Ha 732 anni

l’ospedale più antico del mondo

E’ lo “spedale” di Santa Maria Nuova, a Firenze, fondato nel 1288 da Monna Tessa, fantesca di Folco Portinari, il banchiere fiorentino che contribuì economicamente alla sua realizzazione

 

 Antica facciata dell'ospedale prima del completamento del loggiato (dipinto di Fabio Borbottoni, 1820-1902)

di Silvia Talli

Quest’anno ha compiuto 732 anni eppure non ha mai smesso di svolgere la sua attività; anzi, in un frangente così difficile per la storia dell’umanità è come gli altri in prima linea a combattere un nemico tanto invisibile quanto potente, capace di ribaltare, forse per la prima volta nello stesso momento, le esistenze degli abitanti dell’intero pianeta.

Santa Maria Nuova a Firenze è il più antico ospedale del mondo ancora operante.

Si trova proprio nel centro della città, racchiuso in un’area che sembra appositamente riservata, sotto ogni profilo, al miglioramento della vita delle persone: adiacente a Via della Pergola dove ha sede l’omonimo teatro e a due passi da Piazza Santa Maria Annunziata su cui si affaccia l’Istituto degli Innocenti; lo stesso fazzoletto di cielo è occupato dalla cupola del Brunelleschi.

 

La facciata ospedale con tenda della Croce Rossa

 

Va da sé che a differenza degli altri nosocomi posti nelle zone periferiche della città e destinati a divorare progressivamente il terreno circostante, l’ospedale Santa Maria Nuova si presenti nella sua veste ormai definitiva, raggiunta dopo secoli di interventi modificativi che si sono susseguiti a partire dal lontano 1288, anno in cui furono terminati i lavori per la sua costruzione.

L’ospedale si affaccia sull’omonima piazza, abbracciata su tre lati dall’ampio loggiato che Bernardo Buontalenti progettò intorno al 1575 e la cui realizzazione fu intrapresa nei primi anni del 1600 dal suo allievo Giulio Parigi per essere portata a termine, attraverso successivi ampliamenti, soltanto alla metà del secolo scorso.

La sua costruzione si deve all’impegno economico di Folco Portinari, padre della Beatrice amata da Dante e personaggio di rilievo sociale e politico nella Firenze dell’epoca il quale acquisì appositamente alcuni terreni limitrofi alle sue proprietà ma annessi alla chiesa di Sant’Egidio.

L’atto di fondazione, sancito da un documento solenne rogato alla presenza del vescovo di Firenze Andrea de’ Mozzi, si fa risalire al 23 giugno 1288. 

Lunette affrescate dal Pomarancio

 

Si ritiene che Portinari sia stato sollecitato ad intraprendere tale iniziativa benefica a favore della città di Firenze da Monna Tessa, fantesca della famiglia nonché nutrice delle figlie, in particolare proprio di Beatrice. Ciò non può stupire se si pensa che questa donna di umili origini e vedova di un sellaio era solita prendersi cura degli ammalati, poveri e soli della città; sembra addirittura che ottenne di poterli radunare in alcune case di proprietà della potente famiglia presso cui era a servizio. Del resto, non era sola nella sua opera di carità ma accompagnata da un gruppo di pie donne laiche appartenenti a ricche famiglie fiorentine; le stesse che, non appena fu costruito lo “spedale”, si dedicarono insieme a lei all’assistenza dei malati che vi erano ricoverati. Solo pochi anni più tardi Monna Tessa istituì l’ordine delle Oblate Ospedaliere ispirato alla regola di San Francesco d’Assisi.

La sua opera di convincimento presso “padron Folco” fu forse facilitata dalla credenza diffusa in quel tempo secondo cui chi come i banchieri (e lui lo era) traeva grandi guadagni dalla gestione di considerevoli somme di denaro, fosse dedito all’usura e per questo condannato alla dannazione dell’anima da cui poteva salvarsi soltanto “lavando” i propri peccati attraverso la destinazione di parti ingenti delle proprie sostanze in opere di carità. Sembra che non pochi seguirono questa strada.

Molto probabilmente nel ricco banchiere non dovette essere del tutto estraneo anche l’intento di accrescere e perpetuare nel tempo il prestigio sociale della propria famiglia. Sta di fatto che in un giorno di inizio estate del tredicesimo secolo vide la luce quello che avrebbe rappresentato il primo esempio di ospedale moderno.

