Ad un secolo dalla scissione di Livorno

Cosa rimane

dopo la fine del PCI

 

 

di Mario Talli

 

Claudio Petruccioli, (foto a sinistra) ora ottantenne, una vita nel Pci e sue diramazioni. Membro della segreteria del partito e poi di quella del Pds, parlamentare di lungo corso, presidente  dal luglio 2005 a marzo 2009  del consiglio d'amministrazione della RAI. e presidente della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai dal 24 settembre 2001 al 14 settembre 2005. Ha affidato a un libro ponderoso, uscito di recente, dal titolo volutamente “oggettivizzante”,  RENDICONTO, i passaggi principali cui ha partecipato da protagonista che hanno caratterizzato il lungo e tortuoso cammino che ha portato alla fine del Pci e alla sua sofferta diluizione in altre formazioni politiche.  E' difficile, a mio modo di vedere, non essere d'accordo sul giudizio che Petruccioli dà del Pci e del ruolo che ha avuto nel contesto nazionale e internazionale, nonostante che a formularlo sia una persona parte in causa. Proprio per questo lo riportiamo ampiamente.

      “Il Pci – sostiene Petruccioli – è stato definito e vissuto come un 'Grande Partito' , e non solo dai suoi militanti e seguaci. Luogo di identificazione per milioni di persone, ha rappresentato parti di società oltre i confini della classe operaia; ha svolto un'essenziale funzione nazionale; è stato determinante nel costruire la coscienza nazionale e civile degli italiani. Ha raggiunto una grande capacità di raccolta elettorale; ha pesato in modo decisivo nei governi locali e regionali. Ma quel grande partito, con tutti i suoi meriti, ha impedito che la maggior parte della sinistra potesse governare. Per farlo bisognava liberarsi del vincolo con l'Urss, e aprirsi alla convergenza coi socialisti.”  

       Nel suo lungo e dettagliato resoconto Petruccioli elenca le occasioni perse dai comunisti italiani per divincolarsi dai legami con l'Unione Sovietica e dalle strettoie dei rigidi meccanismi ideologici. Egli le concentra in alcune date principali. La prima è il 1956, anno in cui si svolse il XX congresso del PCUS che sancì la destanilizzazione e decretò lo scioglimento del Cominform, il coordinamento internazionale tra tutti i partiti comunisti egemonizzato, ovviamente, dall'Unione Sovietica. In quello stesso anno ci fu la rivolta e l'invasione dell'Ungheria da parte delle truppe sovietiche e la rivolta operaia a Poznam in Polonia contro il regime filosovietico con la successiva repressione poliziesca che costò  un centinaio di morti e un migliaio di feriti.

       La seconda è il '68, anno caratterizzato non solo dalla contestazione giovanile e dalla guerra nel Vietnam. A gennaio di quello stesso anno sale al potere in Cecoslovacchia Alessandro Dubcek che segna l'inizio di quella che sarà chiamata la “Primavera di Praga”. Il processo di destalinizzazione in Cecoslovacchia era in corso dal 1960 ed anche lì vi fu un duro intervento sovietico.

         Infine l'89. E' in quell'anno, esattamente il 22 novembre, che il segretario del Pci  Achille Occhetto, (foto a sinistra) durante una manifestazione partigiana a Bologna, annuncia di voler trasformare il partito di cui è alla guida in una “nuova casa” e di mutargli anche il nome. La data non è casuale: tre giorni prima era caduto il muro di Berlino, il simbolo della divisione di gran parte dell'Europa in due blocchi, un blocco orientale, egemonizzato dall'Unione Sovietica e uno occidentale politicamente soggetto agli Stati Uniti.  

    Ma per almeno due o tre generazioni di persone, in particolare operai e contadini, ma anche appartenenti a vario titolo al ceto medio, la fine del Pci rappresentò qualcosa di più del tramonto di un partito politico. Il Pci per essi era un po' come un membro della famiglia, colui che da un bel po' di anni si era preso cura delle loro condizioni economiche e sociali e risvegliato la coscienza dei loro diritti come lavoratori e come persone. Achille Occhetto, che di questo era ben consapevole, quando ne preannunciò la fine era profondamente commosso e riuscì a stento a trattenere le lacrime. Cosa di cui non fu capace, invece, in sede congressuale, allorché di fronte ad un'assemblea di centinaia e centinaia di persone ufficializzò la decisione: da allora in poi  il Pci non si sarebbe più chiamato Pci, bensì Partito democratico della sinistra, Pds.

La svolta della Bolognina

    Forse non era stato detto in modo molto esplicito ma era chiaro che in quell'occasione non cambiava soltanto il nome del partito, ma in qualche modo anche  la linea politica, gli scopi e gli obiettivi. Tuttavia questo aspetto rimase piuttosto vago. Era chiaro d'altronde, per quanto a prima vista possa apparire sorprendente, che in quel caso era più facile cambiare il nome che la “ragione sociale” della ditta. Ed infatti a rigor di logica la cancellazione della precedente denominazione “Partito comunista” sembrava dovesse comportare quasi in modo automatico l'eliminazione dal programma politico di qualsiasi riferimento al comunismo.

          E invece per moltissimo tempo ancora e forse in qualcuno ancora oggi, l'originario riferimento storico-programmatico non è stato ancora accantonato, pur se nel corso degli anni la denominazione del partito si è ulteriormente diluita passando dal Pds all'attuale Pd ed anche il suo corpo non è più esattamente lo stesso, essendosi arricchito di nuove provenienze. Insomma, quell'origine, in modo più o meno esplicito, continua ancora a suscitare discussioni e polemiche. A questo proposito le parole di Petruccioli in conclusione della frase riportata all'inizio la dice abbastanza lunga. Tagliato il legame con Mosca, disconosciuto il comunismo  l'unica strada da percorrere per gli ex comunisti italiani è quella del socialismo. Ma anche qui le cose non sono così semplici come parrebbe a prima vista. Intanto perché, almeno in Italia, i socialisti non ci sono praticamente più come forza politica organizzata.   Esistono certamente, in Italia e all'estero (si direbbe soprattutto all'estero)  cervelli e cuori socialisti. Ma anche questa distinzione non è sempre facile, perché come si sa ci sono state e ci sono tuttora diversi modi di intendersi socialisti.

Massimo D'Alema con Fabio Mussi

        Concludendo, potremmo dire che le divisioni e gli scontri, talvolta piuttosto crudi, che in passato e qualche volta ancora oggi  hanno per protagonisti ex comunisti come, appunto, Petruccioli, Occhetto, D'Alema, Mussi ecc., hanno per oggetto proprio questo: che tipo di socialismo o, se si preferisce, di riformismo è meglio  perseguire per la società italiana.            

Il Galileo