Il cinema italiano negli anni del fascio
Scomparso a Firenze
il critico cinematografico Claudio Carabba
autore di uno dei rari libri che parlano dei rapporti tra gerarchi e registi
cinematografici durante il ventennio
Un ricordo di Mario Talli
A metà novembre è morto a Firenze
il giornalista e critico cinematografico Claudio Carabba, la cui firma è
apparsa
per molti anni su alcuni quotidiani e riviste. Nel suo caso forse dire critico
cinematografico è poco: per lui il cinema era una passione che ha coltivato
durante tutta la vita, anche dopo essere andato in pensione, promuovendo la
nascita di circoli del cinema e con altre iniziative divulgative. Negli anni '90
fu selezionatore della mostra del cinema di Venezia, quando a dirigerla era il
regista Gillo Pontecorvo.
Ma egli è stato
presente anche nel campo dell'editoria e della pubblicistica. Claudio Carabba è
infatti autore di uno dei pochi libri sui rapporti del fascismo col cinema. Il
cinema nel ventennio nero è il titolo del saggio edito da Vallecchi in cui si
indaga sui rapporti che vi furono tra gerarchi e registi fin dai tempi del
cinema muto e poi dopo l'avvento del sonoro. Sempre restando in qualche modo
nell'ambito cinematografico è da segnalare anche una sua antologia di scritti
giovanili di Federico Fellini: Racconti umoristici. Marco Aurelio 1939-1942.
Einaudi. Ad un altro settore, sempre comunque nell'ambito dell'immagine,
appartiene un altro libro particolarmente interessante di Carabba il cui titolo
è Corrierino, Corrierona e per sottotitolo La politica illustrata del Corriere
della Sera, edito da Guaraldi. Si tratta, in questo caso, di un'acuta e
spassosissima analisi storica e sociologica sui due settimanali che hanno fatto
da corredo al giornalone di via Solferino per moltissimi anni, vale a dire La
Domenica del Corriere e Il Corriere dei Piccoli.
Con Claudio erano anni che non ci vedevamo. L'età e qualche problema di
salute non favorivano lo scambio personale. L'ultima volta l'avevo sentito al
telefono un annetto fa. Era giocoso e pronto alla battuta scherzosa, com'era
solito essere con i colleghi e gli amici.
Ad
un certo punto del rispettivo impegno nel giornalismo i nostri percorsi erano
combaciati. Era stato lui l'artefice dell'evento: ad un certo punto del suo
cammino professionale decise di lasciare il porto sicuro della Nazione dove era
ormai da parecchi anni e con mansioni tutt'altro che secondarie per
intraprendere con Paese Sera un percorso sicuramente più avventuroso e quindi
professionalmente stimolante ma
anche assai più incerto.
La
sua fu una scelta professionale e politica. Professionale perché se fino ad
allora si era occupato quasi esclusivamente di cinema e di spettacolo, ora
voleva percorrere tutti i territori della cronaca bianca e nera, con una
particolare attenzione per quella culturale. Naturalmente il cinema rimaneva
sempre il suo principale interesse, ma osservato da allora in poi secondo
un'ottica più ampia. Per quanto riguarda la politica, la sua non fu sicuramente
una scelta partitica, ma piuttosto di schieramento. La linea politica della
Nazione, che secondo i canoni di oggi potremmo sommariamente definire di centro
destra, gli stava ormai stretta; cercava pertanto nuove risposte alle
problematiche di un periodo storico inquieto e ricco di domande e aspettative
quali furono per la società italiana gli anni '70 e '80. E Paese Sera era
sicuramente un mezzo adatto per cercarle quelle risposte, beninteso senza alcuna
certezza di trovarle.
Fin dal suo
arrivo al giornale Claudio, oltre a continuare a seguire il cinema, volle
occuparsi di tutto. Prevalente continuava ad essere il suo interesse per gli
avvenimenti culturali, ma era attratto anche dalla cronaca spicciola. Poco dopo
il suo arrivo volle essere inviato, insieme ad un altro collega del giornale, a
San Gimignano nel cui carcere era esplosa una rivolta di detenuti, i quali ad un
certo punto presero in ostaggio una dozzina di persone: alcune guardie
carcerarie, un medico, un magistrato e cinque giornalisti. Tra i cinque c'era
anche lui, Claudio. Tutti i sequestrati qualche tempo dopo riuscirono a fuggire
durante una sparatoria nella quale un detenuto perse la vita.
Ho citato questo
episodio per dimostrare, appunto, la molteplicità degli interessi di Claudio
Carabba. In un
ritratto bello e commosso che di lui fu fatto all'indomani della sua morte nel
Corriere fiorentino, appendice locale del
Corriere della Sera,
prevalente e quasi esaustiva fu l'immagine del critico e appassionato di cinema.
Mi pareva giusto offrire di lui e della sua personalità
un profilo più esauriente e a tutto tondo.
Come dicevo
prima, a Paese Sera Claudio non si occupò solo di cinema e di spettacolo in
generale. In quello stesso periodo era arrivato a dirigere il giornale Arrigo
Benedetti, storico direttore di giornali e riviste nonché figura simbolica del
giornalismo italiano. Tra Benedetti, Claudio e me, che dirigevo la redazione
fiorentina, nacque fin da subito non solo una reciproca simpatia ma anche
qualcosa di simile ad una intesa sommessa. Benedetti venne diverse volte
a Firenze e tutte le volte che veniva voleva incontrarci tutti e due, magari a
tavola in un ristorante sul viale dei colli. Egli ci esternava i suoi progetti
relativi al giornale e non esitava, sebbene ne sapesse ben più di noi, a
chiedere il nostro parere.
Claudio aveva intrapreso il nuovo lavoro presso di noi con l'entusiasmo di un
neofita. Suoi interlocutori preferiti furono tutti coloro, politici,
amministratori, intellettuali, che a vario titolo si occupavano della cultura
cittadina. Tra costoro, uno con cui stabilì un rapporto particolarmente stretto
fu l'ex parlamentare europeo Roberto Barzanti, a quel tempo assessore regionale.
A favorire l'intesa fu la circostanza che entrambi erano senesi di nascita. Per
me fu l'occasione di scoprire non senza sorpresa un lato impensabile della
personalità di Claudio Carabba, la senesità, ossia l'orgoglio di rivendicare i
natali nella Citta del Palio.
Dopo
qualche tempo Claudio fu chiamato a Roma e qui si aprì per lui un altro
capitolo, piuttosto breve perché purtroppo di lì a non molto PAESE SERA imboccò
la strada a ritroso che lo avrebbe portato alla chiusura. Da quanto venni a
sapere anche nella Capitale egli si era perfettamente inserito e aveva stabilito
ottimi rapporti con i colleghi, a cominciare da Callisto Cosulich, storico
critico cinematografico del giornale.