Furono realizzate due aree di cura distinte: una femminile ed una maschile, originariamente poste in luoghi diversi e destinate col tempo a subire modifiche e spostamenti. La peste del 1348 impose un primo grande intervento di ampliamento dell’edificio. Santa Maria Nuova assunse fin da subito i caratteri di un vero e proprio ospedale nel senso moderno del termine essendo stato concepito non solo come luogo di assistenza e ospitalità caritatevole per bisognosi e pellegrini ma di vera e propria terapia per i malati e gli infermi da qualunque luogo provenissero.

Annunciazione - affresco attribuito allo Zuccari

Anche Martin Lutero si sarebbe avvalso delle cure dello “spedale” dove fu ricoverato nel 1511, di ritorno dal suo soggiorno a Roma; una lettera da lui scritta al termine della degenza non sembra tanto diversa dalla “recensione” che un paziente dei giorni nostri potrebbe fare sulla struttura ospedaliera che lo ha accolto e curato: “Ottimi cibi e bevande, servitori diligentissimi, medici dottissimi, letti e vestiti pulitissimi e letti dipinti”.

Tutto ciò sembra rimandare al concetto di presa in carico del paziente tipico dell’ospedale moderno ed in effetti Santa Maria Nuova diventò presto un modello di riferimento per altri nosocomi posti anche al di fuori della città di Firenze: innanzitutto l’ospedale Maggiore di Milano e quello di Pavia. Molti ne adottarono gli statuti e non solo in Italia. Infatti, perfino da Londra, da Parigi e dalla Germania si guardò a quello che oggi si definirebbe un ospedale all’avanguardia o comunque un “centro di eccellenza”. A renderlo tale era anche l’organizzazione interna caratterizzata dalla presenza di aree di degenza disposte a crociera, un elemento di novità per quei tempi. Senza contare che proprio nelle corsie di Santa Maria Nuova per la prima volta ogni paziente avrebbe avuto a disposizione un proprio letto; per questa ulteriore innovazione si sarebbe dovuto aspettare il diciassettesimo secolo quando si pervenne all’unificazione delle aree di degenza femminile e maschile all’interno dello stesso edificio. Nel secolo successivo l’ospedale avrebbe contato più di mille posti letto.

Una struttura così innovativa non poteva passare inosservata a chi, con il proprio intelletto, era destinato a precorrere i tempi: fu proprio nei sotterranei di questo ospedale che nei primi anni del 1500 Leonardo da Vinci effettuò numerose dissezioni di cadaveri per i suoi studi di anatomia; fra queste è documentata addirittura la dissezione del cadavere di un centenario. Non va neppure dimenticato che pochi anni prima, all’interno di Santa Maria Nuova, aveva svolto la sua attività Antonio Benivieni, considerato il padre della anatomia patologica. In effetti, a partire da quel periodo si sviluppò un importante scuola medico-chirurgica e nel corso dei secoli l’ospedale offrì altri pionieri della clinica moderna, italiana e non.

Una storia tanto lunga da percorrere ben sette secoli ha fatto sì che accanto a luogo di cura prendesse corpo un polo artistico e monumentale di assoluto rilievo e ciò ha sicuramente reso questo luogo un “unicum”.

Gli ingenti lasciti e le numerose donazioni di cui Santa Maria Nuova ha beneficiato fin dalla sua nascita, hanno infatti favorito il formarsi di un patrimonio ricco di opere d’arte che nel tempo ha dovuto inevitabilmente trovare altre collocazioni seppure nelle vicinanze della struttura ospedaliera: in particolare presso lo Spedale degli Innocenti e il Museo di San Marco. Importanti opere furono fra l’altro commissionate dagli “Spedalinghi”, rettori a cui a partire dall’epoca medicea era affidata l’amministrazione dell’ospedale.

Il frenetico via vai delle persone che sovente caratterizza l’accesso a luoghi di cura come questo, qui è come mitigato e reso più lieve dalle lunette seicentesche affrescate da Antonio Circignani detto il Pomarancio. Dedicate alle “Storie della vita di Cristo”, queste opere si trovano sotto il loggiato disegnato dal Buontalenti così come il grande affresco attribuito allo Zuccari e raffigurante l’Annunciazione.

