GLI ESITI DELLA COP 26 DI GLASGOW

LO SCENARIO DI PARTENZA

 

 

Il logo della Cop26

di Bartolomeo Buscema

 

Il summit internazionale della Conferenza delle parti COP 26 di Glasgow nasce con  profondo legame con l'accordo di Parigi  che è stato  il primo accordo globale  e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici. In quel summit fu stabilito di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2ºC, esortando i Paesi firmatari a fare ogni sforzo necessario per limitare l’aumento di temperatura a 1, 5ºC. Due furono allora le parole d’ordine: mitigazione e adattamento climatici. Per quanto concerne la mitigazione i governi hanno concordarono di:

a) mantenere l'aumento medio della temperatura mondiale al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali

b) puntare a limitare l'aumento a 1,5°C, dato che ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici

Invece per quanto riguarda l’adattamento delle popolazioni a un clima globale sempre più caldo le nazioni partecipanti hanno concordato di:

a) rafforzare la capacità delle società di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici

b) fornire ai Paesi in via di sviluppo, che risentono maggiormente delle conseguenze del cambiamento climatico, un sostegno internazionale finanziario da effettuarsi annualmente

Tutti obiettivi encomiabili, che, purtroppo, allora, nel 2015, trovarono tante difficoltà tra cui la più eclatante fu l’uscita ufficiale degli Stati Uniti durante la presidenza Trump il quale ha sempre presentato l’accordo globale sul clima come dannoso per l’economia americana. Fortunatamente, con l’elezione di Biden gli Stati Uniti sono rientrati ufficialmente nell'accordo di Parigi sul clima. Ora, il summit della città scozzese, che doveva tenersi lo scorso novembre 2020 e rinviato al 2021 a causa del Covid-19, deve correre ai ripari e in fretta perché il quadro climatico generale sta diventando sempre più critico. Ce ne rendiamo conto se sfogliamo l’ultimo rapporto dell’IPCC, concernente le basi fisico-scientifiche del cambiamento climatico, approvato venerdì 6 agosto 2021, da 195 governi membri. È un documento allarmante, come ha sottolineato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres affermando che si tratta di un codice rosso per l'umanità:” I campanelli d'allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili: le emissioni di gas serra dovute alla combustione di combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo a rischio immediato miliardi di persone".

Una seduta del summit (foto di Domenico Vito)

In breve, in quel rapporto gli scienziati hanno sostenuto che a meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento a circa 1,5 gradi centigradi sarà un obiettivo arduo di difficile raggiungimento. I climatologi ci informano anche che le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane sono già responsabili di un aumento medio globale della temperatura di circa 1,1 gradi centigradi, rispetto al periodo preindustriale. E che nei prossimi 20 anni, la temperatura globale dovrebbe raggiungere o superare 1,5 gradi centigradi come indicano tutti i più importanti indicatori delle componenti del sistema climatico tra cui l’atmosfera, gli Oceani, i ghiacciai i quali stanno cambiando a una velocità mai osservata negli ultimi secoli. Uno scenario futuro non certamente roseo che, se non si agisce in fretta, peggiorerà sensibilmente il quadro attuale: nel 2020, i dieci disastri climatici più costosi hanno causato perdite per 150 miliardi di dollari, 3.500 morti e 13,5 milioni di sfollati.

Per cominciare, ricordiamo gli obiettivi principali della COP 26: azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050; contenere, entro la fine del secolo, l’aumento della temperatura media del pianeta sotto i 2 gradi  centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, posto che sarà molto difficile rispettare l’ambizioso obiettivo della soglia di aumento di 1,5 gradi centigradi; aumentare gli sforzi finanziari, destinando 100 miliardi di dollari l’anno, per l’adattamento  dei Paesi poveri agli impatti dei cambiamenti climatici. Purtroppo, la partenza non è stata delle migliori sia perché il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping non hanno partecipato. Defezioni che erano nell’aria e che sono legate alla loro rispettiva situazione nazionale. Cominciamo da Putin che guida uno dei paesi più interessati a contenere le emissioni di gas serra dato che il riscaldamento globale è più dannoso per l’area artica e il territorio nazionale insiste proprio in quell’area. L’assenza del presidente russo ha una sua contraddizione che scaturisce dal fatto che per Mosca il riscaldamento globale è una buona opportunità economica e geopolitica perché il parziale scioglimento della calotta polare aprirebbe a nuove rotte navali per il trasporto di merci dall’Asia verso l’Europa e l’Atlantico. E poi c’è anche un’altra motivazione: la Russia è il primo esportatore di gas naturale con proventi che costituiscono circa il 40 % del proprio PIL. Un rapido spostamento verso le fonti rinnovabili sarebbe certamente negativo per le finanze del Cremlino.  Veniamo ora alla Cina che rappresenta seconda economia al mondo e la prima emettitrice di gas serra. Tanto per dare un’idea la China Baowu, il più grande produttore di acciaio al mondo immette in atmosfera una quantità di anidride carbonica maggiore di quella emessa dal Pakistan (211 milioni di tonnellate). E si potrebbe continuare con un lungo elenco.

