Riflessioni su una repubblica

alle soglie della terza età

Ripartire dalla cultura: una ricetta valida tanto nel dopoguerra che nel dopo pandemia

 

 

di Magali Prunai

 

Era il maggio del 1946 e il Teatro alla Scala di Milano, simbolo della città, risorge dalle sue stesse ceneri come l’araba fenice.

Completamente distrutto da uno dei tanti bombardamenti che avevano dilaniato il capoluogo meneghino nel 1943, ci si era subito rimboccati le maniche perché tornasse il prima possibile a essere il fulcro della sua vita culturale.

Era il maggio del 1946, l’11 per la precisione, e Arturo Toscanini, (foto a sinistra) appena rientrato in Italia e accolto come un eroe, diresse il concerto inagurale. Se la prima de La Scala il 7 dicembre è, ancora oggi, un grande evento culturale e mondano, nel ’46 assunse simbolicamente l’immagine di un’Italia che ripartiva, un’Italia libera e indipendente che pian piano si ricostruiva.

Non a caso si decise di ricominciare dalla cultura, dall’emblema della cultura italiana nel mondo. Questo gesto aveva un solo significato: siamo stati grandi, lo saremo ancora e la nostra cultura, la nostra arte, che altro non sono che la nostra stessa identità, hanno un ruolo di primaria importanza. Solo da lì si poteva e doveva ripartire.

Il mese successivo si svolse il famoso Referendum “monarchia – repubblica” il cui esito è storia e lo scarto di circa 2 milioni di voti che ci trasformarono da una monarchia in una Repubblica democratica è un evento noto a ognuno di noi.

La scheda del referendum istituzionale

Sono passati 74 anni ormai e il senso di appartenenza di molti vacilla al punto che una notevole quantità d’italiani, se interrogati sul tema, sostengono che per loro il verso del nostro inno “siamo pronti alla morte, l’Italia chiamò” è assolutamente privo di valore. Molti dichiarano di non essere disponibili a donare nulla allo Stato e ai propri figli preferiscono insegnare che in caso di pericolo avere un passaporto valido è l’unica soluzione. Come svuotare completamente le lotte di chi ha dato la vita per creare l’Italia, tanto quella monarchica nell’800 che quella attuale con la guerra di liberazione. La convinzione più diffusa è quella di ricevere nulla in cambio del tanto che si dà al nostro Stato, senza renderci conto dei tanti diritti dei quali godiamo e che ci vengono garantiti e preservati ogni giorno.

Sicuramente si può fare meglio, ma, come disse Pertini foto in basso a destra), la più imperfetta delle democrazie è sicuramente migliore di una dittatura. Il miglioramento è sempre necessario e bisogna sempre perseguirlo, ma lamentarsi senza nessuna proposta costruttiva o senza mantenere un comportamento rigoroso è assolutamente inutile quanto deleterio. Insegnare a un giovane che è meglio scappare nel momento del bisogno anziché battersi per i propri diritti, le proprie libertà, la propria Nazione è un atteggiamento vile. Non possiamo ricordarci di essere tutti italiani e fieri del nostro paese solo durante una partita della nazionale di calcio.

È appena passato il 2 giugno 2020, lo abbiamo festeggiato nel pieno di quella che chiamiamo fase 2, alle porte della fase 3, quella della riapertura a tutti delle regioni. Lo abbiamo festeggiato senza parata militare, senza cortei autorizzati per pericolo di assembramento (e non assemblamento!). Lo abbiamo festeggiato distanziati, con le mascherine sul volto. Lo abbiamo festeggiato con la riapertura di un museo simbolo dell’Italia in tutta Europa e nel mondo, il museo egizio di Torino. Perché se 74 anni fa cominciavamo dalla cultura, quest’anno ripartiamo dal sapere.

Aspettiamo, a questo punto, un concerto straordinario o una prima de La Scala che sancisca definitivamente la conclusione di questo “annus horribilis”.

Il Galileo