Varcato l’ingresso dell’ospedale, compare la riproduzione della “Consacrazione della Chiesa di Sant’ Egidio”, affresco realizzato nel 1420 da Bicci di Lorenzo (l’originale si trova nella Sala del Consiglio, sempre all’interno della struttura), sovrastato da una terracotta di Dello Delli risalente agli stessi anni e raffigurante l’incoronazione della Vergine.

Una lunetta affrescata dal Pomarancio

Il loggiato e la facciata, così come l’ingresso dell’ospedale, costituiscono anche le prime tappe di un percorso museale inaugurato pochi anni fa e che conduce alla scoperta dell’importante patrimonio artistico presente nel complesso di Santa Maria Nuova. Si accede così a chiostri, sale e addirittura ad una chiesa, quella di Sant’Egidio, inglobata all’interno della stessa struttura fin dal 1305; nel contempo l’incontro con opere di Andrea del Castagno, di della Robbia, di Buontalenti, di Allori e dello stesso Pomarancio solo per citarne alcuni.

All’ingresso dell’ospedale si trova attualmente anche il bassorilievo marmoreo della pietra tombale di Monna Tessa. Il marmo restituisce la figura intera di una piccola donna anziana, appesantita dagli anni, il viso solcato dalle rughe, segno dell’età ma anche della fatica di una vita interamente dedicata agli altri: fedele domestica (usando un termine moderno) presso la ricca famiglia Portinari ma soprattutto al servizio degli ultimi prima ancora della fondazione dello “spedale”. A sancire formalmente la sua scelta di vita, il cordoncino del terz’ordine francescano ed il libro della Regola che tiene stretto a sé.

A Monna Tessa era stato dedicato un padiglione recentemente dismesso dell’ospedale di Careggi che la peste dei giorni nostri potrebbe far riaprire, almeno così si è ipotizzato. Il caso ha voluto che la figura di questa donna, povera fra i poveri, che ha improntato la propria vita all’assistenza dei sofferenti e dei bisognosi secondo lo spirito di San Francesco, si riaffacciasse in tutta la sua potenza proprio nel momento in cui un’onda malsana e virulenta iniziava ad attraversare il mondo da una estremità all’altra.

Il 6 marzo scorso, infatti, dopo che in passato erano giunti appelli per mantenere viva la sua memoria e l’opera da lei svolta, le è stata intitolata una strada adiacente al grande complesso ospedaliero situato nella parte nord della città.

Appena pochi giorni prima, davanti al loggiato dell’ospedale Santa Maria Nuova, sotto lo sguardo severo dei granduchi i cui busti di marmo bianco sporgono dal centro delle arcate, veniva montata in fretta e furia una tenda della Croce Rossa destinata ad accogliere, per un primo controllo, chi presentava i sintomi della nuova peste. Di li a poco di tende come questa ne sarebbero state montate velocemente ogni giorno, in ogni luogo.

Ė trascorso meno di un anno e la tenda è ancora davanti al loggiato e agli affreschi seicenteschi che lo decorano, testimoniando come nella storia dell’umanità passato e presente possano annullarsi a vicenda e il tempo diventare un concetto relativo perché ci sono eventi che trascendono le epoche e uniscono l’umanità in una sorte comune anche se affrontata con mezzi e conoscenze diverse; comune come è anche lo smarrimento.

Alla cerimonia per l’intitolazione della strada a Monna Tessa, oltre alle autorità cittadine, al Cardinale di Firenze e al Ministro dell’Ordine secolare francescano della Toscana, erano presenti le suore Oblate Ospedaliere che continuano l’opera assistenziale iniziata dalla loro “Madre” fondatrice in un giorno lontano nella storia. A concludere la cerimonia, culminata con la benedizione della lapide, il suono delle Chiarine di Palazzo Vecchio, omaggio solenne della città. 

Riconosciuta come la “madre spirituale di Santa Maria Nuova” è lei, Monna Tessa, una donna di umili origini, a servizio di una ricca famiglia di mercanti e banchieri, ma prima di tutto al servizio del bene, la vera fondatrice, sette secoli orsono, dell’ospedale più antico del mondo che è ancora in attività; ora più che mai.

Il Galileo