Amore per una città

sul filo della memoria

Una riflessione di Roberto Barzanti, intellettuale e politico, sindaco di Siena ai tempi del Pci, all’uscita del libro  “Un punto di approdo”, dello scrittore americano Hisham Matar, innamorato della città del Palio, ed uno struggente, nostalgico ricordo di Siena dell’autore di questo articolo che vi soggiornò e vi lavorò in gioventù

 

di Mario Talli

 

 

    E' tempo di coronavirus e agli anziani è stato raccomandato di non uscire di casa, in quanto più esposti a contrarre il morbo arrivato dalla Cina dopo, a quanto pare,  una tappa intermedia in Germania. La permanenza forzata tra le mura domestiche è piuttosto fastidiosa per tutti, ma in particolare per coloro che, come me, non hanno mai voluto l'automobile per non rinunciare al piacere di camminare.

    In questi frangenti, per sottrarsi al tedio dell'inamobilità il rimedio da sempre più efficace è la lettura: non solo quella abitudinaria dei giornali, ma dei libri, magari andando a cercarli tra quelli della nostra biblioteca personale che avevamo letto tanto tempo fa. Se si è fortunati, può anche capitare di imbattersi in un libro di recente uscita in grado di risvegliare in noi sensazioni che pensavamo appartenessero ormai a un passato lontano.

    Qualcosa del genere è successa a Roberto Barzanti (foto a sinistra), intellettuale e politico di lunga e collaudata tradizione, sindaco di Siena ai tempi del Pci, poi assessore regionale e vicepresidente del Parlamento europeo. “D'accordo, un libro è un  libro” – ha scritto di recente in un articolo sul giornale a cui collabora – “Ma che sia apparso in una città semideserta per i timori suscitati dal coronavirus e si possa sfogliare come un'opera che la esalta quale desiderata meta di pacificante meditazione, è quasi un miracolo.”.

      La riflessione stupefatta di Barzanti gli è stata suscitata da un libro uscito in Italia in questi giorni da Einaudi: “Un punto di approdo”, di cui è autore Hisham Matar, Premio Pulitzer 2017, nato a New York da genitori libici, “stregato da un soggiorno di  una trentina di giorni nella città del Palio, al cospetto delle sue vie strette, ricurve e silenziose, circondate da palazzi maestosi e severi e a contatto diretto e ravvicinato con le opere di Duccio di Buoninsegna. Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti e simili.”

      Folgorato, diciannovenne, da due piccole tavole di Duccio di Buoninsegna esposte nella londinese National Gallery  - ci informa Barzanti – lo scrittore americano arriva a Siena venticinque anni dopo accompagnato dalla moglie. Il contatto diretto con la città lo emoziona a tal punto che diventa per lui fonte di riflessioni sul passato e il presente. “Una delle sue soste più avvincenti – nota  ancora  Barzanti – è l'indugio, non filologico, davanti agli Effetti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, in Palazzo Pubblico. La città promessa si squaterna dolcemente per mostrare una visione dominata dalla giustizia, opposta alla rovinosa alternativa di una città disastrata in preda ad una strabica e mostruosa tirannide. L'eco del passato si riversa sulle inquietudini del presente.”

Siena: la Torre del Mangia vista dal Cortile del Podestà

     Ovviamente ce n'era abbastanza per indurmi, con una memoria tuttora viva di una mia permanenza di due anni a Siena moltissimo tempo fa, a leggere il libro. Che come tutte le opere che valgono perché hanno qualcosa da trasmettere, ha risvegliato anche in me, nel profondo della mia mente e del mio animo, ricordi rimasti inalterati sotto la cenere del tempo.