È chiaro, quindi, che il governo cinese non ha interesse a ridurre le proprie emissioni di gas serra perché ciò inciderebbe negativamente sulla propria economia, anche se nell’estesa repubblica dell’Asia orientale si sta registrando una non trascurabile spinta proveniente dal popolo che vive intollerabili situazioni di malattia e morte legati all’inquinamento atmosferico causato proprio da un uso estensivo dei combustibili fossili e in particolare dal carbone. Due economie che non vogliono cambiare il proprio status quo a dispetto del recente rapporto “Production Gap Report 2021″ delle Nazioni Unite, dove si legge che molti tra i Paesi industrializzati hanno già pianificato, per i prossimi dieci anni, di estrarre annualmente circa il 110% in più di combustibili fossili rispetto a quanto sarebbe necessario per mantenere gli impegni di Parigi.

BREVE CRONOLOGIA DEL SUMMIT

Allo Scottish Event Campus di Glasgow, finalmente il primo novembre cominciano i lavori. Erano presenti ,oltre al Primo ministro britannico Boris Johnson, il presidente USA Joe Biden, l'inviato speciale presidenziale degli Usa per il clima John Kerry, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, principe Carlo e Camilla, duchessa di Cornovaglia, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier indiano Narendra Modi , il premier svedese Stefan Loefven, lo spagnolo Pedro Sanchez, il presidente del Consiglio Mario Draghi .Cerchiamo, ora, di riassumere i passaggi  più significativi.

“Abbiamo l'opportunità e il dovere di fare di questo summit il momento in cui l'umanità ha iniziato, e sottolineo iniziato, a disinnescare la bomba" del riscaldamento globale, ha esordito il primo ministro britannico Boris Johnson, aprendo la conferenza.

«Faremo quello che è necessario o faremo soffrire le future generazioni? Questo è il decennio decisivo sul clima, e la finestra si sta chiudendo rapidamente. Glasgow deve dare il calcio di inizio al cambiamento», così Joe Biden.

"Siamo ancora avviati verso la catastrofe climatica. E i giovani lo sanno: per loro, un fallimento della COP26 non è un'opzione. È il momento della verità, perché il riscaldamento globale sta raggiungendo velocemente il punto di non ritorno, ha sottolineato il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres.

"Qualsiasi leader che abbia dovuto affrontare catastrofi naturali sa che il costo dell'inazione è di gran lunga maggiore rispetto a quello della prevenzione. Quindi, trovate modi pratici per superare le differenze, per lavorare insieme per il bene del pianeta, combattendo il riscaldamento globale, così Carlo d’Inghilterra.

Interventi tutti con una coloritura allarmistica, stemperati da un pragmatico Mario Draghi il quale ha proposto la creazione di un gruppo internazionale che abbia come obiettivo quello di indirizzare «i trilioni di dollari disponibili del settore privato» verso progetti efficaci ed innovativi, suggerendo, oltre alle fonti rinnovabili, anche la cattura dell’anidride carbonica con tecnologie ormai consolidate. Subito dopo le prolusioni dei politici arriva la prima doccia ghiacciata. Il primo ministro   indiano ha chiesto di spostare al 2070 la “neutralità carbonica” rispetto all’impegno europeo che pone come data il 2050. Una posizione che sottende, secondo noi, un preciso messaggio: più soldi dai Paesi ricchi finora inadempienti, più si potrà avvicinare la data della neutralità climatica per la sua Nazione. Nei giorni successivi ci sono stati serrati negoziati che sono sfociati in alcuni accordi e dimenticanze.

