiungiamo che nella gestione del rischio prevedere quel che potrebbe accadere è l'unico modo per anticipare gli eventi e non subirne le conseguenze facendosi trovare impreparati. Non dimenticando che la realtà è sempre in agguato con qualche brutta sorpresa. E’ proprio quello che ,mentre scriviamo, il governo si è premurato di fare estendendo a tutta la Nazione le drastiche misure di contenimento del contagio attuate in alcune aree del Settentrione. Ci chiediamo perché tali misure di sana coercizione e limitazione, magari meno restrittive, non vengono adottate  anche rispetto all’emergenza climatica che pure incombe gravida di conseguenze disastrose per l’intera umanità? Evidentemente nella percezione del rischio giocano alcuni fattori collegabili al tempo e allo spazio. Il Covid-19 contagia rapidamente e facilmente, mentre gli effetti nefasti del cambiamento del clima, che si manifestano su scala planetaria, sono percepiti lontano da noi nel tempo e nello spazio. Anche se gli impatti più devastanti accadranno sul medio e lungo periodo se non agiamo con forza e prontezza, tutti noi già oggi stiamo sperimentando gli effetti  negativi delle emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra.

Distribuzione della temperatura sulla superficie terrestre. In rosso le aree a temperatura più elevata, in blu le aree a temperatura meno elevata

Purtroppo a livello globale, come palesato dall’ultimo summit di Madrid del dicembre scorso, i governanti delle varie nazioni stanno facendo poco probabilmente a causa dei molti interessi e condizionamenti dei signori del petrolio e del gas naturale. Non a caso già nel 2015 Papa Francesco scriveva: “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente» (Laudato  Sì,  Lettera enciclica). Un asserto che è anche un monito per chi ha la responsabilità  politica del futuro dell’umanità che, già oggi, vede che l’anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto valori preoccupanti a tal punto che il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1880 e che gli ultimi cinque anni sono stati i più torridi in assoluto degli ultimi 140 anni, da quando cominciano le serie di dati registrate. Su scala europea, il mese di gennaio 2020 è stato il  mese di gennaio più caldo mai registrato.  In Russia, decine di città hanno vissuto il gennaio più caldo da quando esistono le misurazioni, secondo il Centro idrometeorologico russo. In Norvegia è stato battuto il record storico per la temperatura di gennaio più alta mai registrata (19 gradi centigradi). E potremmo andare ancora avanti con un lungo elenco. Sta di fatto che negli ultimi vent’anni, secondo il Climate Index Risk, più di 12.000 fenomeni meteorologici estremi hanno causato 500mila vittime nel mondo. Secondo l’Oms tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica provocherà 250mila morti ogni anno, se non saranno prese drastiche misure di contenimento. Sono dati impressionanti che molti di noi non conoscono e che alcuni lieto-pensanti dell’informazione italiana minimizzano o addirittura negano. Ma emergenza climatica significa anche l’acidificazione degli Oceani che mettono a rischio la vita del fitoplancton che sono alla base della catena alimentare della fauna ittica e che attraverso la fotosintesi assorbono notevoli quantità di anidride carbonica presente nell’aria. Ricordiamo che l’aumento dell'acidità è  legato a un maggiore assorbimento della CO2 atmosferica e che l’ecosistema degli oceani finora ha assorbito il 30% dei gas serra e che ora è giunto quasi alla saturazione. Un recente studio ,pubblicato su Earth and Planetary Science Letters, ci avverte che se continuiamo a emettere in atmosfera enormi quantità di anidride carbonica , gli oceani potrebbero velocemente ritornare acidi com’erano quattordici milioni di anni fa, uccidendo la vita marina così come la conosciamo. Che dire poi dell’aumento delle aree desertificate legate al suolo che si degrada a causa principalmente di prolungati periodi di siccità, di un incontrollato sfruttamento dell'humus per fini agricoli, della deforestazione selvaggia. I risultati di uno studio decennale sui gas serra nel bacino amazzonico mostrano che circa il 20 per cento della superficie totale della foresta è diventata una fonte netta di anidride carbonica emessa in atmosfera. E poi c’è ancora lo scioglimento dei ghiacciai che, oltre all’innalzamento del livello del mare (da un recente confronto di numerosi modelli elaborati con super computer installati in tutto il mondo, emerge che entro la fine di questo secolo il livello  del mare potrebbe aumentare fino a tre volte rispetto al secolo scorso, cioè da 19 a 58 centimetri),sta liberando in atmosfera circa un terzo del carbonio presente sul nostro  Pianeta ,intrappolato nel permafrost del Mar Glaciale Artico sotto forma di metano e CO2. Si tratta di circa 1600 miliardi di tonnellate di carbonio disseminati su un’area di circa 23 milioni di chilometri quadrati. Un altro aspetto critico concerne il tema delle epidemie virali. Nel 2019 ,un gruppo  di ricerca composto di scienziati cinesi e statunitensi ha esaminato due campioni di ghiaccio di 15.000 anni fa prelevati dall'Altopiano tibetano, rilevando 33 virus, molti dei quali sono risultati sconosciuti. Insomma un quadro  negativo che fa emergere la non procrastinabilità delle azioni necessarie per contrastare l’attuale emergenza climatica e di inquinamento delle nostre città. Registriamo, inoltre, che in Italia i decessi prematuri annui ,attribuibili all’esposizione a particolato sottile, ozono e biossido di azoto , sono 84.000 , secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Paradossalmente ci voleva l’epidemia causata dal corona virus per far diminuire del 25% le emissioni cinesi di anidride carbonica (a oggi circa 100 milioni di tonnellate) pari a un taglio del 6% a livello mondiale. Un decremento che ha anche migliorato la qualità dell’aria nelle aree bloccate con effetti positivi sulla salute. Ricordiamo che in Cina si stimano quasi un milione di morti l’anno per inquinamento atmosferico, cioè 2.740 il giorno. Ma non è questa la strada giusta. Non deve essere il virus di turno a ridurre il preoccupante riscaldamento del nostro pianeta blu. Spetta a tutti noi rallentare e limitare l’aumento della temperatura media globale se veramente vogliamo ridurre i tanti rischi che bussano alla nostra porta e dei nostri figli.

Il Galileo