    La prima cosa che mi è venuto spontaneo fare è rileggere un altro libro dove l'immagine di Siena è assai vivida. Il libro è “Il Palio delle contrade morte”,  di Fruttero e Lucentini. Come d'incanto la lettura del brano dove Valeria e il marito, i due protagonisti, assistono alla prova generale del palio di metà agosto dalle bifore di un palazzo gentilizio che domina la sottostante Piazza del Campo,  mi ha fatto rivivere sensazioni che credevo ormai sepolte per sempre, facendone risvegliare delle nuove. Il brano è il seguente: “...Mai, neppure quando è stata portata la prima volta a teatro  da bambina, ha provato un così magico senso di immersione e di oblio: Valeria non esiste più, il suo cuore ha preso il ritmo lento e solenne dei tamburi, il suo sangue scorre, si ferma, riprende a correre secondo le soste e le avanzate delle comparse, e nella sua testa vuota e azzurra come il cielo volano le bandiere di tutte le 17 contrade. Intanto laggiù, alla curva del Casato sono apparsi dei ferrei guerrieri con le celate abbassate, i cavalli luttuosamente coperti. Devono essere le Contrade Morte, di cui Valeria ha sentito parlare...”

Federigo Tozzi definì  queste immaginmi "una cascata di tetti"

       Ora che ci penso, anch'io, come Valeria, quando circa 70 anni fa soggiornai a lungo a Siena provai “un magico senso di immersione” come non ho mai provato, né prima né dopo, in nessun'altra città. Firenze, la città dove risiedo, non ha certamente nulla da invidiare a Siena per la bellezza e la suggestione delle sue architetture, delle sue strade, piazze e palazzi, per lo splendore e la ricchezza delle opere d'arte che custodisce. Un'infinità di volte mi sono soffermato ad ammirare lo splendore di ciò che mi stava intorno, eppure neanche quella che ormai posso considerare a buon diritto la mia città, anche se sono nato in un antico paese del suo territorio, mi ha mai trasmesso con pari intensità la suggestione e la magìa che provai tanti anni orsono fin dal primo impatto con Siena. Un motivo ci deve pur essere, anche se almeno per me non è semplice trovarlo. Di primo acchito mi è venuto da pensare alle pietre che coronano molti antichi palazzi e al lastricato delle sue vie strette e tortuose. Ma anche Firenze ha palazzi e strade con quelle caratteristiche, pur se ultimamente alcune vie  hanno subito l'affronto del bitume. Forse la spiegazione è più sottile, forse è una questione di luci e di ombre. Ricordo infatti una Siena (intenzionalmente?) poco illuminata e quando  mi capitava di percorrerla in ore notturne, un vago timore accompagnava la sensazione di precipitare dentro le ombre più minacciose del suo passato più remoto.  

La filata di una "comparsa" durante il corteo storico che precede il Palio

      Un'altro aspetto che all'epoca mi colpì come un paradosso fu la considerazione in cui una città a quel tempo a vocazione decisamente socialcomunista teneva i suoi cittadini altolocati, meglio se di origine aristocratica e nobiliare. La risposta che allora mi detti (lo ricordo tuttora come fosse ieri) è che fosse semplicemente  un aspetto dell'amore assoluto, non condizionabile,  che ogni senese, a prescindere dalle opinioni politiche, nutriva per la propria città e per il suo passato.

La sede di una delle 17 storiche contrade in cui è divisa la città di Siena. Qui siamo nel salone delle adunanze della sovrana contrada dell'Istrice

       D'altro canto un esempio probante di questo stato d'animo è offerto dall'amore sviscerato dei senesi per la contrada di appartenenza. Ricordo che di primo acchito   pensai che lo spirito contradaiolo fosse un fatto artificioso, alimentato più che altro per non fare impallidire la memoria di una tradizione che con il Palio aveva una ricaduta positiva sul turismo. Dovetti accorgermi presto che non era così. A differenza di quanto accade nella tifoseria calcistica,  nella passione per la propria contrada non c'è posto per rifiutare o addirittura odiare le altre. Tutte quante concorrono a mantenere pressoché intatta una tradizione la cui età si misura in alcuni secoli.

Il Galileo