GLI ACCORDI

 

Un aspetto della sala (foto di Domenico Vito)

Il primo Accordo concerne le foreste che nel mondo ospitano circa sessantamila diverse specie di alberi, l'80% delle specie di anfibi, il 75% delle specie di uccelli e il 68% delle specie di mammiferi sulla Terra, secondo i dati dell'Earth Programme United Nations Environment (Unep). Polmoni di ossigeno che negli ultimi 13 anni a causa di una scellerata devastazione si sono ridotte di 43 milioni di ettari, un’area quanto la California. Uno scempio rispetto al quale oltre cento leader del mondo, che guidano i Paesi ospitanti l'86% delle foreste del globo, si sono impegnati a stroncare, entro il 2030, la selvaggia deforestazione mettendo sul tavolo impegni finanziari (che comprendono anche investimenti privati) per un ammontare di 19,2 miliardi di euro. Tra i firmatari della "Dichiarazione di Glasgow su foreste e terra" anche Jair Bolsonaro, oggi sotto attacco per aver trascurato negli ultimi anni l'Amazzonia, Xi Jinping e Vladimir Putin entrambi che guidano nazioni con un alto grado di disboscamento. Tutto sommato una buona notizia che però non è una novità, basta leggere la “New York Declaration on Forests” del 2014 che riporta l’impegno  di azzerare la deforestazione entro il 2030  rimboschendo  circa  350 milioni di ettari di terreni colpiti da un abbattimento selvaggio di alberi secolari. Registriamo che da allora si è fatto pochissimo.

Il secondo Accordo riguarda le emissioni di metano. Oltre cento nazioni che rappresentano il 70% dell'economia globale hanno aderito all'impegno di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. L’impegno, a detta dei sottoscrittori, dovrebbe mantenere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. È un buon proposito che rischia di non divenire realtà perché il quadro mondiale è complesso e non è favorevole.

 

Il terzo Accordo concerne il carbone che vede più di quaranta Paesi, con l’assenza di India e Cina, impegnati a ridurre l'uso del carbone nella produzione di energia termica ed elettrica. Un impegno ambizioso che prevede l'uscita graduale dal carbone entro il 2030 per le principali economie ed entro il   2040 per il resto del mondo.

LE DIMENTICANZE

Nella kermesse di Glasgow si è parlato poco degli Oceani: acidificazione, perdita di biodiversità, pesca industriale senza limiti precisi. Se ne era parlato al summit di Madrid che doveva essere la “Blue Cop”; quello scozzese, purtroppo, fa un passo indietro preoccupante proprio perché circa il 50% dell’ossigeno che respiriamo è prodotto dagli Oceani. Un’altra dimenticanza è riconducibile alle flebili misure finanziarie di adattamento climatico per limitare la vulnerabilità degli ecosistemi delle piccole isole che contano oltre un miliardo di abitanti in Africa, Asia-Pacifico e Caraibi. Sono Paesi che hanno minori responsabilità nell’attuale emergenza climatica e al tempo stesso ne sono le principali vittime.

 

L’ESITO FINALE

Dopo concitate consultazioni finali (i latini avrebbero detto “moto in fine velocior”) i Paesi partecipanti alla COP26 hanno ufficialmente adottato il “Patto di Glasgow” per combattere l’attuale emergenza climatica. Un testo in larga parte figlio di compromessi e colpi di mano come dimostra la modifica della bozza finale   pronta per l’approvazione. Una correzione dell’ultimo momento voluta dall’India che ha chiesto di modificare l'espressione "ridurre gradualmente" invece di “eliminare gradualmente" lo sfruttamento del carbone per fini energetici. Una sostituzione di due termini che avrà un impatto notevole e che ha deluso quasi tutti i Paesi poveri, in particolare Isole Marshall e le Fiji che rischiano di scomparire sommersi dall’Oceano, e suscitato il rammarico dell’Europa che voleva una decisiva e veloce azione di riduzione dei gas serra per combattere il cambiamento climatico.

Insomma un accordo imperfetto che non può non ingenerare che delusione per chi ha a cuore la salute della Terra perché le promesse di diminuzione del rilascio dei gas serra non sono sufficienti a mantenere la temperatura media globale del Pianeta di sotto dei 2°C, con conseguenze devastanti soprattutto per i nostri figli. Una delusione stemperata dal fatto che le nazioni più industrializzate hanno accettato, seppur posticipando al 2023, di raddoppiare i finanziamenti verso i Paesi meno sviluppati e meno resilienti ai disastrosi effetti di una Terra che si riscalda. Per quest’ultimo aspetto saranno i fatti a dirci come saranno andate le cose.

Il Galileo